Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 09/10/2022
Il disagio di vivere normale
L’epoca del dopo Covid è iniziata, anche se non abbiamo ancora vinto questo terribile e devastante virus a livello mondiale. Ma troppi sono gli avvenimenti che nel frattempo sono esplosi e l’uomo si preoccupa di nuovo della propria incolumità e delle necessità primarie per garantire il massimo del benessere, fronteggiando una grave crisi nel settore energetico ed ambientale.
Il conflitto russo-ucraino ha aggiunto ulteriori preoccupazioni per aver prodotto nel mondo Occidentale nuove tensioni, incertezze e timori per il mantenimento della pace. Un problema, va ricordato, che ha fatto scatenare le ritorsioni delle risorse utilizzate finora e la rottura delle relazioni diplomatiche, una sorta di belligeranza permanente in cui l’intera Europa ha cominciato a soffrire improvvisamente ed a scoprire la propria fragilità e l’incuria con cui si è vissuti in questi ultimi decenni di apparente trionfo di una certa agiatezza e ricchezza economico-industriale.
Con questa nuova crisi esistenziale oltre che produttiva e commerciale, ci troviamo ad usare, seppur senza alcun entusiasmo, il prefisso “post” e sembra che ci farà compagnia per molti decenni in avvenire. Il post è il nuovo regolatore del processo di ridimensionamento, di azzeramento, di cambiamento, di adattamento, di rinuncia rispetto a quanto avevamo conquistato e di cui eravamo fieri e svogliati consumatori. Infatti oggi consumiamo di meno a seguito del post- società opulente; la globalizzazione è stata ridimensionata e per alcuni prodotti resa inesistente; abbiamo perso il gusto edonistico della vita, i piaceri della quotidianità, degli appuntamenti gastronomici, degli incontri d’intrattenimento, del sentirsi protagonista di soddisfazioni di desideri o di esperienze del tutto voluttuarie. I divertimenti sono diminuiti, prevale un senso di paura che non avevamo mai conosciuto.
Anche il mondo giovanile ha perso le sue tradizionali “ribellioni”: gli studenti, per esempio, rispondono non tanto a denunciare le inefficienze del pianeta scolastico italiano, quanto per un processo di imitazione con le generazioni precedenti o semplici pretesti per uscire dalla noia di questo particolare mestiere quello di essere giovane obbligato studente.
Le città si sono spente, anche se, per ragioni di competizioni campanilistiche (questo retaggio continua, anche se mascherato) viviamo di molto circenses, anche sotto forme di nuovi allucinogeni sociali: sagre paesane nei quartieri, aumento di mercatini e centri commerciali, intrattenimenti virtuali per dimostrare le nuove conquiste tecnologiche ed informatiche, un’orgia di Festival in tutta Italia con argomenti diversi, ma con quasi gli stessi attori (una sorta di Circo equestre vagante per varie piazze più o meno di ricca evocazione storica).
E poi bisogna provare a ritornare alle buone abitudini ed allora non possono mancare i rinnovi dei Cartelloni delle stagioni liriche, sinfoniche, di musica jazz, della prosa, delle avanguardie (promosse dalle centinaia di migliaia di associazioni, cooperative, gruppi improvvisati, una vera invasione di cose ripetitive, insulse, inutili, senza pudore). Importante è fare.
Nessuna verifica, nessun controllo perché ciò che si propone alla fine serva a qualcosa, oppure sia un robusto antidoto proprio alla solitudine dell’uomo post. Questo è il vero problema: la paura, la perdita dei valori conquistati, la nostra precedente vita costellata non di cose ma di utopie, di avvenire, di futuro, di progetti, di animosità e di visibilità, tutto questo viene affrontato con la logica delle Feste, delle gare, delle maratone, delle coppe da regalare ai soliti abbonati, dei cerimoniali e dei nuovi slogan come: accoglienza, solidarietà, integrazione, condivisione, comunità, emigrazione, ambientalismo.
La pericolosità non sta nell’aver definito le società moderne “liquide”, cioè prive di identità e progettualità etico-sociale, ma nell’aver ulteriormente dimezzato la persona umana, di averla resa oggetto e non più soggetto. Una “disfatta della ragione”, un impoverimento delle conoscenze, dell’autonomia del sapere, un ritorno e largamente diffuso nichilismo nel paese. Siamo diventati non solo più poveri economicamente, ma moralmente, culturalmente e socialmente. La politica e l’antipolitica sono gli artefici di questo nuovo malessere del vivere. Abbiamo perso l’ottimismo, la gioia di esserci, l’avventura di vivere.
Franchino Falsetti