Nino Migliori, profeta in patria alla luce di un fiammifero

Dal 1 al 31 luglio con ingresso libero

Nino Migliori, Ritratti alla luce di un fiammifero

Pubblicato il 28/07/2021

 

Classe 1926; questo si legge nella carta di identità di questo giovanotto bolognese datosi alla fotografia fin dai primi anni del dopoguerra e comunque legato al suo territorio e alla sua città natale: Bologna. Un bolognese, di grandi capacità creativa, che avuto il coraggio di non cedere alle attrazioni esotiche lontane, magari immigrando artisticamente in qualche grande città italica (Roma? Milano?). Notevole.

Ritratti alla luce di un fiammifero. Bologna 2021. (ph. R. Cerè)

Per questo che lo definisco un profeta in patria; perché posso immaginare quanto sia stato difficile non cedere alle lusinghe di una “più facile” strada per il successo nel caso in cui avesse deciso di lasciare le Due Torri di Piazza Ravegnana. E per questo motivo va rispettato. Poi, che piaccia o che non piaccia è un altro argomento (anche molti dei del cantato Olimpo fotografico ufficiale possono non piacere…). In questo modo ha contribuito a mantenere una qualità artistica fotografica anche in una città apparentemente distratta e attratta da ciò che arriva da lontano. Nino Migliori è quindi rimasto un artista di questa città e sono convinto che lo abbia fatto per scelta.

Ritratti alla luce di un fiammifero. Bologna 2021. (ph. R. Cerè)

E perché scrivo: “un giovane” bolognese (sapendo che quest’uomo ha accumulato la bellezza di 95 anni)? La risposta è molto semplice: perché la vitalità e la quantità di progetti che ancora sostiene cerca di portare a termine farebbero l’invidia di molta gioventù fotografica contemporanea (la quale ha anche la sfortuna di vivere in un contesto sociale che adora la precarietà ed essere malpagati). Uno di questi progetti, durato per circa quattro anni, è stato esposto in questa bianca Galleria bolognese del Museo Civico Archeologico nel Palazzo dell’Archiginnasio.

Ritratti alla luce di un fiammifero. Bologna 2021. (ph. R. Cerè)

 

Pensandoci bene avrei pure anche un po’ invidia per la semplicità dell’idea che ha avuto: ritrarre amici, conoscenti, curiosi e “volontari” alla semplice luce di un fiammifero. Si sfrega lo zolfo sulla carta crespata, il fuoco si accende e percorre la lunghezza del fiammifero di legno, si illumina un volto in una stanza buia e si decide di scattare qualche ritratto prima che la fiamma raggiunga il pollice in collaborazione con l’indice. Semplice.

Ritratti alla luce di un fiammifero. Bologna 2021. (ph. R. Cerè)

In un mondo che ha assunto idoli legati alla velocità, alla competizione tecnologica, alle invenzioni artistiche per diversificarsi, questa di Nino Migliori rappresenta un’isola atemporale: la luce lenta del fiammifero, in una stanza in cui non è accesa neppure una lampada, in cui l’unica restrizione riguarda il non bruciarsi le dita. E, magari, se non si è stati soddisfatti della prima serie di pose ecco che, con tempi del lento fiammifero, se ne ripete una nuova.

Ritratti alla luce di un fiammifero. Bologna 2021. (ph. R. Cerè)

Sono 600 i ritratti che sono disposti in questa grande, lunga, stanza apparentemente asettica. Ogni ritratto è stampato su carta fotografica in bianco e nero ed è fissato al muro espositivo attraverso due grossi chiodi piantati ai due opposti del lato superiore; è l’unica cornice di queste immagini libere.

Ritratti alla luce di un fiammifero. Bologna 2021. (ph. R. Cerè)

Si scorrono così ritratti che raccontano di gente di Bologna, di gente d’Italia, di gente di grande diversità. Al termine del primo passaggio mi sono chiesto se ce ne fossero altre o se, veramente, fossi già arrivato al termine dei 600 ritratti. L’ho preso come un buon segno.

 

 

Testo e fotografie di Roberto Cerè

Per la rivista Millecolline

Tutti i diritti riservati.

 

I volti umani sono monumenti irripetibili che contengono storie, esperienze, emozioni, paure, amori, dolori e gioie. Nino Migliori ha fotografato seicento volti di donne e uomini, alla luce di un fiammifero, come ha fatto con molte sculture e bassorilievi. Ci sono volti che qualcuno riconoscerà o altri che rimarranno sconosciuti. Sono amici, o amici di amici, che sono andati a trovarlo dal 2016 ad oggi nel suo studio in via Elio Bernardi, 6 a Bologna.

Attraverso i tanti ritratti che Nino Migliori realizza nel corso del tempo è possibile riconoscere l’evoluzione del suo linguaggio e capire che i generi fotografici sono per lui un pretesto da cui partire per trovare e sperimentare nuove possibilità di visione e di narrazione. Per Migliori la fotografia è un processo di scrittura per immagini del proprio pensiero, che permette di aprire nuovi interrogativi sulla percezione del reale.


Sperimentare non è solo verificare la struttura e le possibilità di un linguaggio, ma significa confrontarsi anche con la tradizione poetica e iconografica del passato, per rileggere il presente. Oltre alla luce, l’autore riprende sempre nelle sue ricerche il tempo, inteso come fattore che segna la realtà e permette alla fotografia di formarsi, la materia, corpo del reale e dell’immagine, e infine la memoria, come traccia stratificata in divenire. Tutto questo è considerato da Migliori in relazione all’evoluzione tecnologica dei sistemi di visione, non solo fotografici, che consentono diverse possibilità di lettura e di percezione della realtà.

Questi aspetti tornano in una forma nuova nel ciclo fotografico intitolato Lumen dedicato alla scultura, a cui si lega il lavoro dei ritratti a lume di fiammifero. Nella serie Lumen, Migliori fotografa in bianco e nero, a lume di candela, importanti opere della storia dell’arte italiana, dal Medioevo all’Ottocento, per riflettere sulla percezione dell’immagine dalla prospettiva di un tempo lontano. Dal racconto a lume di candela dell’inanimato, con il riferimento a un tempo storico precedente a quello della luce elettrica e della fotografia, passa a un ciclo in cui rivolge lo sguardo all’animato, al volto dell’uomo.

Dal 2016 al 2021 realizza i ritratti che sono presenti in mostra e nel catalogo che l’accompagna. In questo lavoro si evidenzia ancora una volta l’elemento gestuale, al di fuori del mezzo fotografico, il tempo, determinato dalla bruciatura del bastoncino di legno, la materia, quella del volto ritratto che riflette la luce in modo diverso rispetto alle superficie delle sculture in marmo o in terracotta.
Quelli di Migliori sono ritratti dell’interiorità, che si manifestano attraverso la luce e l’ombra, il bianco e il nero. Il fiammifero acceso, che tiene in mano e muove con velocità diverse intorno al volto del soggetto mentre lo ritrae, diventa l’unico riferimento al mondo esterno, al divenire delle cose.

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