EDITORIALE Millecolline. Vorrei cantare ancora Signore delle Cime

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 02/07/2023

Vorrei cantare ancora Signore delle cime

Ho letto nei giorni scorsi, con una certa costernazione, la fakenew che il CAI vorrebbe levare le croci di vetta. Notizia riportata da Libero (26 giugno 2023 e commentata egregiamente dal giornalista Facci il giorno dopo). Siamo ritornati sereni. Il CAI ha smentito e la teleferica dei social si è interrotta. È comunque una notizia che, in modo periodico, qualcuno diffonde e poi si fa marcia indietro.

Le motivazioni sono diverse: c’è chi parla che non sono vere croci ma improvvisati oggetti di grandi dimensioni con materiale vario e con una certa aderenza evocativa alla Croce cristiana.

Qualcuno li chiama tralicci, pezzi di legno o di ferro a forma di croce. Ma nessuno si sbilancia per aggiungere anche un significato religioso, una sorta di ringraziamento di aver conquistato una Vetta ardita e svettante, quasi una sfida verso il cielo.

Penso che sia inutile anche in questo caso dividerci tra credenti e non credenti, tra coloro che nelle Croci di vetta si vedono solo manifestazioni di gioia e di conquista o di divisione del confine come per il monte Cervino.

Io posso ricordare un certo Water Bonatti, soprannominato “il re delle Alpi” che ogni conquista era un ringraziamento, una preghiera a questi non solo assi incrociati, ma e vere opere d’arte dove veniva scolpito il Cristo, a volte colorato, che guardava e proteggeva questo mondo incontaminato ed incantato che erano le nostre gloriose cordigliere alpine e dei nostri immortali Appennini.

(Mi riferisco ai tempi in cui le Alpi e gli Appennini erano fonti di racconti, romanzi, di poesie struggenti ed immagini come lo stesso Bonatti ha consegnato alla Storia non solo alpina).

Come poso ricordare alcuni libri di scuola che sulle Croci delle vette si scrivevano patriottiche novelle ed ispirati pensieri per lodare la magnificenza del Creato.  E le immagini riprodotte non erano surreali o semplice motivo decorativo, era proprio grandi Croci simbolo inconfondibile della nostra tradizione religiosa cristiana e cattolica. 

Potrei ricordare che, con ignoranza e spesso con maliziosa interpretazione, si vuole confondere il senso religioso con la liturgia. Anche se gli alpini davanti a questi simboli “laici” hanno assistito alla santa Messa dove la grande Croce sembrava benedirli tutti e ricordarli tutti per il loro eroismo, patriottismo e volontari della solidarietà.

Purtroppo nel triste tempo in cui vivere è sinonimo di difendersi, dobbiamo diffidare dalle malelingue e da coloro che da tempo, in modo alterno, diffondono intenzionalmente la fine di un qualcosa che ci appartiene come storia, come memoria, come cultura.

L’obiettivo è chiarissimo da tempo: dal divieto di cantare in Chiesa canti religiosi natalizi di tradizione non solo italiani, dal proibire agli Alpini di cantare quell’ insuperabile inno religioso dal titolo che sa di preghiera, Signore delle cime, scritto nel 1958 dal M° compositore Giuseppe (Bepi) De Marzi, di appena ventitré anni (tuttora vivente – 88 anni. Auguri M° e grazie del suo devoto impegno). Destinato ad essere eseguito dal coro de I Crodaioli di Arzignano, fondato dallo stesso Maestro De Marzi, divenne ben presto un successo mondiale.

Anch’io mi sono sempre commosso nel cantare (in qualità di baritono nel Coro Leone di Bologna) questa pagina toccante dove la fede, l’armonia degli sguardi sacrificali ed umani ci trasportano verso l’alto, quel cielo, quel Paradiso a cui rivolgiamo protezione:

“Dio nel cielo,

Signore delle cime,

un nostro amico

hai chiesto alla montagna.

Ma Ti preghiamo,

ma Ti preghiamo,

su nel Paradiso,

su nel Paradiso

lascialo andare

per le tue Montagne”.

Oggi non sono più corista del Coro Leone, ma vorrei continuare a cantare, ancora, questo Inno di fede cristiana e sublime armonia, proprio in Chiesa, dove il canto religioso, liturgico è stato bandito per far posto agli strepiti delle canzoncine stereotipate della corrente pubblicità pastorale.

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