Ci salverà il ritorno all’ arte sacra?

Siamo già privi  di quella antica lanterna che serviva a Diogene di cercare l’Uomo (?)

Un nuovo scopo per l’Arte Sacra

 

Pubblicato il 07/06/2020

 

Da alcuni mesi stiamo vivendo un tempo storico indecifrabile, pieno di allarmismi, menzogne, paure, e situazioni, quasi, terroristiche, sulla nostra esistenza e, soprattutto, sulla nostra precarietà e fragilità. Gli interrogativi sono tanti. Le risposte molto poche. Il pianeta Terra è perturbato da un essere invisibile di nome coronavirus che ha scatenato quella che viene definita pandemia.

Se prima l’uomo era arrivato al culmine del suo smarrimento epocale, sociale e culturale, oggi c’è il rischio della disperazione, del senso dell’abbandono, del non sapere nulla della nostra esistenza e della nostra Memoria Storica.

Questo terrificante virus, al di là dei mass media e dei network che ci inondano di scemenze e di vacuità, come se non fosse accaduto nulla, tutto ci fa percepire che le cose non saranno più come prima. Anzi ho la sensazione che tutto quello che abbiamo ricevuto dalle generazioni precedenti, l’immenso patrimonio librario e culturale, verrà vanificato in tempi molto brevi. E la nostra Memoria, i nostri ricordi, la nostra formazione, sarà solo patrimonio di archivi, di depositi, di collezionismi, di musei.

 

 

Musei non più dell’arte o degli eventi storici, ma di un’umanità che inventerà nuovi strumenti del fare e del pensare.

Nascerà una nuova lingua, nuovi dizionari, nuovi sistemi di vita  e di relazioni. Saremo esseri viventi programmati, privi, soprattutto di coscienza, di consapevolezza, di autonomie critiche e di pensiero.

I primordi li avevamo già incontrati e non avevano costituito alcun segnale di preoccupazione. Infatti, senza voler ipotizzare quello che sarà il futuro prossimo della nostra presenza su questa Terra, viviamo un’epoca dove prevale il presente, la sua attualità , la sua realizzazione. Si sono persi i valori e le tradizioni e tutto si vive senza memoria, senza alcuna nota di conquista di un passato non per riviverne sensazioni spettacolari, ma per arricchire il proprio patrimonio di essenza vitale, di manifestazione concreta di ciò che agisce in noi e di cui diviene oggetto di comunicazione e di relazione consapevole. I desideri non esistono più , perché non usiamo più il tempo “futuro”. Tutto si è appiattito sul tavolo del mercato, del pensiero unico, del consumismo indifferenziato e superfluo. Non siamo più capaci di fruire di messaggi a cui rispondere con motivazioni, preferiamo i “massaggi”, perché abbiamo bisogno di essere consolati, massaggiati, rassicurati.

Viviamo l’era dell’ansiolitico. Stiamo vivendo un mondo deprivato dove il vivere è sinonimo di occasionalità, ed il pensiero si fa sempre più findus ( ripetitivo, uguale, imitativo, vuoto, incomunicabile ). Senza troppa enfasi siamo già diventati degli “automi”. Ci muoviamo, di fatto, in un altro mondo. Stiamo realizzando una irreversibile “mutazione” non solo antropologica, ma di essenza, di esistenza, di inevitabile identità umana e sociale.

Tutto ciò che vive attorno a noi fa parte di ciò che ci ha condotto finora: i musei, le pinacoteche, le gallerie d’arte, i mercati, la produzione industriale, le scoperte scientifiche, l’esaltazione tecnologica ed informatica, la volontà distruttiva e di nuovi orizzonti di dominio e di poteri planetari, non sono che necessari orpelli di questa deriva culturale, in cui l’uomo contemporaneo e del futuro prossimo ne stanno, surrettiziamente, cancellando ogni traccia, ogni verità, ogni senso di vera rinascita, senza alcun ritorno. Non è più piacevole il “naufragare” nelle tempestose negatività del Tempo storico ed umano, siamo già privi  di quella antica lanterna che serviva a Diogene di cercare l’Uomo.

Tutto questo che sembrerebbe un lungo preambolo, un quadro quasi catastrofico dell’età del XXI secolo, in effetti è una premessa a quanto si possa nuovamente ripensare.

L’uomo contemporaneo è da tempo in “rivolta” ed ha conquistato solo dell’angoscia e della solitudine. Siamo entrati nella cosiddetta “società liquida” e questa ci ha creato una nuova categoria: gli smarriti. Anche la Chiesa non guarda più in cielo. La teologia è sempre più una materia accademica per una particolare editoria religiosa. L’uomo d’oggi non cerca più il volto di Gesù, non vuole leggere i testi sacri, non vuole essere educato al senso comparativo delle cose e del Tempo. La storia delle civiltà non sono più oggetto di approfondimenti, di conoscenze finalizzate ad una continuità, ma soprattutto, a spiegazioni della loro nascita, del loro divenire, della loto attualità. Come può l’uomo contemporaneo e quello del futuro riconquistare nuova consapevolezza di sé, dei propri interrogativi, delle proprie indagini esistenziali,del sentirsi, davvero, protagonista di un agire autonomo sociale e morale?

Sono convinto che bisogna ridare la parola agli artisti, seguendo l’orientamento di Paolo VI, quando in una famosa Omelia del 7 maggio 1964, con fermezza, tra l’altro sosteneva, rivolgendosi all’incontro con gli artisti italiani: -”Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché. Come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio”.

Ma accanto a questo accorato appello desidero richiamare anche un’altra importante visione. Questa espressa dal grande  Paul Klee: -“L’arte gioca, senza avere dubbi in proposito, con la realtà ultima e tuttavia la raggiunge effettivamente. Allo stesso modo  che un bambino nel suo gioco ci imita, noi imitiamo nel gioco dell’arte le forze che hanno creato e creano il mondo”.

La cultura dell’odio, un ritorno a forme di ostracismo e persecuzione religiosa, ci fanno capire che l’uomo ha perso la sua centralità e la ricchezza delle sue conquiste, delle sue sfide, del suo interloquire con un altro mondo, invisibile, ma “guida” per le sue “sicurezze” etiche e morali.

Una Società deprivata del proprio patrimonio culturale e formativo è destinata ad aprirsi a tempi davvero “bui”.

Una Società che non possiede più il senso della religiosità, della ricerca interiore, dell’intimo dialogo con la Fede, con il senso e la “meraviglia del “sacro”, è destinata alla sua decomposizione.

E’ qui che bisogna ritornare a quella forte attrazione che può provocare solo ciò che ci “meraviglia”. Non è tanto il ritorno alla “Bellezza, all’ Estetica del Rinascimento, perché il Tempo le ha trasformate e noi viviamo oggi di storia della Bellezza, e dell’Estetica, ma non siamo più capaci di ri-inventarle, perché Il Tempo e l’Essere non abitano più qui, in questa epoca e in quelle che verranno. Dobbiamo pensare gli artisti non atei, non profani, non sperimentatori di Fede, di Liturgie, di Comunità religiose, dei miscredenti, degli alimentatori di mercato dissacrante e blasfemo. Gli artisti devono essere devozionali non per la Chiesa ma per un nuovo Apostolato. L’uomo deve riscoprire il volto di Gesù, deve riscoprire il mondo che ha dato giustificazione al divenire umano, alla sua identità religiosa e misteriosa. L’uomo contemporaneo deve, soprattutto, riscoprire il “Sacro”, perché è da qui che può rinascere la religione cristiana cattolica. “Il Sacro”, come lo definisce l’unico grande studioso Rudolf Otto:  “Numinoso” ( se si può ricavare da omen ominoso, si potrà anche ricavare da numen) , intendendo con esso una speciale categoria numinosa che interpreti e valuti, e uno stato d’animo numinoso che subentra ogniqualvolta quella categoria sia applicata, vale a dire quando un oggetto è pensato come numinoso”.  Non è un nuovo insegnamento, ma è una necessario ripensamento dello Spirito dal quale può discendere questa antica consapevolezza di rendere la “materia” un “Io” pensante, una identità con ciò che più si avvicina al nostro modo di sperare di gioire degli oggetti e della Natura che devono continuare a meraviglirarci .

                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Franchino Falsetti

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