Editoriale Millecolline. Arlecchino una maschera per tutte le stagioni

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 19/02/2023

Arlecchino una maschera per tutte le stagioni

Il vestito di Arlecchino

Per fare un vestito ad Arlecchino

ci mise una toppa Meneghino,

ne mise un’altra Pulcinella,

una Gianduia, una Brighella.

Pantalone, vecchio pidocchio,

e Stenterello, largo di mano,

qualche macchia di vino toscano.

Colombina che lo cucì

fece un vestito stretto così.

Arlecchino lo mise lo stesso

ma ci stava un tantino perplesso.

Disse allora Balanzone,

bolognese dottorone:

“Ti assicuro e te lo giuro

che ti andrà bene il mese venturo

se osserverai la mia ricetta:

un giorno digiuno e l’altra bolletta”.

                                                                                                                                                                                                                            Gianni Rodari

Ho voluto trascrivere per intero questa immortale morale dell’indimenticabile Gianni Rodari perché, in pieno clima carnascialesco, s’intona pienamente come chiave di lettura per quello che sta accadendo sia con le esultanze provinciali della nostra politica, sia per le sceneggiate dell’antica Società delle Nazioni piuttosto che della “avanzata” Comunità Europea che ha abbandonato i suoi compiti costituzionali, per dedicarsi ad essere venditrice di propagande commerciali, di interventi con supponenza ed ignoranza sulle tradizioni dei vari popoli che la costituiscono, per imporre un battage “dittatoriale” per cambiare gli stili di vita di antiche Civiltà nate non da noti intrecci ed innesti barbarici.

Queste considerazioni devono trovare anche spazio sui quotidiani ufficiali della nostra stampa. Non sono sufficienti i mugugni di fronte alle notizie che parlano di insetti, di farina di grilli e di lombrichi.  Si vuole farci indossare il vestito stretto di Arlecchino. Siamo il popolo degli spaghetti, del mandolino e della mafia. E delle apparenti innovazioni o novità.

Dai noi abbonda la cultura della retorica, come la massiccia presenza delle figure femminili di giovanissima età, che parlano fin dalla culla e dicono solo bestialità. Avete provato ad ascoltare una di queste? Cosa dicono e come lo dicono. La Crusca e la Treccani si preoccupano di allargare l’uso della lingua italiana al femminile, ma non si preoccupano di verificare se siamo ancora capaci di pensare e di organizzare un pensiero, di conoscere ed utilizzare il vocabolario della lingua come strumento per far capire la comunicazione (fatti ed informazioni) e non di comunicare la lana bagnata che si è inceppata nel loro cervello. Ma a loro vengono affidate monologhi, commenti politici e culturali, discorsi sul futuro della Terra, una sorta di decalogo avveniristico. Senza che queste abbiano letto nulla in merito.

Né conoscano motivi elaborati o suffragati da esperienze esemplari.  Sono come tutti la fotocopia del presente e chi non ha strumenti superiori, parlano come mangiano. Le donne non sono un altro Pianeta: ripetono, con enfasi, il materiale di scarto che l’uomo produce, mentre il serraglio selezionatissimo della preparata presenza femminile, vive solo in ambienti altamente privati e qualificati. Tutto il resto somiglia ai sans culottes. Gli scarti della Rivoluzioni francese, utili per le barricate e la ghigliottina, ma esclusi, ab eterno, dalla Cultura, dalla dignità, dalle professioni, dalla vera Istruzione e responsabilità pubbliche.

Le motivazioni storiche dell’emancipazione femminile sono finite. Qui siamo nel gregge. E l’uomo si è atrofizzato al punto di cedere la sua identità.  Tutto si ripete e nulla s’inventa!

La poesia di Rodari insegna. L’Arlecchino non è solo una simpatica maschera, ma è il simbolo del mal governo, del tirare a campare. Tanto paga Pantalone oppure in questo caso il dottorone Balanzone, che ci consiglia di rimanere a digiuno, mentre altri provvedono alle loro sostanze e non fanno parte del Carosello delle maschere tradizionali italiane. Tutti signori, tutti padroni, si diceva un tempo. Adesso tutti sottomessi, tutti obbligati a guardare Sanremo (che è l’esempio della nullità e dei negazionisti: possiamo dire che esista Sanremo? No! Possiamo guardare Sanremo come se fosse una scelta di qualità di un paese smarrito? No! Possiamo sostenere che gli italiani che pagano il canone TV possano sentirsi gratificati da simili polpette avvelenate? No. Si possono sostenere spettacoli di rilevanza nazionale ma insignificanti, affidati a barbie e boy, risorti dal sottosuolo dei deprivati culturali e sociali, ed offensivi (non provocatori, come si voglio giustificare) anche verso la bontà di un  innocente cretino? No! Così nasce il negazionismo!)

Di questa filosofia (osteggiata quando bisogna garantirsi delle complicità) ne hanno approfittato tanti ed in moltissimi continuano ad approfittarne.

Alla fine non ci rimane che il digiuno consigliato dal famoso dottorone Balanzone.

 

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