Cattivi Pensieri: con la cultura non si mangia

Con la cultura non si mangia

Cattivi Pensieri di Franchino Falsetti

Pubblicato il 15/07/2021

Con la cultura non si mangia

Questa battuta nata dal dialogo tra Pereira ed un aspirante romanziere squattrinato, protagonista del famoso romanzo di Tabucchi “Sostiene Pereira” e poi resa universale dall’illuminista Ministro Tremonti, suscitò un vespaio di polemiche che nella frettolosità o faziosità degli intellò di maniera all’italiana, si resero alquanto risibili. Ma con molto sussiego da parte di politici, ministri, dirigenti, operatori di vari settori attinenti al lavoro “culturale” si sostenne che non era vero.

Nessuno si preoccupò di fare l’esame di coscienza, di verificare se questa semplice battuta alla fine non fosse una seria provocazione, una sirena d’allarme. Si fece di tutto per dimostrare che la cultura invece paga. E qui, dopo, ormai, alcuni anni, è opportuno riprendere certe tesi, che avevano solo lo scopo di distrarre e di costruire, demagogicamente, un nuovo concetto di cultura, anzi modi diversi di connotare la parola cultura.

Si vivevano tempi difficili di crisi economica preoccupante e quindi perché non identificare la cultura con il concetto di servizio? Perché non alimentare le forme del turismo, dell’incursione manageriale, del consumo industriale delle visite ai  musei, gallerie d’arte, alle Mostre preconfezionate con gli intrattenimenti culinari, di book shop , con effetti speciali?

In poche parole perché non inventare una nuova poliedrica struttura dove dai Musei alle Mostre di grande richiamo “turistico” si potessero creare loisir, gadget ed altre invenzioni da pensiero spray, in modo da realizzare nuovi luna park del divertimento rigeneratore, privo di consapevolezze, ma ricco di appetitose gastronomie “culturali” del passatempo. A questo punto penso che sia opportuno spendere qualche parola sul concetto di Cultura ( metto la “C” maiuscola, per evitare confusioni ).

Parola questa sempre abusata, fin a quando, 1952, A.I. Krober e C. Kluckhohn, pubblicarono un classico dell’antropologia scolastica Culture a Critical Review of Concepts and Definitions, nel quale raccolsero una quantità di differenti definizioni del termine. Lettura che io consiglio ai molti improvvisati innovatori ed a quelli navigati nella politica. La parola “cultura” come viene usata nelle lingue occidentali non trova riscontro nelle “lingue dei popoli cacciatori, raccoglitori e pastori”.

Oggi la parola cultura viene applicata a qualche funzione della vita quotidiana od attività o nuove conquiste del progresso: dalla “cultura tecnologica”, alla “cultura del consumo”, dalla “cultura della moda” alla “cultura delle differenze”, etc… Mentre per Cultura dovremmo intendere il nostro retaggio, la nostra identità materiale ed intellettuale. Le nostre radici, la nostra tradizione (plurisecolare), le nostre origini cristiane, romane e latine.

Di tutto questo e di di altre importanti contaminazioni nel tempo non se ne parla, perché si è costruito una macchina che produce effetti di “approssimazione” a getto continuo, che obbliga fiumane di file di visitatori e di attese snervanti per soddisfare l’efficacia organizzativa di eventi, non necessariamente, comprensibili, ma da assaporare, da fotografare per il piacere di esserci, di calpestare luoghi mai visti o letti.

Un tempo libero imposto per eserciti di forzati del presente, secondo le nuove regole di una nuova “industria culturale”, dove non esistono spiegazioni, conoscenze, approfondimenti, letture critiche, continuità degli eventuali stimoli ricevuti, ma tutto si consuma, e tutto finisce.

All’uscita dagli ambienti “strutturati” per non pensare, tutto ritorna come prima. Il quotidiano riprende il sopravvento e nessuno saprà raccontare o comunicare, esattamente, cosa ha visto, cosa ha imparato, che tipico di Cultura ha ricevuto. L’approssimazione continua ad avere il sopravvento, ma resta la soddisfazione che per vedere un quadro di Guido Reni o del Caravaggio bisogna pagare il biglietto, le cuffie (come se si entrasse di passeggiare in un santuario, per essere storditi da voci dantesche ) e forse anche qualche souvenir. Il Catalogo è solo per gli intenditori!

Allora la Cultura come investimento paga, come educazione, formazione, istruzione, professionalità, conoscenze consapevoli, viene deprezzata, resa inutile perché non è parte del sistema economico e produttivo, voluto dalla globalizzazione, dove tutti devono leggere gli stessi libri, visitare gli stessi Musei, visitare le stesse Mostre, possedere il cosiddetto pensiero unico.

Pertanto con la vera Cultura non si mangia, ma si pensa. Con la Cultura commerciale, industrializzata, da super mercato si mangia, ma non si pensa, non ci serve per diventare cittadini consapevoli e liberi, contro le nuove censure di espressione, di linguaggio, contro i pericolosi tentativi di cancellare le identità della Cultura, contro il politicamente corretto, ormai diffuso e sostenuto da holding misteriose in tutto il vecchio mondo d’Occidente.

                                                                                                                                                                                                  Franchino Falsetti

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