EDITORIALE Millecolline. La Festa della Repubblica e l’ennesimo ponte

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 04/06/2023

La Festa della Repubblica e l’ennesimo ponte

Ancor una volta leggerete l’editoriale della domenica dopo alcuni giorni o prima che sia accaduto un evento di rilevanza civile e politica. Dopo il 25 aprile, il primo maggio, da alcuni giorni abbiamo festeggiato la nascita della Repubblica il 2 giugno del 1946.

E non vorrei che ci dimenticasse che il 17 marzo 1961 dovrebbe essere giorno di Festa per ricordare e celebrare l’Unità d’Italia.

Una classica stella polare a quattro punte che segnano il calendario patriottico dell’Italia e degli italiani e costituiscono le fondamenta dell’Italia Nuova e legano le frammentate tradizioni del nostro passato con l’auspicio che dopo, ormai, tanti decenni, si possa far sventolare il nostro Tricolore non per abbellire le parate, ma perché insostituibile simbolo del sacrificio, della fede, dei sentimenti, dei valori immortali del nostro essere, orgogliosamente, Italiano.

Purtroppo come scriveva il grande giornalista e scrittore Arrigo Benedetti sulla indimenticabile terza pagina del Corriere della Sera (martedì 16 luglio 1974): Niente cambia gratis.

Come è mio stile non amo fare la cronaca perché si cade, con disinvoltura, nel commento personale che non aiuta a fare chiarezza sulle motivazioni, ma, soprattutto, su ciò che concorre a cambiare mentalità, considerazioni, sentimenti.

Sono sempre le stesse parole che usiamo quotidianamente, ma non le valutiamo, non le valorizziamo, non ne conosciamo più l’intrinseco valore. Sono parole del dizionario, ma non fanno più parte del dizionario sentimentale, del dizionario dei valori.

Viviamo non solo di retorica insulsa e precotta, ma di migliaia di stereotipi che condizionano le nostre relazioni, i nostri desideri, il nostro modo di pensare. E sullo stereotipo si sono sviluppate le censure da ipotizzare l’affermazioni dei linguaggi settoriali, di clan, di ridotte aggregazioni.

La cultura contenuta nei libri che hanno formato decine di generazioni è perseguita, corretta, cancellata, riscritta.

Pensando a quelle letture siamo convinti che dal 1861, come ci ricordava il nobile D’Azeglio, siamo diventati italiani. Rileggendoli ed ascoltando il mondo contemporaneo, possiamo, invece, affermare che non ci siamo ancora “assimilati”. Si sono riposte le differenze del Nord e del Sud, differenti i modus vivendi, le risorse a disposizione, diseguaglianze economiche, produttive, di modelli d’istruzione e di cultura. Oltre all’irrisolto problema della multicultura o dell’immigrazione inarrestabile.

Non siamo come i francesi o i tedeschi che hanno superato l’epoca del nation bulding (“costruzione nazionale”); espressione inglese dai s. nation (‘nazione’) e building (‘costruzione’).

Processo di costruzione di un ordinamento statuale democratico. Treccani enciclopedia). Wikipedia dà una definizione più completa e chiara: “La costruzione nazionale o nation-building è una espressione utilizzata nelle scienze politiche per indicare il processo di costruzione di un’identità nazionale tramite il potere dello Stato”.

Pertanto noi siamo ancora nell’infanzia della democrazia e della repubblica. Non siamo stati capaci di rendere attuativa la nostra Costituzione ma vogliamo cambiarla, la stiamo cambiando per realizzare un altro Paese, un’altra Nazione che ricomporrà i vecchi ducati, principati e stati dinastici e secolari (dal Regno delle due Sicilie, al Regno Sabaudo, allo Stato Pontificio).

Arrigo Benedetti scriveva quell’eccellente articolo per dimostrare che l’Italia del dopoguerra era cambiata, era diventata diversa, aveva maturato il suo mondo autarchico- agricolo-alimentare per divenire una nazione alla pari delle altre più evolute. Ricordava che dalla radio al cinema ed alla televisione gli italiani avevano imparato a crescere e soprattutto ad unificarsi attraverso la lingua italiana. E poi eravamo appena freschi dalla vittoria referendaria sull’abrogazione del divorzio. L’Italia era entrata nel’Età moderna: aveva conquistato il divorzio, dopo il voto alle donne.

“L’Italia, così scrive Benedetti, è cambiata perché esistevano le possibilità di farla cambiare, perché nelle nostre biblioteche c’erano alcuni libri, perché ci confortavano alcuni nomi, e perché una minoranza coltivò in sé, proprio per fedeltà ai maestri, un nuovo tipo di patriottismo: quello che può, in talune occasioni e senza degenerare nella demagogia, convincerci di non essere diversi dagli altri, e che se ci troviamo in difficoltà economiche e morali, lo si deve alla timidezza con cui guardiamo la realtà o perché supponiamo che sia grossolano appassionarci”.

Considerazioni che possiamo ancora fare nostre e cercare di ripartire proprio da quelle conquiste che Benedetti evidenzia e che hanno qualificato una nuova epoca storica degli italiani.

La Festa della Repubblica ha subito in anni recenti sostanziali modifiche a partire dal suo protocollo cerimoniale. Sono scomparsi i discorsi (e quelli pronunciati erano e sono inascoltabili), le sfilate, le Frecce Azzurre, la nostra identità civile e militare. Oggi ci sentiamo, contrariamente a ciò che pensava Benedetti, condizionati dalle altre Nazioni e dalle forze occulte che sovrastano i destini dei più deboli e che non amano la crescita e la maturità di cui con passione abbiamo letto nelle parole di Benedetti.

La Repubblica è un valore, una scelta della democrazia ed ha bisogno di essere rinforzata quotidianamente da fatti, da azioni, da menti intellettuali ed operative, perché si realizzi il sogno dei nostri Padri risorgimentali: fatta l’Italia, facciamo gli Italiani.

Gli italiani non fanno parte delle politiche estere, delle diplomazie e degli accordi tra partiti e congregazioni. Gli Italiani sono la continuità della storia, delle sue tradizioni, delle sue bellezze, della sua Cultura, dei suoi primati e supremazie. Gli italiani devono aprire gli occhi e devono, per il bene della nostra Repubblica, evitare che le nuove generazioni abbiano rappresentanti come la Schlein che vanta tra le sue note credenziali, quella di aver scritto, con orgoglio, un libro formativo: “La mia figa si riprende” (per leggerne il contenuto connettersi con: www. Affaritaliani.it).

L’ennesimo ponte è il rischio per tutte le vere riforme, per continuare solo a dire senza il fare. Senza avere il coraggio di voltare pagina e di cominciare a trattare il dissenso, legato al subliminale ai soliti grilli parlanti, che possono solo essere identificati per una macchia rossa sul muro.

Franchino Falsetti

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