Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 02/02/2025
I quartieri saranno le nuove piccole patrie
Come agli inizi del secolo scorso Bologna venne sventrata e si edificarono nuove realtà abitative, si allargarono le strade, si abbatterono casette e casupole ancora abbracciate alle decine di torri ancora esistenti, si abbatterono le mura centenarie, si rese la Città al passo di una nuova Era della modernizzazione, agli inizi del XXI secolo, all’insegna del dopo Covid la stessa Città è stata trasformata in un gigantesco cantiere dove viviamo tristemente la seconda cancellazione dei luoghi della memoria e di come eravamo (ricordata magistralmente da Alfredo Testoni in: Bologna che scompare) e che, oggi, la cronaca cittadina ci averte che un pezzo di resistenza dei nostri angoli d’intrattenimento e di consumo ereditati dal secolo scorso, vengono e verranno chiusi per cessata attività, perché sfrattati dal logorio della vita moderna.
Le cause sono sfumate, ma il motivo principale è che si vuole abbellire la Città, imitando grandi metropoli nazionali od internazionali, dimenticandoci della struttura medievale della nostra Città e delle tradizioni di vita che l’hanno sempre distinta.
Perché non dire che i bolognesi sono una razza in estinzione? Perché non dire che l’imposizione dei Centri Commerciali hanno snaturato i rapporti umani ed il rapporto con il mondo della tradizionale bottega o piccolo negozio?
Perché non dire che a Bologna c’è una forte presenza di extracomunitari che hanno adottato il Centro cittadino e strade limitrofe come un appuntamento unico ed esclusivo, quasi di una ritualità obbligatoria, escludendo gli autoctoni?
Che Città è mai questa?
Mille e più anni di storia sono stati cancellati in pochi decenni. Il bolognese non ha più punti di riferimento ed i giovani non conosco nulla che possano difendere e valorizzare (con sensi di bolognesità): realtà come l’angolo dei cretini, la passeggiata sotto il Pavaglione o riscoprire antiche strade come via Broccaindosso o via Orfeo!
E rivivere le atmosfere di convivialità di cui erano fonti di incontri festosi ed amichevoli e di educazione formativa alla socialità ed alla propria crescita e maturità.
La città non è più la polis, non è più il luogo in cui ci si sofferma, ci si incontra, si interagisce con realtà espositive di diversa natura (anche commerciale), come accadeva con le famose vetrine.
C’era il piacere del camminare e del vedere e molte erano le suggestioni che si provavano e tutto creava le famose emozioni, quelle sensazioni misteriose che ci facevano sentire che la Vita era meravigliosa (anche nelle tribolazioni quotidiane).
Ancora una volta ha prevalso il consumismo, mascherato di turismo, di gite fuori Porta o dentro porta, di abbandono quotidiano di ogni atto che rendeva il nucleo familiare come il vecchio ristorante, preziose opportunità per continuare i discorsi che rendevano vivi e partecipi anche nel versare un goccio d’acqua.
I nostri modi di vivere sono stati sostituiti dagli standard pubblicitari, dai gesti automatici, dal parlato ristretto e biodegradabile. Si è determinato un modello di vita spersonalizzato da imitare ed omologare.
Tutti consumano le stesse cose, tutti fanno gli stessi gesti, tutti dicono le stesse cose, tutti frequentano gli stessi locali. Senza alcuna cognizione di causa e senza alcun convinto coinvolgimento.
Questa è la cultura del XXI secolo che trova nel cambiamento fisico del proprio habitat (la Città) la sua proficua permeabilità.
I cantieri in atto a Bologna come in altre grandi Città corrispondono a precise volontà: rendere inospitale la Città. Costringere i cittadini a vivere nel proprio territorio di domicilio. Trasformare i quartieri in piccole patrie, non comunicanti tra loro.
La cultura diverrà ancora più povera e si identificherà nel fare e non nel pensare. Le iniziative saranno come quelle che ben conosciamo: la filiera delle tavolate imbandite. Il motto Panem et circenses ha riconquistato il primo posto per essere un vero cittadino!
Si vivrà in Città dormitorio, in luoghi lavorativi fatiscenti, nella solitudine della massificazione e nell’ignoranza della scorrevolezza del tempo e della memoria storica.
Vivremo nella incapacità di riconoscere i luoghi della nostra testimonianza e si apriranno scenari in cui vivere e morire non interesserà a nessuno, perché le Città saranno anonime, senza identità, non riconoscibili, prive di ogni traccia di solidarietà.
Franchino Falsetti
Prof. e tutto quel mangiare?? Pantagruele abita qui! Ma chi sia non lo saprebbe più nemmeno Rabelais perché l’odore che aleggia non è il profumo dei cibo della nostra realtà
gastronomica, è piuttosto un afrore indistinto di fritti, spezie, brioche fatte in un opla’, cibo di mescolanza…
Mi dispiace che il Sig. Franchino non abbia ancora scritto e relazionato del perché il mondo è di chi “se lo prende”. Come la storia millenaria e secolare insegna. Bologna compresa.
In un sito come il Vs., che si impegna a proporre e vetrina di nuove realtà culturali in vari settori, trovo fuori luogo questi “Editoriali”: Tristi, melanconici, del tempo che fu, dei bei tempi che cambiano. Soccia che due maroni.
La capacità di navigare in un mondo dove la complessità e la differenza di vedute sia mantenuta, tenere porti aperti sapendo che sono ponti fra le generazioni, la trovo sinonimo di comprensione dell’insieme. E noi non siamo tenuti ad essere soddisfatti solo di ciò che ci rasserena. Non credo che dare spazio a ciò che le persone si aspettano per riassestarsi nella loro confort zone sia prettamente informativo.
Roberto Cerè
Il signor Franchino esprime e scrive ciò che pensa in base alla sua esperienza di insegnante, storico e critico d’arte che ha attraversato molti periodi della nostra Italia ed è in grado di confrontare, a modo suo, le differenze dovute alle “trasformazioni” accadute. E’la sua esperienza, certo, è il punto di vista di Franchino Falsetti che, guarda un po’, ha pure il coraggio di firmare ciò che scrive. Sono contento che qualcuno reagisca a ciò che scrive il prof. Falsetti e sarei ancor più contento che ci fosse uno scambio di vedute in rivista attraverso degli articoli da pubblicare in risposta per formare un dibattito (come succedeva nei tempi andati… non come quelli imbellettati dei tempi recenti a causa del politically correct per esempio), ma capisco che queste cose espongano il firmatario dei testi alla lettura pubblica e alle conseguenti critiche successive di chi non è ulteriormente d’accordo.
Roberto Cerè
Avete un sito che raggruppa e informa di eventi di artisti che altrimenti rimarrebbero nell’ombra o illuminati dal sole tiepido delle realtà locali. Quello che non condivido è “l ‘editoriale”, come ho già detto. Non ricordo di aver mai letto frasi per “stimoli artistici o Culturali” rivolti a chi fa e ha voglia di fare ma solo deprimenti analisi. Di conseguenza non ritengo che (l’editoriale) sia il “pensiero” della Vs. rivista. Quello che noto spesso, per non dire sempre, negli scritti del Sig Franchino, è “la preoccupazione” di sentirsi “defraudato” di quei privilegi “temporali” del tempo che fu, che gli “sfuggono” come l’acqua dalla mano che non riesce a trattenere. E non è l’unico..; che non aiutano pensieri e riflessioni per essere innovativi, propositivi e attuali. Tutti conosciamo la realtà sociale e politica quotidiana che ci viene imposta ormai da anni e la fatica nel procedere.
Spero che questo commento aiuti alla “ comprensione dell’ insieme”. Riguardo alla “confort zone” le chiedo di spiegarsi più nel dettaglio..e in italiano.
Cordiali saluti.
MCM
La comfort zone è lo stato mentale della persona che agisce in assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire rischio. Quando ci capita di andare oltre la zona di comfort, ci sentiamo vulnerabili e soggetti ad un alto grado di rischio, perché nella comfort zone siamo a nostro agio.
Non è mio dovere correggere opinioni di chi scrive articoli su Millecolline e nemmeno è di far cambiare stile a chi scrive per trasformarlo in qualcosa di più comodo per i lettori, quindi il prof. Franchino Falsetti è libero di scrivere ciò che sente (anch’io a volte non concordo con quanto scritto, quindi?) per poi condividerlo firmando i suoi articoli. La lettura dei suoi Editoriali riceve molti consensi ma riceve anche critiche dedicate al fatto che denunci situazioni mettendole in evidenza senza dare formule magiche per risolverle definitivamente. Ma siamo convinti che sia questo l’obiettivo di un testo in un editoiale? Io non lo so, mi limito a pubblicare opinioni e punti di vista senza censurare gli autori. Poi, detto fra noi, Millecolline è strutturato come una bancarella del mercato dove si arriva con una idea di acquisto e si “scarta” ciò che non piace.
Un suggerimento: si faccia pubblicare alcuni dei suoi testi e vediamo quali impressioni ne derivano.
Io aspetto.
A presto,
Roberto Cerè