Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 06/11/2022
Il giorno della Vittoria non basta ricordare
Erano i giorni di festa dalla scuola e dagli uffici. Erano chiamate le vacanze di Ogni Santi che comprendevano il 2 di novembre (commemorazione dei defunti) ed il 4 novembre (Anniversario della Vittoria – Prima Guerra Mondiale 1915-18).
E poi i governi democristiani pensarono che in Italia ci fossero troppe feste e questo poteva distrarre gli studenti, gli operai, gli impiegati, gli industriali. Così cancellarono la Befana (6 gennaio), il gruppo dei 4 giorni dei primi di novembre, lasciando solo la Festa di Tutti i Santi (1 novembre in reverenza alla Chiesa) e guarda caso cadde anche la il giorno di Festa delle Forze Armate italiane in onore della Vittoria sullo “straniero”.
Dopo gli anni della contestazione, delle lotte operaie e del terrorismo, molte tradizioni vennero cancellate ed in particolare certi valori che ancora si incontravano sui libri di testo, come: il concetto di Patria, di Nazione, di confini (non solo in senso geografico), di storia patria, di Unità d’Italia, della lingua italiana come identità ed appartenenza alla cultura italica.
Quella cultura che fece “mormorare il Piave…” e che portò “l’esercito austro-ungarico ad essere annientato”. Ogni anno si ricorda questa tragica e dolorosa pagina della storia d’Italia con il depositare le corone d’alloro ai piedi del Monumento al milite ignoto. Nessun discorso, nessuna rievocazione nelle scuole, nessuna manifestazione pubblica, come per il 25 aprile.
Sono date di sacrifici umani e di libertà. Sono date che non si devono ricordare per abitudini legate al rituale del calendario civile, alla ricorrenza di momenti decisionali per il progresso dei popoli, in vario modo, assoggettati, discriminati, perseguitati.
Sono date che si devono alimentare nella conoscenza, nello studio, nell’approfondimento di tutti quei valori che, nel frattempo, sono scomparsi e che sono stati sostituiti da mode consumistiche e da comportamenti evanescenti, effimeri ed edonistici.
Sono pagine di storia che non sono presenti nell’educazione e formazione dei giovani, delle nuove generazioni. E come vive testimonianze nelle nostre relazioni sociali e civili.
Non basta il ricordo annuale banalizzato dalla solita retorica e luoghi comuni. Bisogna, innanzitutto, credere in quello che si diede e lo si deve dire come se si insegnasse ad una classe di campagna: con semplicità, con trasporto, con convinzioni e col desiderio che queste pagine divengano immortali perché sono le pagine che hanno contribuito a far scrivere la nostra Costituzione repubblicana e democratica. Nulla nasce dal nulla. E la nostra democrazia è frutto degli ideali e del sacrificio del nostro Risorgimento, del sangue versato, del martirio di centinaia di migliaia di giovani soldati e civili che hanno combattuto per una Nazione libera e per un antico riscatto culturale politico. Non sono date che devono servire per risvegliare rancori, contrapposizioni ideologiche, espedienti propagandistici. La nostra Patria e vorrei che questo termine ritornasse con tutta la sua pregnanza valoriale e storica, ha bisogno di essere guarita da mali endemici di una politica, ormai, insensibile e faccendiera.
È opportuno che la scuola divenga la sede dove non solo si impara a conoscere, ma si acquisiscono quei “sacri valori” che corredano la dignità e la maturità della persona e ne delineano la formazione della personalità come perfetto cittadino e difensore dei valori inalienabili che ha ricevuto.
In questi giorni così densi di memorie e di riflessioni profonde sulla vita e sulla morte, ho ritenuto opportuno fare queste considerazioni nella speranza che i vari sabotaggi in corso siano al più presto neutralizzati e si possa rivedere una nuova luce e quel, non illusorio, ma ri- splendente “sol dell’avvenire”.
Al di là delle corbellerie urlate dagli improvvisati intellettuali di cui si abbonda oggi, valgano alcune righe estrapolate da un famoso discorso di uno degli artefici della Costituzione italiana, il grande Piero Calamandrei:
“… Nella nostra Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane […]”.
Franchino Falsetti