EDITORIALE Millecolline. L’opinione non fa Cultura, ma politichese

Editoriale della domenica

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 19/05/2024

L’opinione non fa Cultura, ma politichese

Nei miei, ormai, numerosi editoriali, ho sempre cercato di astenermi da abituali ed innate polemiche a sfondo politico – partitico. 

Gli avvenimenti, i fatti di cronaca sociale o politica, trovano, ogni giorno standard interpretativi che nella storia della carta stampata si sono uniformati, cancellando le diversità dialettiche e quelle ideologiche.

Frutto della cultura di massa che nel voler fornire strumenti uniformi di visione della realtà, in senso indifferenziato, ha livellato le modalità dell’apprendere, del dialogare, del comunicare. E non per ultimo, quello del pensare.

Pertanto pensiamo alla stessa maniera, utilizziamo le stesse fonti d’informazione, per tenerci informati (così si dice), utilizzando le pillole, a getto continuo, via Internet, blog, social e network, e ne usiamo lo stesso linguaggio.

Non sappiamo più argomentare, ma descriviamo ciò che altri dicono e a loro volta trascrivono. Una catena di montaggio per costruire, ogni giorno, la scala seriale dell’informazione e delle conoscenze, prive di dialettiche e di critiche comparative ed intrecciate.

Questo è il pensiero unico.

Questo è l’opinione pubblica che si avvale di congetture, di pareri personali, di letture superficiali, di verità non verificabili. I giornalisti scrivono le stesse cose, con titoli uguali per diverse testate, con linguaggi imitativi e consonanti al politichese che è quello che si esercitava nelle botteghe da barbiere: tutti parlavano di tutto e tutti s’intendevano di tutto.

Antiche abitudini che evocano le grottesche situazioni goldoniane o le distinzioni di censo e di classe che divertivano le genialità satiriche linguistico-culturali di Orazio e di Giovenale.

Quindi nulla di nuovo sotto il sole, con l’aggravante che i tempi moderni e contemporanei hanno non elevato la cultura o distinto questa rispetto ad una nomenclatura di livelli di alfabetizzazione, ma hanno snaturato la cultura confondendola con le forme edonistiche, radical chic, di cripto appartenenza a mode ermetiche e stravaganti (vediamo il dominio condizionante del mondo dello Sport, della Moda e dello Spettacolo).

Questi indiscussi poteri economici non vivono, come un tempo come forme di svago e di divertimento o di selezione di categorie di pubblico, ma sono parte integrante della vita produttiva e sociale di ogni Paese di elevato progresso. E pertanto influiscono sui nostri modelli di vita, sulle scelte individuali e collettive, sul nostro tempo libero, sui nostri modelli di pensare, di desiderare, di consumare e di relazionare.

In questi giorni i giornali più accreditati a livello nazionale dedicano pagine e pagine agli avvenimenti sportivi più popolari come: il calcio ed il ciclismo. Ed il linguaggio usato non è solo quello sportivo, ma quello politichese, poiché anche lo Sport, nelle sue diverse specialità storiche o commerciali, si è imbevuto di formule espressive pre-cotte e di considerazioni indotte o stereotipate.

Un tempo non era così da Nicolò Carosio a Gianni Brera il linguaggio sportivo era fonte di virtuosismo linguistico e di costruzioni ardite della lingua italiana. Esisteva una originalità dell’espressione e la possibilità di renderla plastica nel delinearne ogni flessibile connotazione.

Poi questo linguaggio è stato assorbito dalla politica ed i politici hanno cominciato ad usare frasi o terminologie prese a prestito dal mondo sportivo, in particolare da quello calcistico.

Esempi sono infiniti non ultimo Berlusconi quando “decise di scendere in campo”!

Una lingua che si alimenta di prestiti linguistici non fa crescere nessuno mentalmente e nemmeno favorisce la maturità espressiva e, soprattutto, argomentativa.

La Cultura è proporzionata al sapere linguistico, alla conoscenza non consumistica, ma filologica, strutturale, costruttiva dei significati semantici ed ideativi. Così si potrà fare un tema, un riassunto, saper prendere appunti, saper distinguere le funzioni del linguaggio, dei generi nei vari ambiti di produttività letteraria, artistica, scientifica e tecnologica.

Ecco perché i miei editoriali non servono ad aprire polemiche scontate, ma per allargare le nostre visioni personali, per suggerire spunti per approfondire (da soli, di diceva un tempo). I miei Editoriali sono “frammenti” di Cultura: entro nel merito per svegliare ciò che dorme in noi e rendere più coscienti, consapevoli il lettore, che non legge per fare l’opinionista ma per apprendere come si conosce la realtà in modo divergente, senza copiare ed attuare le mode del conformismo e del pensiero unico.

L’Editoriale è l’orientamento di una testata giornalistica o di un’emittente d’informazione e come obiettivo ha quello di saper problematizzare i temi che vivono la nostra quotidianità e non solo.

Nell’ultimo Editoriale ho cercato di dimostrare che il “dopo Covid” non ha partorito nulla (nel senso di riportare in rotta la nave Italia): ho evidenziato che tutto è ritornato come prima ma con segni di nuova preoccupazione a cui nessuno presta attenzione.

Mala educazione – mala sanità – anarchia al posto di autonomia – istituzioni allo sbando – tutto viene affrontato in senso politico come le occupazioni degli studenti (poverini sono dei ragazzi), la politica dei manganelli , una fauna indiscriminata e paludata di candidati alle prossime elezioni europee , investimenti sempre più precari , un’Italia in cui non “sì” sona più nulla ).

Questo quadro non è politico (Putin non c’entra nulla, gli americani e gli inglesi non c’entrano nulla e così le altre insensate guerre che ben conosciamo). Il quadro è culturale: l’Italia è malata di non Cultura.

E così viviamo in continua emergenza, in rattoppi, in città cantieri, in governi locali che sembrano i vecchi ducati.

Insomma senza Cultura, neppure quella dei Musei o delle gallerie d’Arte o delle Biennali e Fiere d’Affari, ma la Cultura come capacità ideativa-progettuale, come capacità di avere visioni organiche, prospettiche e non segmentate; come capacità decisionista e non superficiale, inefficace o distruttiva.

Non si riescono a fare le riforme di vecchi carrozzoni istituzionali che incidono e decidono la nostra vita.

E quindi il niente avanza e quindi, insisto, la decadenza della solida Cultura italiana non di deve confondere con il politichese o con corollari che non aiutano a comprendere il malessere di una Nazione come l’Italia (vecchia e nuova) che non è entrata ancora nel XXI secolo.

La cultura è ciò che tiene insieme gli uomini” ha scritto l’antropologa americana Ruth Benedict.

Noi umani siamo esseri sociali per necessità, la nostra ”debolezza” originale ci costringe a fare gruppo, ad agire collettivamente, Non a caso abbiamo sviluppato lingue e linguaggi articolati che ci consentono di comunicare in modo dettagliato. La parola, lo scambio verbale e altre forme di comunicazione sono il fondamento della società umana.

Attraverso la lingua noi definiamo il mondo che ci circonda, lo classifichiamo, lo descriviamo, diamo voce alla nostra fantasia e creiamo la nostra realtà”. (Marco Aime, Cultura, Torino, Bollati Boringhieri, 2013)

 

                                                                                        Franchino Falsetti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *