MIP di Miriam Bruni. Paolo Polvani: “Una fame chiara”.

Miry in Poetry, nota di lettura dedicata a “Una fame chiara”

Paolo Polvani, di Miriam Bruni

Pubblicato il 22/02/2021

 

Dentro le braccia ci sei tu, nella più bella cartolina del mio cuore

Paolo Polvani ha dato alle stampe una raccolta poetica dal titolo accattivante e gentile insieme: “Una fame chiara”, due termini che accostano due mondi, a mio vedere: da una parte quello dell’esigenza fisica e dall’altra quello della capacità contemplativa, nel distacco dai propri bisogni.

É come se Paolo volesse parlarci di una fame che egli trova luminosa, legittima, attraente.

Quasi tutte le liriche di questo libro sono strutturate sulla forma del dialogo tra un “io” e un “tu”, nella complementarietà dell’incontro tra maschio e femmina, nel loro cercarsi, guardarsi, tenersi, congedarsi. “Le tue mani forse mi cercavano, tentavano un approdo, ma tu lo sai che il nostro sole è la solitudine”: con questi enigmatici e magnetici versi, Polvani dimostra grande consapevolezza e rispetto. Circa l’inevitabile solitudine di cui è intessuta la vita umana, e circa l’alterità del mondo femminile, che l’autore non ama mai forzare, indovinare, quanto piuttosto indagare, approfondire, inventariare (come si può recepire chiaramente in “Morbidezze”, pag. 31)

Dell’incontro amoroso egli ci svela i sentimenti di paura, euforia, desiderio di abitarsi – “Io sento che qui”, (pag. 37).

Ci racconta come la voce dell’amata corra incontro alla fame dell’amante (pag. 45), di più, ci evidenzia come le sue parole provochino “un sotterraneo smarrimento”. Sì, perché la tensione e l’esperienza amorose sono ambivalenti per natura e avvengono, si svolgono in un luogo appartato, interiore. In esse ci smarriamo e ci ritroviamo, proviamo tormento e meraviglia, come è ben espresso e restituito in poesia negli ultimi 4 versi di “Piccoli morsi dell’amore cannibale”: l’amore “ti insinua l’illusione / della felicità da bere a sorsi / ma poi ti atterra, ti divora a morsi” (pag.18)!

Cantore del mondo naturale e delle sue bellezze, Polvani lega spesso la donna – amica o amata che sia – al paesaggio descritto, quasi mescolandone i sapori e i doni. Due realtà in effetti che le tradizioni letterario-poetiche ed anche grandi autori come ad esempio Pablo Neruda ci hanno sovente consegnato coniugate, fuse, potenziate l’un l’altra.

Questo lo si ritrova specialmente nelle liriche “Il tuo respiro” (pag.51) e “Sei tu gli alberi” (pag.54).

É una melodia pressoché regolare e costante, un felice canto della sete d’amare e del nutrirsi d’amore che a tratti si arricchisce di note più “acute” e di altre più “gravi”. Dico questo in riferimento a due poesie in particolare: “Canzoncina ferrarese”, (pag. 8), dove è l’amata a prendere decisamente il sopravvento sulla consueta contemplazione del paesaggio – come a dire che è proprio l’alterità umana che può soddisfare quella “sete” che tutti avvertiamo in cuore – e la profonda e toccante poesia “Le domande che non mi fai” in cui al contrario l’uomo si ritrova incompreso e solo, tenuto ai margini.  “Tu non vuoi sapere di quella volta in discesa, e dei laghi / sfiorati dalla bicicletta, delle foreste e di un canto / sussurrato appena per non svegliare il silenzio degli alberi / mentre l’alba si specchiava nel collo bianco dei cigni” “Tu non fai l’appello delle nuvole, non sai se sono felice / e se piove, se intraprendo cammini terrestri, o se un vento / si leva improvviso” (pag.47)

Concludo con le stesse parole conclusive di Paolo, che forse racchiudono il segreto della sua vitalità: sebbene l’infelicità trovi sempre “nuove ragioni cui appigliarsi, noi confidiamo” – scrive – “nella luminosità della poesia, nel linguaggio tortuoso della fame”.

                                                                                                                               

Miriam Bruni – 22.02.2021

Nota di lettura a

“Una fame chiara”

di Paolo Polvani

Terra d’Ulivi, 2014

                                               

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