EDITORIALE Millecolline. Commentiamo il passato per costruire il presente

Editoriale della domenica

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 08/06/2025

Commentiamo il passato per costruire il presente

La Letteratura, la Storia, le Arti, ogni campo del conoscere e del sapere, non abitano più, da alcuni decenni, nelle sale delle grandi Biblioteche, delle Accademie, della colta Editoria.

Sappiamo della crisi della carta stampata e della crisi d’identità dello studioso, nonché di una certa metamorfosi kafkiana della Scuola (dei suoi obiettivi), degli Istituti di specializzati e di Ricerca, dei luoghi di archiviazione e conservazione.

Il passato che vogliamo risvegliare è pura illusione: è materia di alluvioni di parole prive di ogni consistenza, senza alcuna reale documentazione, una sorta di caverna di una malefica Sibilla che ha operato il sortilegio malefico, del leggere per dimenticare.

E, altrettanto, importante convincersi che tutto quello che abbiamo ereditato e quello che, nel disordine esistenziale, produciamo, è materia per un prossimo futuro possibile: la vita è stata deviata, incanalata sui binari morti, sulla cancellazione delle destinazioni, della costruzione degli stimoli (sapienti) e non emozionali, sensazionali, spettacolari, occasionali, che muoiono come i giornali il giorno dopo.

Un satellite vuoto ed implosivo che gira, irregolarmente attorno al Vecchio Mondo e non al suo Passato.

L’ultima generazione di scrittori e pensatori Italiani come Calvino, Brancati, Vittorini, Pavese, Bassani, Pasolini, Severino, Vattimo, Eco (per citarne alcuni, tra i più significativi), si sono illusi di poter ancora pensare che “guardare ai classici” significava cambiare il presente (renderlo comprensibile e partecipativo in valori che ne continuassero la tradizione, ma, soprattutto, l’identità. La nostra Identità).

Ne hanno colto le molteplicità dei saperi, delle curiosità e delle scoperte, dei modelli sofferti dei cambiamenti storici ed epocali. E ne sono usciti romanzi e racconti meravigliosi, con obiettivi educativi e didattici (per chi li sapeva cogliere).

Ma le generazioni, come quella attuale e le prossime, sono state colpite dalla maledizione della nota maga Sibilla: leggere per dimenticare.

Il metodo di lettura era il piacere, la finalità era l’emozionarsi, il sentirsi consolato, appagato, emotivamente eccitato.

Non abbiamo letto Pasolini per approfondire i suoi campanelli d’allarme, le sue profetiche considerazioni sulla corruzione e la distruzione della Società del benessere e delle sue ipocrisie. Erano scritti corsari che avrebbero formato la nuova classe dirigente e ci avrebbero evitato le macerie di oggi (di cui parlavo nel mio precedente Editoriale).

E così vorrei ricordare Calvino con le sue ineguagliabili lezioni americane e gli scritti sulla edilizia, sulle città invisibili , su tutto ciò che ,ormai, diveniva indispensabile aggiornare, senza cancellare, ma saper ridisegnare gli oggetti della modernità rendendoli funzionali e non sinonimi di frustrazione e di alienazione.

Giuseppe Verdi, il Maestro Musicista d’Italia, scriveva in una lettera (tra le centinaia inviate): guardare il passato per pensare il futuro. Non per imitarlo o peggio ancora, come avviene da molto tempo, per commentarlo.

Come dicevo nel mio incipit iniziale il nostro Enciclopedismo non abita più nei luoghi deputati e neppure con menti adeguate.

Oggi tutto si è trasferito nei mass media, in particolare nella carta stampata, negli inutili intrattenimenti condotti da giullari del potere o frazioni di potere.

Nessun apprendimento critico, ma, rigorosamente, per i colori dei rispettivi padroni, si forniscono informazioni conformiste, di puro indottrinamento.

Gli spettatori, cambiano canale, e chi non cambia ha difficoltà a capire oppure essendo chiacchiere in libertà, ci si passa un po’ il tempo.

Ma, la televisione italiana, non educa più nessuno. L’ultimo grande Maestro di scuola televisivo è stato l’indimenticabile Alberto Manzi.

La scomparsa dei “venerati Maestri” e delle scuole preparatorie per essere gli interpreti, i divulgatori, i conservatori della conoscenza e dei saperi, ha trasformato il vivere e le azioni del vivere in motivi diaristici, cronachistici, per cui il passato non si conosce, ma lo si racconta e lo si commenta.

Tutto come fosse una propria confessione, un proprio modo di vedere o di sentire. Giornalisti che diventano biblisti, artisti, musicisti (senza sapere suonare uno strumento e peggio ancora sapere di semiografia musicale). Oltre al vizietto, mai discreto, di essere arroganti e supponenti opinionisti (di parte).

Il passato è il nostro giacimento culturale a cui si richiamano tutti i popoli civili che voglio crescere e sentirsi veri protagonisti della scienza dell’Uomo di qualità.

Un piccolo particolare da sottolineare: mentre gli altri hanno maturato sulle glorie del nostro Passato, noi, malati di retorica, di fantapolitica e di deviazionismo, oggi, sembriamo un popolo orfano delle proprie radici.

Abbiamo perso la nostra Cultura. Abbiamo perso l’Italianità.

Franchino Falsetti

 

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