Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 22/05/2022
Il disagio di essere giovani oggi
Umberto Galimberti, filosofo, sociologo ed intellettuale onnivoro, alla moda, nel suo utile catalogo delle “idee” (pubblicato da Universale Economica Feltrinelli 1992 – 2013) non mette la voce giovane, ma poi ne parla, come suor Letizia, su tutti i giornali e rotocalchi, a volte, a ruota libera.
Questa non è una nota di rimprovero: la libertà personale è inviolabile ed anche uno studioso di provata fede, come Galimberti, può sentire il fascino del seminatore, come faceva il grande Bianciardi, che pur di guadagnare, non chiedeva alcuna garanzia. Importante che si stampi.
Ma il problema di cui vorrei soffermarmi in questo Editoriale rimane. Senza adombrare alcuna velleità personale o professionale, mi sembra che la condizione di questa delicata e fondamentale tappa della vita abbia avuto forti trasformazioni o vanificazioni a partire dagli anni cinquanta del secolo secolo.
Si sa che i “conflitti” generazionali sono una cifra dell’essere umano nel suo arco evolutivo e di maturità. Se si potessero registrare i comportamenti ed i contesti storico-sociali in cui si sono divaricate le realtà dei padri rispetto ai figli, non basterebbe l’intera circonferenza della nostra, ormai stanca Terra. Infiniti i discorsi, le lettere, i romanzi, i saggi, i film, le pièces teatrali e persino le musiche e le arti di ogni epoca, in particolare, quella elettronica e quelle provocatorie e dissacranti delle mode interculturali del tempo presente.
Le contestazioni non sono fenomeni improvvisati od isolati, sono sempre frutto delle trasformazioni socio-politiche dei vari Stati o popoli. La cultura del cambiamento, delle scelte in progress, degli abbandoni, delle tradizioni tradite o cancellate, condizionano quelle che si definiscono “nuove generazioni”. Ad ogni grande evento è seguito una radicale propensione alle diversità o contrapposizioni di idee, vedute, impostazioni, costumi, modi di vivere, ribellioni, violente contestazioni ed irriducibile separazioni tra un passato prossimo ed il presente corrente.
È certo che nell’antichità il giovane raggiunto l’età dei 16 anni diventava adulto, era considerato uomo e poteva partecipare alla vita pubblica e militare come i propri padri.
Cambiando gradualmente questo stato giuridico, il sacrificio che ne era richiesto, le rinunce ai desideri di una ancora giovanissima età, nel tempo ha procurato alterne vicende, conflitti provocati da odi, rivendicazioni, trasgressioni, fino alla mortale rivalità tra padri e figli, senza trascurare le alleanze ed le insidie provocate persino delle proprie madri.
In senso della famiglia era ancora lontano. Si parlava di convivenza e tolleranze e di poteri, a volte, drammatici del pater familias, di chi, aveva il comando assoluto su tutti i componenti della propria famiglia.
Un saggio illuminato di Pier Paolo Pasolini dal titolo molto attuale : I giovani infelici, può servirci nel nostro breve valutativo:
“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri “[…]
“I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non teorizzante, è fastidiosamente infelice.
Orribili pellami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure, sono maschere di un’integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà. [..]”
La giovinezza è l’età della fragilità, delle illusioni, dei facili innamoramenti, degli entusiasmi a poco prezzo, della spensieratezza, del non pensare al domani, del sentirsi immortale, nel vivere alla giornata, pensando che il futuro sia solo un’inaccettabile ingiustizia da parte degli adulti.
Come sempre le bufere, le pesti sono sempre arrivate dall’oltre oceano: con l’uscita del film cult “Peccatori in blue –jeans” e poi “Scandalo al sole” e “I peccatori di Peyton place“ e poi il ’68, il movimento Yuppie, i cantanti e la musica di protesta e di contestazione sociale e politica. E poi le due culture del “montgomery” e dell’”eskimo”: tutti fenomeni di società scontente e contradditorie dove ritornarono, drammaticamente, a risuonare i tamburi delle guerre inutili e capitalistiche, come quella del Vietnam ed esplosero nuove forme di terrorismo sovversivo come cascame delle ideologie rivoluzionarie e passatiste (degli opposti estremismi) di un sistema politico, ormai in agonia.
E poi arrivarono gli anni da bere, anni del ritorno al privato, delle vacanze ad Ibiza, un ritorno ad una forzata ed imposta individualità. I giovani si trovarono più liberi, meno legati alle tradizioni di famiglia, anzi assistettero alla sua disgregazione, frantumazione, alla morte della famiglia. Questa ostentata voglia di vivere nascondeva il male oscuro della solitudine, dell’insoddisfazione, della mancanza di futuro, di motivazioni, d’impegno sociale, morale e professionale. L’analfabetismo ritornò nuovamente diffuso tra le nuove generazioni insieme alla dispersione scolastica ed alla riduzione sensibile del numero degli studenti universitari e dei laureati. (il più basso tra i Paesi europei)
E il disagio continua: la scuola ha perso la sua secolare funzione. Forse avranno ragione i descolarizzatori, quelli della “non school”. È certo che in questi ultimi quarant’anni abbiamo assistito al Luna Park delle riforme scolastiche, alla insipienza ed incapacità progettuale delle Facoltà educative e di formazione che hanno sposato le mode delle animazioni, del turismo scolastico, dell’ideologia della scuola come centro di emozioni, comportamenti libertari, di sperimentazioni e di improvvisazioni. Tutto all’insegna del “divertimento”, del “passatempo”, del vivere da “bamboccione”.
Questo l’ultimo è il traguardo conquistato (si intende che sto generalizzando, ma la sostanza non cambia e le eccezioni confermano la regola). E per finire è arrivata la Pandemia, il Covid-19 devastatore, pianificatore, dirompente, causa di aver fatto esplodere (come fossero usciti dal famoso vaso di Pandora) tutti mali già esistenti e consolidati. Ma il male più disastroso è la triste constatazione dell’incapacità dei governanti che, per esempio, sempre, sulla scuola hanno creato solo provvedimenti rovinosi, riducendo questa unica ed essenziale Istituzione educo-formativa e di maturità dai 3 ai 18 anni, in un cumulo di macerie, coprendoci di ridicolo in tutto il mondo. Dai banchi a rotelle alla didattica a distanza, al progressivo riduzionismo degli studi alla obbligatorietà inopinata della non frequenza in presenza, hanno prodotto un abbassamento della cultura, della conoscenza della lingua
Italiana (e sue implicazioni d’uso e di produttività individuali) e gravi “carenze in matematica”).
Per chiudere questa sintetica panoramica dell’essere giovane nell’epoca contemporanea, non posso ricordare le più mortali e catastrofiche compagnie come la dipendenza dal web e dagli smartphone (di cui avrò modo di scrive in seguito).
I giovani, quindi, non sono una categoria da difendere istituendo un apposito sindacato, sono un meraviglioso tempo della Vita dell’uomo e della donna tra i più delicati e più entusiasmanti.
Dobbiamo far di tutto perché essi escano da una lunga stagione di negatività, di demagogie, di mistificazioni, di superficialità, di tristezza esistenziale. I giovani devono, con governi profetici ed avveduti, predisporre i progetti della rinascita, della riconquista, del rilancio di energie intellettuali e lavorative di cui il nostro Paese ha estremo bisogno. Insomma i giovani devono essere valorizzati e messi a contatto con un corpo docente di alto profilo professionale, meno infelice di oggi, e con esperienze di alta qualità formativa e professionale.
Non c’è più tempo per giocare o per vivere in eterna “ricreazione”, altrimenti è molto meglio e salutare ritornare alla scuola dei buoni sentimenti e dei valori irrinunciabili trattati con ardore patriottico dall’insuperabile M° Edmondo De Amicis.
Franchino Falsetti