MIP – “Ad occhi spenti” di Serena Vestene

Ad occhi spenti nella Nota di lettura di Miriam Bruni

Serena Vestene

Pubblicato il 17/07/2022


Ad occhi spenti, Ed.Photocity 2013 - Nota di lettura

L’anima fa rumore: questa la prima e più corposa sezione del libro.

A dire che i testi iniziali nascono appunto da un farsi sentire dell’anima, un “sussurro potente”(p.47) che forse chiedeva di tramutarsi in parole, “un fiume di ricordi” a viaggiare in petto (p.9) e i segni di un “io ingombrante” (p.4),  l’esperienza dei sensi come un “vagito più intimo di un pianto” , da ascoltare (p.40) e la consapevolezza di quanto l’indole di ciascuno abbia “matrici profonde”(p.16).

Qui Serena tende forse ad eccedere nelle parole e frasi lunghe, in discorsi non sempre facili da seguire; ma è anche vero che poi il senso lo si ritrova all’improvviso, come dinanzi a un Chiaro-di-bosco, direbbe Zambrano, una filosofa spagnola che conosco piuttosto bene e che si è dedicata prevalentemente alla scrittura e ad una nuova definizione di Ragione poetica, a una nuova definizione di arte di vivere, inclusiva dei sensi e dei sensi dell’anima.

Più di tutto mi pare che in questa sua prima pubblicazione, ella affermi la sua brama di vita vera, nuda, luminescente e ariosa! (vedi p.29 e 30). L’autrice esprime il desiderio di emulare il perfetto fluire della Natura – che non ha riserve, né avarie umane – ma impara ben presto che per uomini e donne è diverso: è una continua conquista, un orizzonte sempre da inseguire, senza mai raggiungerlo perfettamente.

E in questa ricerca di un qui ed ora che possa rivestirsi di eterno, o perlomeno di “essenza”, la Vestene decide di mettersi concretamente in cammino, e calpestare suoli lontani, contemplare cieli australiani…

Si apre quindi la seconda sezione di Ad occhi spenti, quella in cui troviamo le poesie dedicate ai viaggi, e di cui segnalo anzitutto la bella suggestione di p. 55, in cui l’io narrante parla alla propria anima e le confessa che a volte non la vede, non però perché essa si dilegua, quanto piuttosto perché è l’ io ad allontanarsi, viaggiare altrove, in quelle “contorsioni della mente” da cui sarebbe meglio distaccarsi, con l’aiuto della Luna. (p.56)

“Fervidi e vivi”(p.55), gli occhi dell’anima non si lasciano ingannare, ottenebrare facilmente. La fuliggine, il nero da togliere è sulle dita, e allora pazientemente ci si porrà a lavarle, e poi ridipingerle di verde, di giallo, di azzurro, di rosso, di oro! (p.26).

La Vestene ha una particolare predilezione per i riverberi dei colori, ne indica i significati simbolici, li usa per qualificare molte delle descrizioni poetiche dei suoi itinerari e sguardi sulle diversità del Creato (p.52).

Dopo essersi specchiata “nel solco che lascia la risacca” o “in una sedia a sdraio abbandonata”- vedremm l’autrice giungere ad una inedita pienezza, ad un

coeso sottofondo d’atomi e lacrime.
E nella catarsi di colori
e in un guado di altezze,

sentii il disciogliermi fiume
con tutta l’acqua,
il districarmi roccia
con tutto il peso,
il frammentarmi in polvere
con tutti i deserti,

scriverà a pagina 67.

Questo approdo consiste non in un luogo ma in un farsi, in un farsi poesia, come ben delineato in un testo ancora nella prima sezione (p.45) . D’ora innanzi la Vestene guarderà e agirà nel mondo con quella consapevolezza che fu anche di Antonia Pozzi: “Accetto d’esser poeta”.

Miriam Bruni

 

 

 

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