Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 24/12/2023
Vigilia di Natale
Fino a qualche decennio fa le settimane dell’Avvento che precedevano il Natale erano scandite da rinnovate simbologie, riti, costumi ed usanze. Ogni luogo evocava memorie e ricordi personali, di famiglia ed anche le Istituzioni pubbliche, oltre la Chiesa, mostravano gli abiti e gli addobbi del periodo più gioioso dell’anno.
Un periodo che sembrava mettere di buon umore anche i più scontrosi e retrivi. Le città si illuminavano ma non per consumata abitudine, ma per rendere tutti sollecitati che qualcosa, anche visivamente, stava cambiando.
La grigia routine di un intero anno d’incanto spariva e la frenesia cominciava a condizionare il mondo delle nostre relazioni, degli affetti, delle frequentazioni e quest’atmosfera di festosità si riverberava nei negozi, nei mercati rionali, nei vari settori delle attività lavorative: ogni ufficio aveva i suoi striscioni, qualcuno il presepe e l’albero all’ingresso di tutte le strutture pubbliche e private.
Bisognava cambiare, tutto doveva essere splendente e le vetrine di ogni negozio doveva diventare una piacevole ed attraente occasione per soffermarsi, per parlare, per essere invitato ad un banchetto unico, grande come tutta la città.
Si sentivano canti natalizi, musiche che uscivano da ogni luogo per gli acquisti e poi dietro l’angolo c’era un grande amico che completava il tocco magico di questa fantastica parentesi di fine d’anno: le abbondanti nevicate, che creavano il logo della millenaria ambientazione della cultura cristiana e della sua tradizione.
Luoghi comuni? Sì, luoghi comuni che hanno ispirato poeti, scrittori, artisti in ogni settore espressivo e che quando dovevano presentare il Natale, lo ritraevano immerso nella neve, nelle luci con una chiesetta lontana che sembrava richiamare tutti per la Messa di mezzanotte (appunto nella notte della Vigilia). Oggi, non bastano gli striscioni con le musiche di Dalla o Lennon o Cremonini per essere Natale. Neppure il panettone Pink della Balocco!
Per vivere il Natale, soprattutto, in un tempo storico in cui tutto è messo in discussione. L’uomo contemporaneo, che non vive più le ricorrenze religiose e civili con quel senso dell’illusione della “ri-nascita”, dovrà rifiutare la mercificazione dei valori morali, poiché non sono pubblicità progresso, ma una fondamentale esigenza per poter ritrovare sé stessi e riflettere sulla propria, dimenticata, fragilità della Vita.
Avendo rigettato il passato ed i suoi sogni, oggi si pensa che applaudire una bara di un amico/a o di personaggi amplificati dai mass media o dai social all’uscita della Chiesa demonizzi l’angoscia, la paura, l’impotenza, l’incredulità della morte?
Non abbiamo bisogno di ritualità tribali, abbiamo bisogno che l’uomo riscopra un nuovo umanesimo ed sappia valorizzare la sfera dei sentimenti o la componente sentimentale perché ciò che maggiormente vale sono i nostri modi di sentire, di percepire che non si traducono con un ti voglio bene oppure gridando la rabbia o l’odio verso ciò che poi abbiamo costruito noi, ma i sentimenti come energia vitale per saper costruire e comprendere guardando in ogni direzione, come se avessimo una particolare bussola, di cui, oggi, non si sente più parlare.
Dobbiamo combattere la cultura disumanizzata e disumanizzante, quella che ha ridotto il passato nel presente ed il presente nel futuro.
Ecco perché non abbiamo futuro, perché viviamo nell’attualità e parliamo il linguaggio dell’attualità dove tutti pensano di essere sapienti: tutti parlano su tutto, perché altri parlano e tendono ad imporre le proprie convinzioni che non sono studiate ma trasmesse in modo visivo, cioè si parla perché vediamo la parola ed ascoltiamo vedendo. E quindi prevale l’ignoranza, la consapevolezza di ciò che comunichiamo, il sentito dire, la cultura della messaggeria precotta, dove esiste un linguaggio povero, pensieri artefatti, spesso surreali e ripetitivi.
Il mondo di ieri non possiamo riesumarlo e non ci rimane solo da piangere, ma, forse, questa nuova Vigilia di Natale, potrebbe suggerire di ri-pensare al significato del Natale nelle sue accezioni tradizionali, ma, soprattutto, nel suo incancellabile messaggio rivolto agli “Uomini di buona volontà”.
In un mondo di nuove guerre, di nuove distruzioni, di nuove devastazioni, di violenze inaudite, di intolleranza, di nuove censure e persecuzioni, di ignoranza diffusa ed arrogante, questo Natale possa essere un’occasione per meditare sul declino delle Civiltà e ri-costruire ciò che maggiormente potrà ridare vigore a quella insostituibile dignità umana predicata dalla Buona Novella e che potremo, nuovamente, ascoltare nel silenzio infinito delle nostre coscienze.
“Il Natale ritorna ogni dodici mesi, allo stesso giorno 25, con precisione matematica, non è quindi una cosa molto rara. Tutti sanno come è fatto, tutti potrebbero descrivere in anticipo nei minuti particolari quello che accadrà nelle case rispettive. Eppure se ne resta sempre sbalorditi”. (Buzzati, Lo strano fenomeno che si chiama Natale, “Corriere d’informazione”, 1954)
Franchino Falsetti