CATTIVI PENSIERI. Il sistema feudale-borghese ci governa ancora

Inviti ad abbandonare il pensiero unico

Sono considerazioni come fossero Cattivi Pensieri per chiedersi altro: siamo tutti colpevoli ?

Pubblicato il 13/04/2023

Il sistema feudale-borghese ci governa ancora

Leggendo gli episodi di maggior eccitazione culturale che occupano le cronache visibili ed invisibili della vita politica e sociale italiana, si ha la percezione, forse la certezza, che il cosiddetto “mondo di ieri” non sia per nulla morto.

Abbiamo attraversato il Novecento con tragedie sconvolgimenti e significative trasformazioni ed innovazioni in ogni campo del pensiero e della invenzione scientifica e tecnologica. Ma sono rimaste le paure dello choc del futuro. Si è parlato del post moderno, della post industrializzazione, della post democrazia. Ma del post borghese, come superamento di un certo conformismo e reazione (quello dei luoghi comuni, delle ipocrisie ed irriducibile modello anacronistico e di negazione della vera dignità Umana e consolatore dei cambiamenti storici ed ideologici) le sue tracce sono ancora ben visibili e ampiamente diffuse e praticate.

Lèon Bloy, grande scrittore e pensatore, inviso a molti suoi contemporanei ed anche a quelli del nostro tempo come il critico e scrittore Cesare Segre che lo definì un “miserabile”, a proposito delle sue ambiguità antisemitiche e fasciste (dimenticandosi che è morto nel 191). Altre polemiche, altri contesti.

Rimane un fatto che Bloy cattolicissimo, citato molto spesso da papa Francesco è un esempio di intellettuale senza forme mistiche o servili. Voce autonoma ed anticonformista.

Ebbe, tra l’altro, il merito di aver scritto un prezioso vademecum sul pensiero stereotipato dell’ideologia borghese, che sintetizzò in un titolo fulminante “Esegesi dei luoghi comuni” (1901), che continuò a perfezionare anche negli anni successivi (1901-1913).

Ancora oggi noi usiamo frasi borghesi come: “bisogna mangiare per vivere”, “non si può avere tutto “, “tutti devono morire”, “tutte le strade portano a Roma”, “gli affari sono affari”, “bisogna essere al passo col tempo”, “non siamo al mondo per divertirci”, ect..

Uno studio serio sui luoghi comuni dell’uomo borghese, pari a quello che intraprese il grande Flaubert con “i due campioni Bouvard e Pécuchet”.

Per essere guidati in quello che dirò in seguito, desidero trascrivere la definizione di Borghese scritta da Bloy in apertura del suo esilarante pamphlet: “ Il vero Borghese, vale a dire, nel senso più generale e moderno possibile, è l’uomo che non fa alcun  uso della facoltà di pensare e che vive o sembra vivere senza essere stato sollecitato, neppure per un giorno, dal bisogno di capire qualcosa, l’autentico e indiscutibile Borghese è necessariamente limitato nel suo linguaggio a numero piccolissimo di formule. Il repertorio delle locuzioni patrimoniali che gli bastano è estremamente esiguo e non va quasi mai al di là di qualche centinaio. Ah! se si avesse la benedizione di rubargli quest’umile tesoro, un paradisiaco silenzio cadrebbe subito sul nostro globo consolato”.

Ho trascritto per intero la sua acuta definizione che a distanza di oltre un secolo sembra l’identità del nostro analfabeta ed arrogante mondo nel quale ci dibattiamo con molti interrogativi ed incomprensioni.

Ha prevalso la scuola dei supponenti di coloro che si sono educati attraverso i proverbi e gli aforismi e si dilettano a leggerli e ripeterli come i “versetti” della Bibbia.

I politici ed i giornalisti, in particolare, parlano questa lingua, si sintonizzano sulla stazione radio dell’assenza del pensiero.

Si vive perché si mangia. Sentenza profonda del puro animo borghese. L’incapacità di governare, di comunicare, di saper interpretare i fenomeni che condizionano la vita sociale contemporanea, dobbiamo pensare che ci governano ancora i cascami borghesi, la sua decadente e misera ideologia.

Non sappiamo parlare perché non abbiamo pensiero ed ecco perché ci rivolgiamo all’illuminante pensatoio prolifico nell’istituire premi, festival, concorsi, oscar, università private e quelle pubbliche dedite a sfornare lauree ad Honorem, e regalare come brustulli il “sigillum magnum” (vedi gli ultimi atti consumati con supponenza nella recente inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna).

Non ci sono stati discorsi che parlassero il linguaggio degli Accademici (che non ci sono più), né professori che avessero trattato il malessere esistenziale dell’uomo contemporaneo ed i pericoli che lo deprivano come il pensiero unico e la cancellazione della cultura. Avremmo ascolto molto volentieri come la sede della Scienza e delle Scienze umane rispondono ai queste nuove visioni devastanti che, da tempo hanno iniziato la loro opera distruttiva e disumana.  Nessun grande pensiero, nessun grande discorso.

Un’aula pressoché vuota con ciò che rimane delle cosiddette rappresentanze (ridotte ai soliti abbonati e per pura opportunità).

I temi sono quelli che tutti conoscono e tutti non risolvono: i diritti umani, il caro affitto per gli studenti e l’insegnamento di Zaki (sic!)

In compenso viene affidata la prolusione “accademica” alla regista iraniana Marjane Satrapi che ha poi ricevuto il Sigillum Magnum, alta onorificenza dell’Ateneo. Non mi dilungo sulle banalità di cui è capace l’apocalittico cavallo della vacuità borghese.

È importante, da questo momento essere consapevoli che abbiamo cambiato per non cambiare nulla.

Vecchio ritornello vincente anche in questa piccola finestra che ho aperto per spalancare gli occhi. Non è vero che abbiamo pensiero autonomo e personalizzato: viviamo un’Era in cui l’effimera comunicazione, il ruolo dei mass media, e le gran casse dei politici, dei sindacalisti, dei dirigenti nazionali e locali, dei finti partiti, parlano tutti allo stesso modo, dicono tutti le stesse cose, arrivano tutti a destinazioni differenziate perché usano microfoni modulari che amplificano i loro timbri di voce, le loro organiche urla. Nella foresta il più forte è quello che ha l’aspetto grottesco, inusuale e la voce sgraziata, da atterrire ogni essere innocuo o ruggente. Ancora “borghesemente”: è l’abito che fa il monaco.

                                                                                                                                                                                                          Franchino Falsetti

 

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