Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 12/06/2022
L’Italia è ritornata papalina
Non sono le Frecce Tricolori che fanno la Festa della Repubblica e neppure le bandierine offerte ai bambini e non capiscono perché non anche agli studenti della scuola secondaria ed universitari. Il sentimento patriottico comincia dall’infanzia ma dura tutta la vita.
Ma il sentimento patriottico non si costruisce con i gadget pubblicitari, con gli articoli e i discorsetti di rito privi di risvegli non solo risorgimentali ma di attenzioni su come oggi i politici intendano la nostra Costituzione, le regole comportamentali conseguenti, gli incitamenti che trovano, proprio sui banchi di scuola dai 3 ai 24 anni le conoscenze e gli stimoli culturali per rendere questo “sentimento” vivo tra i più importanti che concorrano a caratterizzare compiutamente la voce Patria, già denunciata da Benedetto Croce fin dal 1943, come una parola, ormai, priva del suo autentico contenuto.
Abbiamo, in questi ultimi decenni, snaturato tutti i nostri simboli e valori che ci distinguevano da molti paesi europei che avevano già abbandonato i distintivi cerimoniali e le ricorrenze ufficiali a testimonianza del proprio passato e propria identità storica. La nostra gloriosa ed unica cultura, dominante per molti secoli ed esempio e guida per tutto l’Occidente, ad opera di inetti e vanitosi politici, accademici, frustrati protagonisti in cerca di notorietà (in ogni settore produttivo, compreso quello intellettuale) è stata declassata ad un’associazione di mutuo soccorso, influenzata e condizionata dalla vuota cultura pubblicitaria e per acquisire targhette commerciali per il diffuso e potente mercato della globalizzazione. Tutto è divenuto merce (dalla cultura alle idee, dall’educazione alla formazione “specialistica” delle vecchie e nuove professioni). Si sono spesi fiumi di parole in questi ultimi quarant’anni di transizione e di radicali cambiamenti epocali, anche con insistenza allarmistica su questa caduta inesorabile in mortificanti disvalori della nostra identità individuale e nazionale.
Ci sono stati e ci sono i travestiti “pifferai magici” che hanno abbracciato e diffuso il repertorio canzonatorio per sostituire, deridere, banalizzare (anche con astrusi ragionamenti da sottosuolo ammuffito e maleodorante) a partire dai riti religiosi, le feste natalizie, il presepio, i canti religiosi, la cultura millenaria cristiana, lo stesso ruolo, ormai, fatiscente della stessa Chiesa.
Mi preme a questo punto rispolverare il libro dei sentimenti patriottici, familiari, dei valori e degli ideali più conosciuto al mondo e più ridicolizzato in Italia, dal nome semplice e toccante Cuore dell’ineguagliabile Edmondo De Amicis che alla voce Patria, con l’enfasi del suo tempo e l’ardore da trasmettere ai giovani, il padre di Enrico, così scriveva (lettera del mese di gennaio):
“Ella [la patria] è una così grande e sacra cosa, che se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei la carne e l’anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alla morte, io tuo padre, che t’accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t’accoglierei con un singhiozzo d’angoscia, e non potrei amarti mai più, e morirei con quel pugnale nel cuore” .
Si può ridere di questo alto e puro sentimento simile alla commozione dell’alza Bandiera nel centro di un campo militare? La Patria è la terra dei nostri Padri, è il luogo in cui si affermano le idee del nostro italico micro cosmo, i nostri modelli di educazione e di appartenenza, la nostra sostanza della Vita. Perdere questi punti cardinali, vuol dire, come per la religione, considerare tutto relativo, tutto una farsa durata per millenni ma che hanno prodotto milioni di morti, quasi tutti in giovane e giovanissima età, ma tutti orgogliosi di difendere le patrie origini, il Castello custode delle conoscenze e delle “sacre” finalità del vivere e del morire.
Oggi non si crede più a nessun senso della vita e della morte. Gli esempi che ci vengono forniti quotidianamente parlano solo di “soddisfazione” dei beni e delle esigenze materiali. Non dobbiamo più avere una testa per pensare come ci ricordava il grande Montaigne, ma una grande “pancia”, in cui depositare l’ingordigia fatta di stupidità, di ignoranza, di velleità, di vacuità. La parola d’ordine è vivere senza pensare ma con il potere del consumare, del sentirsi parte dell’ingranaggio che in modo permanente deve destabilizzare ogni sistema, ogni ordine, ogni esigenza di poter “pensare” perché sono qui, su questa Terra e come possa viverci nei migliori dei modi, prima di ritornare nel nulla. Si perché insieme alla perdita dei valori laici, quelli che ricordava, con altrettanta efficacia un grande pensatore e politologo del secolo scorso Norberto Bobbio, parlando della laicità, come “Il lumicino debole, la fiammella tremolante che appena un alito di vento può smorzare lasciandoci al buio e con le dita bruciate. Non accenderla questa piccola fiamma, o lasciarla spegnere significherebbe spegnere noi stessi». Questa laicità che significa anche visione e valutazione della vita, senza l’eco della religione, con i suoi orpelli o profetiche invocazione. In questo contesto la Chiesa ha cambiato la sua Galleria di filosofi, chierici illuminati, Papi lungimiranti ed avveduti. La Chiesa di oggi si è fatta a sua volta un grande Super mercato, una grande Agenzia dove i contenuti della spiritualità e del sacro, sono stati barattati per l’abbraccio mortale con la filosofia dell’apparire, dell’imitare la secolarizzazione più spericolata: un papa che si fa intervistare da Emittenti radio televisive pubbliche, che scrive prefazioni su libri profani ed ameni, che ha giornalmente ospitalità in tutte le Emittenti radio televisive pubbliche e private. Appare costantemente sulla stampa quotidiana e tutti sono soddisfatti se riescono a dare il massimo spazio sulle affermazioni o frammenti di discorsi, nonché della replicante immagine di pontefice.
E un pontefice che parla con lo stesso linguaggio pubblicitario per reclamizzare un cioccolatino. È un inventore e ripetitore di frasi fatte, di cose senza senso, ma dette con molta serietà (facciale). Le sue encicliche sono la ripetizione delle stesse cose ed in particolare dei temi che riguardano l’eco sistema, l’ambientalismo, la guerra (in modo astratto e diplomatico), la pena di morte (luogo comune universale), ingiustizia sociale (altro luogo comune), immigrazione (flusso magnetico di difficile e strumentale interpretazione), sui valori della famiglia (una coperta di Linus), per finire con un invito universale: Fratelli tutti, nuovo slogan preso a prestito da San Francesco d’Assisi, nel suo “Cantico delle creature”.
Ed ecco che il cerchio questa volta si chiude: il mondo laico è diventato papalino e quello papalino si è metamorfizzato in laico-materialista. Non possiamo più denunciare che le chiese sono vuote, che mancano le vocazioni, che i gloriosi Seminari siano tutti chiusi. Possiamo però rallegrarci con un Papa che ha capito da che parte stare.
Franchino Falsetti