Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 11/05/2025
Ciò che condiziona la nostra vita
Ciò che condiziona la nostra vita, dopo diversi secoli di alterne vicende costruttive e distruttive dell’operato del genere umano, sono gli esorcismi che governano le nostre illusioni e il modello della routine- ripetitività di ogni azione: atto vitale o voluttuario.
È una consapevole valutazione riduttiva, ma utile per iniziare un dibattito, per scrivere un contemporaneo stupidario che molti nascondono in fondo alle loro tasche dei “vestiti divisa” di cui oggi, siamo obbligati ad indossare per sentirci tutti uguali !
È un po’ come avviene a coloro che non sono cresciuti, che pensano di leggere riviste di moda o dedicate a come trascorrere le serate oppure alle vecchie “palestre per i lettori”, angolo depuratore di frustrazioni per inesistenti personalità e che scambiano, per loro insipienza, una Rivista culturale, come questa, per un talk show televisivo, dove non prevale il sapere, ma la comunicazione destrutturata e disarticolata, priva di ogni valore conoscitivo, di esperienze vissute nei contesti di cui si vuole parlare.
La regola è quella di esserci, essere visibile, scrivere ogni settimana ogni vacuità e stupidità, per sentirsi importante, pensando di essere un lettore pensante ed invece è vittima di un mondo che ha smesso, da tempo, di insegnare per affidare al presente il consumo di ciò che le intime nature reclamano.
Sono esponenti della generazione senza Maestri.
Eraclito già diceva: tutto scorre. E noi, senza conoscerlo, parliamo di vita liquida, poiché tutto scorre, nulla si trattiene, nulla ci coinvolge.
Tutti seduti ai tavolini per curare la pancia, che, ormai, ha la stessa circonferenza della testa ed i lineamenti, un tempo distintivi della nostra personalità, si stanno trasformando in strisce di lardo.
Avete provato a guardare come è fatto fisicamente il nostro prossimo? Dall’infanzia alla vecchiaia siamo solo palle di lardo che rotolano, si scontrano, belano, balbettano, pensano di inventare ciò che è stato già inventato e parlano senza sapere che da migliaia di anni l’uomo articolando suoni vocali cercò di esprimere la propria identità, il senso di una ricerca autonoma e sofferta, per essere parte attiva di un gruppo di simili e poi di una comunità come presenza sociale (scoprendo i segni del comunicare).
Oggi, tutti vogliono essere protagonisti, senza sapere che per esserlo bisogna studiare, bisogna essere parte di un percorso di istruzione, di comunicazione, di conoscenze articolate e comparate, bisogna possedere gli strumenti per esprimersi con competenze e qualità interpretative.
Tutti giocano a carte scoperte perché il danno del pensiero unico è proprio quello di considerare l’uguaglianza, non come valore da conquistare, ma come atto dovuto, conseguente agli effetti della tecnologia, che ci ha reso uguali, per consumare e compiere tutti le stesse cose: dire le stesse cose, vestirsi allo stesso modo ( immutabile) senza creare differenze, diversità, caratterizzazioni: oggi sono scomparse la virilità, la femminilità, persino le voci si sono trasformate: la dolcezza e la grazia di cui si curavano le donne del passato non abitano più nel nuovo contesto sociale e politico.
È scomparsa persino la sacralità del luogo, dei luoghi dove viviamo.
Anzi, vedi la nostra ammirata città: ha cambiato in pochi anni, come omaggio al post Covid, la sua fisionomia, la sua distinzione, la sua signorilità, la sua atmosfera, il suo volto comunicatore e motivati coinvolgimenti.
Un tempo Bologna era come un’aula didattica. I luoghi erano educativi, non solo occasioni d’incontro, di discussione, di confronto, di crescita e di maturità individuale e collettiva, erano motivi per svolgere attività ed iniziative pubbliche, valorizzando non solo il pubblico giovanile ma tutti i cittadini.
Ricordo i confronti tra generazioni, i dibattiti accesi, la serenità e la sicurezza con cui tutto avveniva.
Non avevamo il timore di uscire di sera, d’incontrare pericoli dovuti al crescente disadattamento delle giovani generazioni e della politica forsennata sull’immigrazione.
La città di Bologna non più aula didattica, ma un centro di rieducazione, di recupero di anni perduti, di sostegno per le fragilità psichiche e fisiche provocate tra i più deboli e per i gravi abbandoni scolastici e per una scuola sempre in rifacimento, priva di risoluzioni sistemiche e determinanti per pensare ad un nuovo progetto per la Ricostruzione della Scuola Italiana.
“Bononia olim, me adulescente, omnis honestae letitiae templum erat” (la traduzione è ad libitum per i nuovi “mastri ciliegia”).
“Da Montpellier, andammo a Bologna, della quale non credo luogo più bello e più libero trovar si potesse nel mondo intero. Ricorderai tu bene l’affluenza degli scolari, l’ordine, la vigilanza, la maestà dei professori che a vederli parevano gli antichi giureconsulti.
Ora non ve n’è più quasi alcuno, e il posto di tanti e tali valentuomini nella città venne occupato dall’ignoranza; e a Dio piacesse che penetrata vi fosse nemica e non come ospite […]”.
(Francesco Petrarca, dalla Lettera all’amico Guido Settimo, arcivescovo di Genova, 1367)
Franchino Falsetti