Inviti ad abbandonare il pensiero unico
Sono considerazioni come fossero Cattivi Pensieri per chiedersi altro: siamo tutti colpevoli ?
Pubblicato il 12/05/2022
L’enfer sont les autres – L’inferno sono gli altri
Questa lapidale frase dell’intellettuale, scrittore e filosofo Jean-Paul Sartre, particolarmente significativa dell’opera teatrale “Huis Clos” (A porte chiuse – 1944), mi sembra che possa essere richiamata per renderla quanto mai attuale nel conteso socio-politico, particolarmente sconnesso, che stiamo attraversando.
E’ una frase che ha subito diverse interpretazioni, non ultimo il rapporto tra individualismo e l’affermarsi dell’uomo massa. Una sottile e pertinente investigazione, poiché, crollando la piramide della Chiesa come istituzione politico/spirituale, l’uomo ha dovuto non più volgere lo sguardo verso il cielo ma fisso alla sua altezza, cercando intese, complicità, sopportazione, perdoni, incoraggiamenti, delusioni e soprusi negli altri. La visione del mondo con l’avvento dell’esistenzialismo e della civiltà di massa ha scardinato un’impalcatura che reggeva da diversi secoli e che, improvvisamente, è crollata e l’uomo per la prima volta si è sentito solo, impaurito, incapace di possedere il vademecum segreto delle certezze, dei valori di credo e protezioni provvidenziali e caritatevoli. Questa la migliore giustificazione semantica della frase che ho voluto prendere in considerazione e riproporla a maggiori riflessioni e valutazioni.
L’epoca definita “liquida” in cui non viviamo, ma sopravviviamo, ci ha condotto a traguardi indesiderati e neppure programmati. Ma inevitabili! Il declino progressivo dell’Occidente e dei suoi “immortali” valori, ha fa nascere un inimmaginabile vaso di Pandora degli eccessi legati al progresso, al senso d’invincibilità, al tramonto definito della “parola” come legame e continuità tra il passato ed il presente. L’uomo è diventato sempre più muto, limitato nelle sue espressioni, nei suoi desideri, nelle sue consapevoli ragioni di essere, di vivere, di ritrovarsi sull’isola che non c’è. Ha perso i profumi di lunga e serena vita, delle piacevolezze delle piccole cose e del rassicurante segno di croce che si faceva davanti una Chiesa, a volte, abbandonata e desiderosa essere ricordata e salutata. Si fece di tutto per demolire le semplici sensazioni, quell’aura di distrazione e di “altrove” che erano motivo di educazione e di formazione.
L’umanità conobbe nuove tragedie, nuovi stermini, nuove cancellazioni di storie e di memorie.
Ed ecco che proprio nel 1944 quando usci quest’opera teatrale di Sartre di profondi significati ed ambiguità culturali e letterarie, dove l’azione era una equazione di relazioni tra i protagonisti e le necessarie involuzioni comunicative e sensazioni di nuove forme di aggregazione sociale e di riverbero sullo scudo debole della difesa personale. L’attualità è disarmante: l’uomo oggi ha sempre più bisogna di essere valutato e gratificato dagli altri, pretende non il confronto, ma l’adulazione, l’incoraggiamento, il premio ai suoi tentativi di essere protagonista, anche se questa stessa parola, oggi, ha perso la sua precisa connotazione e validità.
Viviamo un’epoca anonima, priva di orientamenti sicuri, deprivata di ogni stimolazione a partecipare senza pretendere riconoscimenti. La commercializzazione della cultura e lo snaturamento dei premi e dei riconoscimenti ufficiali non corrispondono ai lavori produttivi o prestazioni professionali o di mestieri svolti. Oggi valgono le parole d’ordine come “Tutto andrà bene”, “Il sorriso sarà la tua felicità “, “Prendi la vita come viene “, “Accendi il tuo arcobaleno”, tutte frasi che ci ricordano quelle del grande Manfredi quando concepiva le sue dichiarazioni d’amore ripetendo frasi di canzoni melodiche e struggenti del repertorio sentimentale della povera gente. Altra strategia di una voluta realtà popolare in un paese in crescita e con velleità imperiali e coloniali. Cosa, allora, diventa importante valutare: non sarà possibile conquistare un nuovo umanesimo se non si ridimensioneranno queste forme di individualismo, di autoreferenzialità, di spregiudicata autostima, di pensare che io è uguale ad io. E di considerare gli altri come inferno, perché si assumono come giudici, come infernali detrattori in cui l’umanità debole e sotto stimata vivrà nei gironi predestinati tra fiamme, urla, dolori e leggi insopportabili del contrappasso.
”E quando diciamo che l’uomo è responsabile di tutti gli uomini […] scegliere di essere questo piuttosto che quello è affermare nello stesso tempo il valore di quello che scegliamo […] e nulla può essere bene per noi senza esserlo pere tutti […] L’atto individuale coinvolge l’umanità intera”.
Così Sartre in alcuni passaggi della sua opera, ormai, fuori programma da molto tempo, mentre contiene preveggenti previsioni del destino dell’uomo, che come ho sottolineato, è privo di strumenti di difesa ed è sempre più incapace di interagire con gli altri e di comprendere gli arbitrari e bizzarri comportamenti.
Speriamo anche di non considerare gli altri i nuovi barbari distruttori, impuniti, i cui torti diventeranno diritti.
Franchino Falsetti