La famiglia dell’uomo, attorno al Gigante

Quasi seduto. Vicino al Gigante. Osservo gli uomini e le donne che lo circondano: molti si fermano per farsi una foto, altri gli passano vicino con fretta e pensieri, altri ancora intrattengono i turisti o fanno due chiacchiere; mi chiedo quale mondo ci sia nel loro passaggio. Decido di scoprirne un pezzetto attraverso le fotografie e cercando di fare la loro conoscenza. Immaginate questo articolo come un grande paniere in cui, ogni tanto, vengono messi racconti della umanità attorno al Gigante. Buona lettura.

La domenica di Pasqua

Oggi ci sono molte persone che sembrano impegnate a vedere, rapidamente, il più possibile della città. Non so ancora se ho scelto il giorno giusto per raccontare queste persone attorno al Gigante tanto mi sembrano sfuggenti. Il primo caldo mostra ed evidenzia quello che mia mamma chiama il “momento dei malvestiti”, naturalmente non si riferisce al look ma alla varietà di abbigliamento che può passare dalla maglietta a manica corta a un cappottino con sciarpina ( la scialpina) avvolta attorno al collo in pochi metri quadrati di distanza l’uno dall’altro. E’ in questo momento “malvestito” che mi ritrovo e ho come l’impressione che le persone attorno a me siano completamente coinvolte in questa definizione  e non solo nel loro abbigliamento. Io stesso mi aggiro senza trovare particolari punti di attenzione, davvero ho sbagliato giornata?

Quasi un "Highway 61 revisited". (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Quasi un “Highway 61 revisited”. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

No, naturalmente, e comincio a parlare con due amiche di un piccolo paese della provincia di Viterbo che si sono concesse un fine settimana a Bologna organizzandosi loro tutto il viaggio. Non perdono occasione per dirmi quanto piaccia questa città e le loro considerazioni cominciano a farmi vedere la giornata in modo diverso. Ci salutiamo, ma prima hanno bisogno di una indicazione: -“Quale strada dobbiamo fare per andare a vedere la casa di Lucio Dalla?”. Bhè, da Piazza Ravegnana le indicazioni sono piuttosto semplici e, nonostante la mia caratteristica provinciale, posso indicare questa loro meta con molta semplicità. Lascio le vie maggiori per entrare nel dedalo delle piccole strade del centro; ad un certo punto mi chiedo da che parte provenga quella musica divertente e la seguo.

Mojito, il funambolo. (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Mojito, il funambolo. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

Non molto distante scopro la ragione di quel motivetto e lo associo subito ad un motivo circense; già, perchè c’è qualcuno che ha teso una corda fra una grata e un palo segnaletico vicino al portico ed ora ci sta camminando sopra. E’ un funambolo minuto ed agile che sale e scende dal suo palco sospeso e strampalato con grande facilità. Il funambolo si fa aiutare ogni tanto da qualche bambino presente fra la folla e molti di loro si incantano, naso in su e bocca aperta, quando arrivano sotto la sua fune e gli passano i birilli. Fra una piccola esibizione e l’altra chiede di riempire il cappello che si trova poco vicino: – “Naturalmente la richiesta non si rivolge al pubblico turista cinese che ha notoriamente il braccino corto per sostenere le nostre attività”. Mi sorprende la serenità con cui afferma queste parole. Poi passa ad altro e sale il palo da cui si avvia la fune. A fine spettacolo si riposa un po’ e capisco che quello è il momento giusto per presentarmi: – “Ah, sei uno dei pochi fotografi che si presenta, in genere si fermano, fanno una serie di scatti a raffica, ti giri e non ci sono più. Poi, magari, scopri da qualche parte sul web che sei fotografato e nemmeno compare il tuo nome. Compari così, come un funambolo perfetto nessuno”. Parla un ottimo italiano che tradisce solo minimamente l’accento delle sue radici: -“Sono nato a Salonicco, in Grecia, ma ormai non la vedo da tanto tempo; sono sempre in giro per mezza Europa”. Beve. -“Mi chiamo Mojito e sono in strada a fare spettacoli da più di 20 anni; ho imparato questa arte proprio sulla strada, poi ho fatto corsi di approfondimento, piccole scuole e tanti, tanti chilometri fra le strade di Francia, Germania Italia e Spagna, è qui che ho deciso di adottare Mojito come nome d’arte”.

Interno del Palazzo Comunale. (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Interno del Palazzo Comunale. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

Uno sguardo verso la vecchia serranda verde poi continua: -“Sto facendo uno spettacolo come sempre a mio rischio e pericolo, la situazione per noi funamboli non è facile, non solo per la salute ma soprattutto per la “situazione”; nessuno si prodiga per farci lavorare in città con adeguate autorizzazioni, così, per rendere viva la città ed attrarre turisti, dobbiamo rischiare un teatrino volante, fare una piccola comparsata, smontare tutto poi andarcene. Questo è triste.” La vecchia serranda verde nasconde un segreto: appoggiati a quel ferro colorato ci sono i suoi due figli e la sua compagna che sorridono e scambiano anche loro due parole. Fra un po’ se ne dovranno andare, non possono rischiare più di tanto; far distrarre le persone, divertirle, farle sorridere e stupire dovrebbe meritare una gestione più presente per una città che si racconta di essere aperta al turismo.

Pochi passi e sono di nuovo su via Rizzoli, mi giro, vedo le due torri e, sul lato del marciapiede, una figura minuta (questa volta femminile) è completamente presa dal suo disegno sui lastroni della strada. Ricordo ora che l’avevo notata all’andata e che il suo disegno non era ancora chiaramente comprensibile perchè appena iniziato. Ora pero il disegno ha dei colori ed è più definito, mi avvicino pensando ad un disegno sacro ma così non è: sui lastroni di via Rizzoli fanno capolino due eroi della mia infanzia: Stalio ed Ollio. Non posso non fermarmi.

Dipinge Stalio e Ollio, Feshteh Fatemi. (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Dipinge Stalio e Ollio, Feshteh Fatemi. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

-” Mi chiamo Feshteh Fatemi, vengo da Teheran in Iran e sto studiando a Bologna, all’Accademia delle Belle Arti”.  Parla mentre continua a disegnare ed ha le mani intrise di ogni colore donato a questo Globo Terracqueo, io non sono sicuro di aver capito bene il suo nome e il sospetto di poterlo scrivere male mi fa chiedere se è possibile che me lo scriva lei, così, per non sbagliare. Lei, con una gentilezza di non questi luoghi, chiede una biro poi comincia a scrivere il suo nome in caratteri maiuscoli, guardo mentre scrive in maniera incerta poi capisco: non deve essere facile scrivere il proprio nome, con le nostre lettere, per una persona araba che si trova in Italia da pochi mesi. Chiedo se è contenta di “abitare” con noi e se la città crea difficoltà per quanto abbia bisogno. Lei risponde di essere contenta e che non ha mai riscontrato problemi di nessun genere. Continua a dipingere e pare incuriosita del fatto di essere al centro di una specie di “intervista” imprevista. Intanto Stalio ed Ollio stanno prendendo sempre più forma e colore. Saluto Feshteh, gli dico che gli invierò alcune foto e mi incammino verso l’autobus.

Roberto Cerè

 

 

 

 

 

 

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Sabato di fine inverno

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Incontri casuali. Piazza Maggiore. Ph Roberto Cerè, 2016.
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La cantante lirica del trenino. Ph Roberto Cerè, 2016.
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Incontri Casuali, Bologna centro. Ph. Roberto Cerè, 2106.

C’è un trenino bianco che parte da Piazza Maggiore e porta i turisti in giro per il centro città. Sabato prossimo avrò un po’ più di tempo e farò un giretto anch’io su quel trenino; intanto mi avvicino per informarmi degli orari delle sue partenze  e vedo che dal finestrino della locomotiva si affaccia un viso allegro, mi preparo a scattare una foto ma la signora si schernisce dicendo che nelle foto non viene mai bene; visto che, con me, è un argomento che non regge io scatto comunque e il rumore del click fa sorridere il mio soggetto poi gli racconto che sto lavorando ad un articolo per la rivista web che si chiama Millecolline  -“Sa che io sono una cantante lirica? Aspetti che una signora vuole fare un biglietto” e dall’ interno della locomotiva sbuca un grosso aggeggio con un manico e con molti tastini colorati che serve a produrre i biglietti per il trenino. Ecco, i biglietti sono pronti e consegnati. –“Sa che ho deciso di riprendere a cantare e che mi sto organizzando per un rientro al bel canto dopo qualche tempo di interruzione?”. Bene. -“Aspetti che c’è qualcuno che ha bisogno di una informazione turistica”. Capisco che il mio intervento è arrivato al termine utile per non distrarre dal lavoro la signora e decido di salutarla e lei, intanto, fa altri biglietti per il trenino.

Un gruppo di amici, con magliette arancioni ed una scritta sulla schiena a ricordare il fatto che, da sposati non si potranno più fare baldorie come quelle, si sta avvicinando al Gigante e sta tracciando un percorso che ha, da tempo, dimenticato la linea retta. Guardando sia le loro facce rubizze che la bandierina stampata davanti alle loro T-shirt  mi ricordo che oggi è una delle giornate della festa irlandese e, di sicuro, questi buontemponi arrivano in piazza da turisti provenendo da quei luoghi. Sono però italiani, di Piacenza, e sono in “baracca” perché uno dei loro amici si sposerà domenica; festeggiano in quel modo il suo addio al celibato, si avvicinano allegri poi si mettono in posa per una foto di gruppo, come se fossero una squadra di calcetto prima della finale del torneo dei bar. Mi chiedo come potrò mettermi d’accordo per mandargli la foto ma loro non ci pensano nemmeno e continuano a scherzare. Uno di loro svela il motivo di quella baldoria: -“Un nostro amico domenica si sposerà e si sposerà con una inglesina. Per questo motivo lo abbiamo portato alla festa celtica di Bologna”.

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Si sposa una inglesina. Ph. Roberto Cerè, 2016.
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Incontri casuali, Bologna centro. Ph Roberto Cerè, 2016.

Guardando meglio vedo che solo uno di loro non è vestito con la maglietta arancione; -“E’ lui che si sposa!” dicono in coro, ed ecco che sbuca, come dal nulla, un ragazzo con la barba folta vestito con un improbabile tubino a gonna corta color turchese acceso e una grande bandiera inglese disegnata sul davanti, barcolla ancor più di tutta la compagnia messa assieme e regale sorrisi a tutti i passanti. Come sono arrivati se ne vanno.

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Cesari, meccanico di motori diesel. Ph. Roberto Cerè, 2016.
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Incontri casuali, Piazza Maggiore. Ph. Roberto Cerè, 2016.

Cesari ha ormai 85 anni e oggi suona la sua armonica sotto l’ombra del Gigante; la suona a modo suo, nel modo che ha imparato, del resto ha lavorato per 60 anni nella sua autofficina dove aggiustava solo motori diesel e solo quelli dei camion, non poteva distrarsi. Il suo è stato un lavoro duro, senza sosta, nemmeno alla domenica perché poteva essere chiamato per far ripartire un camion bloccato chissà dove, i camion erano la sua passione. Poi la pensione e poi la disgrazia (o forse il contrario): Cesari perde la moglie e nei giorni in cui l’assiste si accorge di non aver combinato poi così tanto durante la sua vita, intensa, di meccanico senza tempo per gli affetti. Ora ci sono occhi malinconici e sereni a raccontarlo, con grande semplicità e comprensione dice: -“Io ho imparato da solo a suonare l’armonica, per sentire una compagnia, non conosco la musica ma suono l’armonica perché ne ho bisogno per sentirmi bene”. Parla in modo diretto e senza tanti fronzoli, ogni tanto inserisce una frase in dialetto di città (io sono di campagna e noto la differenza) e lo inserisce assieme a giuste frasi in italiano; è un suono che non ascoltavo da tempo e il risultato è come di una piccola sinfonia umana.  Dopo una pausa mi dice: -“Oggi ho visto che si stava facendo una bella giornata e mi son chiesto cosa ci stavo a fare, da solo, in casa; allora ho preso su la mia armonica e sono uscito, poi ho preso l’autobus per arrivare in Piazza (Maggiore)”. Mentre parliamo si avvicinano due famiglie con delle bambine che si siedono sul bordo della fontana e Cesari le guarda con gli occhi di un nonno che ha appena visto le sue nipotine; a quel punto gli regala una suonatina con l’armonica e le intrattiene con vecchie storie, quelle che solo un nonno può raccontare. Le bambine si interrogano con sguardi stupiti; chi è mai questa persona che dedica tanta attenzione gratuitamente? Anche i loro genitori paiono divertiti e Cesari si trova a suo agio in questa tiepida giornata. Le saluta con un sorriso che sembra una risata e torna a raccontare un po’ della sua storia poi allarga le braccia e dice -“Vedi, alla mia età, cosa vuoi mai che faccia ormai?”. Io penso a mia mamma e a tutti gli anziani ricoverati che ho incontrato al Maggiore, senza un parente che possa andare a scambiare quattro chiacchere con loro, e, pensando a quanto potrebbe fare l’armonica di Cesari gli rispondo: – “Cesari, lei potrebbe fare ancora tantissimo, per tante persone”. Lui si ferma, con le braccia ancora aperte, forse capisce e si commuove per un istante, a quel punto decide di rivelarmi il suo nome e cognome, mai detto prima, nemmeno alla nostra presentazione.

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I colleghi del gourmet emiliano. Ph Roberto Cerè, 2016.

Camminare per i negozi attorno a quello che oggi si chiama Mercato di Mezzo è sempre stato interessante e oggi ci sono molti turisti in queste strette vie. Cammino a caso, -“Facci la foto”, e si mettono in posa; sono due colleghi vestiti con un camice bianco e lavorano in un fornitissimo negozio di specialità gastronomiche emiliane, uno di loro è in pausa pranzo e sta sbucciando una mela, l’altro dopo la foto rientra subito al lavoro. Ci sono molti pacchetti di mortadella sul banco in cui la persona si è scavata un posto per appoggiare le fette i mela e poco più in là non mancano i contenitori di Parmigiano Reggiano. Tanta gente passa accanto e comincia il racconto della mortadella e del leader di mercato che è rimasto tale perché ha saputo reinvestire in macchinari per migliorare la produzione. Continuando a sbucciare la sua mela il mio soggetto racconta alcune cose di quel lavoro che, ormai, fa da tanti anni e l’entusiasmo con cui racconta della mortadella mi fa pensare che sia proprio quel tipico prodotto emiliano a fornirgli la benzina.

Pillole corsare n°10 – Ci salveranno i nostri nipoti o i nostri pro-nipoti?

Ci salveranno i nostri nipoti o i nostri pro-nipoti?           [n.10]      

Alla fine degli anni quaranta, l’indimenticabile Leo Longanesi scrisse un libretto dove si considerava la condizione politica e sociale dell’Italia del dopoguerra ed indicava nelle”vecchie zie zitelle”, ultime amazzoni e laiche custodi di un “decorso che trovava nei propri sacrifici l’orgoglio di una tradizione storica da contrapporre alle spavalde classi dei ricchi e dei proletari”. Dopo  qualche anno, lo stesso Longanesi, sulle pagine de “Il Borghese”, settimanale da lui fondato e diretto fino alla sua morte, prendeva atto che queste “zie” avevano alla fine ceduto divenendo “libere” e rompendo ogni “vincolo” e liberandosi da ogni “pregiudizio”.

Tutto questo per compiacere alle loro nipoti, aderendo al “conformismo dell’Italia nuova”.

Di tempo ne è passato, dopo oltre sessant’anni, il desiderio di pensare che si possa ancora soccorrere questa “nave” Italia, è ritornata alla mente.

I rivoluzionari “miti” della quotidianità che caratterizzarono il progresso (il cosiddetto boom economico ) della nuova Italia : dal frigorifero agli elettrodomestici di varia natura  alla televisione ed agli apparecchi radio e giradischi portatili, dal turismo di massa alla “vettura familiare”, dalla scuola di massa ai consumi di massa, modificarono, sostanzialmente e radicalmente, il costume e la cultura degli italiani.  Dalla fine del secolo scorso ad oggi si sono aggiunti “nuovi miti” che hanno , ulteriormente, trasformato il nostro essere sociale: come persona, cittadino ed italiano.

Le rivoluzioni tecnologiche e scientifiche , di fatto, hanno prodotto oggetti d’uso quotidiano di straordinario condizionamento  non solo sul nostro modo di vivere, ma sulla nostra sfera psichica, intellettiva e di apprendimento. L’Italia si è così uniformata ai agli altri paesi più industrializzati del mondo europeo ed occidentale

Senza voler rievocare una certa morale flaubertiana o ricordare le illuminanti pagine di Roland Barthes ( nel suo mirabile catalogo della cultura popolare e dei miti borghesi, analizzati attraverso una modalità smitizzante dei suoi luminosi ingannevoli simboli – 1957 ), il catalogo aggiornato dei nuovi idola contemporanei, ci provoca l’incontrollato senso di smarrimento e di vuoto dovuto alla furia provocata dalla “vertigine creativa”. L’Italia, improvvisamente, è divenuto un territorio fertile per ogni sfrenata fonte di consumo materiale senza limiti. L’Italia degli ideali, della sua storia, della inimitabile bellezza, si è sciolta come una semplice “margherina”, nel soffritto dell’incuria, degli abbandoni, delle ipocrisie, dell’indefferenza, degli eccessi affaristici e nell’egoismo più incontrollato.

Dal computer al cellulare, dal processo di informatizzazione di ogni oggetto ed azione umana, dalla robotica alla velocità planetaria dei mezzi di informazione, una vera alluvione, dove l’uomo del XXI secolo è naufragato insieme alla sua coscienza ed ai suoi valori a cui eravamo ancora legati. Anche il nostro Paese rischia di acquisire e di uniformarsi alla coscienza informatica ad una sorta di agglutinazione di ogni forma di sapere e di interpretazione legata alle modalità cognitive e conoscitive dei microprocessori. I nostri nipoti o , forse, i nostri pro-nipoti, potranno salvarci da questo mortale virus del non essere?

Piccolo evviva (W). Ph. Roberto Cerè, 2015.
Piccolo evviva (W). Ph. Roberto Cerè, 2015.

Franchino Falsetti

Temperie che spettacolo

Calcara di Crespellano in Valsamoggia (Bo), marzo 2016. Sono 10 gli anni di attività che il Teatro delle Temperie  festeggia quest’anno e lo fa con un cartellone 2015/2016 molto nutrito e variegato ma qual’è il motore che spinge le scelte per una stagione teatrale? E qual’è il rapporto fra il teatro e il suo pubblico? Lo abbiamo chiesto a Margherita Zanardi in questo video che vi presentiamo.

Produzioni Millecolline.

Diritti Riservati.

Nassim Honaryar espone dall’8 marzo a Vignola

ANTEPRIMA – Nassim Honaryar è una pittrice che arriva da lontano ma che vive a Vignola da qualche anno e l’8 marzo inaugurerà una sua mostra personale nei locali della piscina di Vignola a partire dalle 20:30. Questa ci è parsa una buona occasione per presentare una nuova arista e per festeggiare la festa della donna. Dobbiamo dire che non conosciamo personalmente Nassim perché ci ha contattato attraverso il web, ma sappiamo che ha già esposto in gallerie bolognesi e ci è parso normale che una rivista d’arte web, come la nostra, possa presentare anteprime di artisti conosciuti attraverso la rete delegando ad un successivo appuntamento il piacere di conoscerci di persona. Un po’ come in certi film del cinema che ci piace. Come primizia vi facciamo vedere due dei lavori che potrete vedere alla mostra di Nassim; da parte nostra non mancheremo di presentarvi l’artista con un videoreport “su misura”.  Rimanete in linea.

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Testo di Roberto Cerè per Millecolline.

Diritti Riservati

Non solo 8 marzo

E continuiamo a chiamarla donna…

Di Franchino Falsetti.

Il calendario ci richiama, ancora un a volta, alla memoria, che domani sarà l’8 marzo. Non più una ricorrenza religiosa, ma una ricorrenza civile: Festa della donna. Una festa che, ormai, non evoca più sentimenti di solidarietà o pieno sostegno all’altra metà del cielo. Una festa che è, inesorabilmente, passata nella “voragine” del mondo pubblicitario e dell’industria culturale italiana e mondiale. Le cartoline illustrate non sono più di moda e tutto si è trasformato nelle seducenti pubblicità, dove ancora la donna deve celebrare se stessa, la propria immagine, un’obbligata immagine di seduzione, di fonte di evanescenti piaceri e di edulcorati sentimenti. Una nuvola fumettistica che rende  questa importante appuntamento annuale, alla stregua dei “baci perugina”. Di fatti, dopo il 14 febbraio ( baci ) arriva l’8 marzo ( mimose e profumi ) e poi la festa della mamma nel mese di maggio, il mese delle rose (i colori dell’amore ).

Tre date obbligatorie nella supina ritualità contemporanea, dove si “festeggia” per dimenticare. La società post industriale e liquida continua ad imporci a vivere la vita come “costume” e non come “cultura”.

L’8 marzo dal 1914, in tutto il mondo ha sempre avuto significati diversi,  però legati al progresso ed all’emancipazione dei ruoli e dei diritti della donna. In Italia, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’UDI ( Unione Donne Italiane ) è stata una grande protagonista di molte battaglie significative e determinanti per questa causa, non solo nobile, ma necessaria, poiché l’uomo e la donna non sono due “categorie” da contrapporsi, ma due realtà naturali che vivono e convivono con la vita e ne sono parte inscindibile. Non abbiamo bisogno di giustificare o tollerare episodi che, ancora oggi, sono impensabili, ma accadono come se non esistesse la parola “civiltà”. Non si può pensare che i giornali, i mass media in generale, ogni giorno diffondano notizie di “inciviltà” e di offesa alla dignità della donna ed alla sua inviolabile integrità come persona.

Alda Merini

La donna non è un’altra cosa. Non è l’oggetto dei piaceri, né delle giustificate leggerezze dell’uomo desolato e sconsolato. Non è più ammissibile che una brutta parola come “femminicidio” possa imporsi come una fatalità che può snaturare la vita di una coppia, di una famiglia, di un’intera società. Non si può essere complici ed indifferenti a questo trend inammissibile ed ingiustificabile.

Penso che sia necessario far entrare nelle scuole di ogni ordine e grado non tanto l’ora di religione, quanto l’ora della cultura della persona nelle due espressioni caratterizzanti : uomo e donna. Questo non significa introdurre un’altra materia . Non abbiamo bisogno di trasformare la conoscenze del rispetto della persona e della personalità come se si dovesse procedere in senso “disciplinare”. Dovrebbero essere conversazioni di cultura e di dialogo costante, perché l’amore non è solo quello legato all’affettività dei sentimenti, ma alla conoscenza profonda del nostro modo di essere e di agire nelle diverse motivazioni e situazioni.

Avere questo tipo di educazione sentimentale vuol dire rendersi conto della propria persona e del proprio ruolo (come per esempio sapere del valore di diventare madre, cioè procreatrice: l’unica capace di dare vita e dare continuità al genere umano). Una tale consapevolezza non potrebbe mai giustificare l’aberrante ideologica “dell’utero in affitto”, di cui si parla, senza cultura, oggi, in Italia ed in certi paesi, certamente avanzati, ma che mortificano la donna, la sua libertà, la sua dignità. E non è solo l’uomo artefice di questa operazione che  cancella il valore supremo della maternità, ma sono, soprattutto, le donne che si sottomettono all’affermazione di nuove forme di sfruttamento e di negazione di ciò che è di più naturale e straordinario tra gli eventi vitali : la maternità senza alcuna speculazione né privata né pubblica ( nel senso di mercato omologante delle nascite ).

La Donna deve riprendersi la sua specificità, il suo status, il suo ruolo.

I suoi diritti sono quelli dell’uomo ed insieme devono realizzare il sogno di una umanità più serena , nella continuità di valori , che, come la nascita, diventano la vita per tutti noi e per le generazioni che verranno.

Se l’ideale di Bellezza è Donna, allora dovremo, nel giorno di domani,

8 marzo,e, non solo, scrivere questo biglietto di auguri:

“ Ave, Signora della Terra, piena di Amore e di Bellezza, il tuo uomo è con te ed insieme, procederemo per rendere questo mondo meno egoista, più vivibile e più sereno. Lavoreremo, nel calore degli affetti e del rispetto reciproco, per consegnare ai nostri figli, alle nostre comunità una educazione e formazione per una sentita e partecipata coscienza solidale e fraterna per tutti”.

 

Franchino Falsetti

 

Produzioni Millecolline

Diritti Riservati