Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 24/03/2024
Proibito parlare, dialogare, dissentire
Sono verbi evocativi di altri tre (credere, obbedire, combattere) di triste memoria, che in questi tempi di disordine totale vengono sintetizzati con la parola fascismo.
Un periodo nefasto che viene usato come sinonimo di ottusità, incomprensione, intolleranza e abuso di potere. Tutti vizi capitali che hanno altri sinonimi come comunismo, governi antidemocratici, dittature di varia natura.
La democrazia si trasforma in demagogia quando vengono negate non solo le libertà basilari, ma si snaturano i rapporti tra maggioranza e minoranza, tra i ruoli delle responsabilità civili, sociali e politiche, quando diventa autoritaria e dispotica.
Noi stiamo vivendo questo declino, queste trasformazioni, e nessuno se ne preoccupa. Anzi si continua ad assistere a spettacoli indecorosi nelle varie Assemblee pubbliche e parlamentari.
Il dialogo, il saper motivare, argomentare sui vari problemi della “cosa pubblica”: bisogna rileggere i discorsi di Carducci o di Croce o di De Gasperi.
Una carrellata di illustri sconosciuti che sanno solo essere arroganti, rissosi, oltraggiosi e belligeranti. Il nostro Parlamento è in ostaggio alla Democrazia, non esercita il diritto della parola, della dialettica, del dissenso senza ricorrere alle formule antiche dell’ostracismo e della “guerriglia semiologica”.
È questa una cultura diffusa della sopraffazione e della negazione totalizzante, che non risparmia neppure i semplici rapporti interpersonali: non ci si ascolta, quando si parla si tende ad affermare e non a dialogare, a soddisfare il proprio narcisismo e non a capire di cosa vogliamo discutere, qual è il problema che ci interessa e quali sono le nostre opinioni in merito.
È un medioevo non storico, ma esistenziale: abbiamo perso il senso del rispetto, dell’umiltà dei rapporti, del piacere della semplicità.
Intasiamo le città per diffondere i nuovi vangeli rappresentati dall’Expò, come il Cosmoprof. Un Brand mondiale con più di tre mila aziende espositrici, compresa la Palestina. Tutto viene paralizzato per questa grande fiera del nulla, dove non esistono valori da diffondere, ma merci effimere che commercializzano l’idea dell’immortalità del vivere della dea illusione.
In questo caso tutto è permesso: caos cittadino, impossibilità di muoversi, bus paralizzati, taxi inesistenti, camere a mille euro. Per alcuni giorni la democrazia viene “truccata” e messa in vetrine sfavillanti e tutti sono contenti perché queste sono le occasioni per dimostrare l’opulenza economica o il desiderio di essere un paese che conti economicamente.
Questa disgressione, molto attuale, non è un loisir dello scrivente, ma è una necessaria variabile per aprire altri cedimenti della democrazia: privilegiare il mercato alla cultura, alla scuola, alla sanità, all’educazione, alle competenze professionali.
La mancanza di un Piano organico di rilancio della “locomotiva Italia “ ha minato in questi ultimi cinquant’anni la scelta della via democratica e liberale mentre ha accentuato, in modo frammentario, le mille governabilità presenti sulle diverse Italie.
Tutti ignorano che il nostro Paese risente fortemente di questa complessa tipologia delle differenze sociali e storiche che caratterizzano i comuni e le regioni.
Un tempo si parlava delle tre Italie, oggi potremo, come ci ricordava il dimenticato grande giornalista e scrittore Arpino, riparlare delle Mille Italie. L’Italia è una nazione difficile da governare ma questo non preoccupa nessuno.
Abbiamo ancora realtà territoriali sprovviste di beni di consumi, di strade, di scuole, di biblioteche, di cinema, di luoghi di intrattenimento e d’incontro.
Il divario tra il Nord ed il Sud è drammatico e gli italiani non sono e saranno nordisti e sudisti, ma italiani a diciotto carati e italiani con la stella di latta. Non scrivo delle esagerazioni. Consiglio di scrivere un nuovo libro inchiesta intitolato: Da Lodi a Vibo Valentia, passando per Eboli.
L’autonomia regionale non è una radice quadrata della democrazia, nel nostro territorio ancora deprivato e ancora con zone in netta depressione ed arretratezza. È un atto selettivo e punitivo verso quella necessaria omogeneità che dovrebbe cancellare ogni sperequazione e dislivelli istituzionali, culturali e sociali, nonché strutturali.
Pertanto mentre l’Italia continua a vivere del suo “stellone”, i governanti sono incapaci di visioni unitarie, di pianificazioni territoriali, di investimenti di ricostruzione e di evitare segni allarmanti di insubordinazione e di disubbidienza (vedi gli ultimi episodi dove alcune Università hanno vietato di far parlare o di non invitare esponenti della vita pubblica, dell’editoria), trasformando, ancora una volta, la nostra scuola disastrata e malamente politicizzata, in centri di ostilità contro il Governo, contro popoli che hanno il diritto dell’autodeterminazione e di vivere in pace sulle loro terre.
Non essendoci una preparazione alla professione del politico, i rimedi e le risposte sono quelle ereditate. Quelle lette, come si diceva un tempo, sul Corrierino dei Piccoli.
Si convoca la Conferenza dei rettori dell’Università non per deliberare, ma per produrre documenti politici, dove si considerano importanti i tatticismi piuttosto che il necessario decisionismo, perché le Università non sono luoghi di contestazione, di occupazioni gratuite, di bivacchi e di stranezze disciplinari, è luogo di studi seri, di formazione seria, di ritorno alla frequenza della vera Accademia, a saper esprimere le competenze richieste per le vecchie e nuove professionalità.
C’è bisogno di ricostruire le nostre Università e fare degli studenti i nuovi samurai, difensori del proprio status e del proprio futuro.
I provvedimenti che descrivono il fare dell’emergenza non servono ai cambiamenti strutturali di cui la società italiana ha urgentemente bisogno.
Mentre lo “stivale” soffre di nanismo, le tre parole che hanno introdotto questo editoriale si stanno sviluppando e diffondendo.
Sono le parole d’ordine che sono applicate non solo dai governanti, ma da ogni responsabile civile e sociale (dagli insegnanti sempre più liberi di limitare la libertà dei propri alunni) oppure di assecondare i compromessi etnici, dimenticandosi che sono impiegati, dirigenti dello stato italiano e non prendono lo stipendio da nessuna organizzazione musulmana o di altra etnia.
Hanno questi stessi proibito le nostre tradizione cristiane, come se fossero degli stranieri, mentre italiani anch’essi, sicuri dell’assenza della Chiesa e dello Stato, hanno costretto i nostri alunni o studenti a rifiutare la nostra identità, non solo cristiana, ma della cultura italiana ed occidentale.
Come può l’Italia con questi innumerevoli episodi di violenza istituzionale, di censura arbitraria e individuale o collettiva, pensare di essere una Nazione democratica? Ciò accade nella gestione pubblica dove il primo che arriva comanda!
E come ciò che accade nel nostro Parlamento dove sembra di essere alla Fiera dei mercati generali, dove non si presentano disegni di legge, non si esercita la funzione di parlamentare (rappresentante del popolo) ma gli interessi di gruppi, di correnti, di segreterie, di complicità partitiche. Tutto genera odio, rivalità, situazioni che calpestano la gloriosa dignità storica del nostro Parlamento.
Un tempo non lontano la triade “credere, obbedire, combattere” fece vestire gli italiani tutti con la divisa fascista; l’obiettivo “proibire parlare, dialogare, dissentire” farà vestire gli italiani con la divisa dell’antidemocrazia.
Franchino Falsetti