Editoriale Millecolline. Bada come parli!

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 15/05/2022

Bada come parli!

Era un titolo di un interessante libro che esplorava i cambiamenti della lingua italiana attraverso “neologismi, forestierismi, innovazioni grammaticali, prodotti comunicativi vari”.

Direi che questo è sempre avvenuto e, soprattutto, a partire dal movimento futurista, predisposto alle famose “parole in libertà”, l’oggetto privilegiato, in senso indagativo, è sempre stata la lingua italiana nelle sue rapide evoluzioni e trasformazioni. Le curiosità linguistiche, i calchi linguistici, i prestiti linguistici, le influenze delle parole straniere, in particolare francesi ed inglesi, hanno da tempo invaso, quasi inondato, la nostra ricca ed aulica lingua, dall’idioma gentile. Scrittori e poeti come Foscolo, Tommaseo,

De Amicis, D’Annunzio, Capuana, Carducci, Panzacchi, Pascoli, Panzini, fino a Longanesi, Brancati, Montale, Calvino, Gadda e Pasolini, hanno scritto saggi, dizionari, manuali, racconti , poesie, poemi, con una minuziosa passione nel ritrovare, cesellando, percorsi affascinanti dell’uso multiforme e senza confini della lingua di quella che poi si definì degli italiani, con l’avvento dell’Unità d’Italia. L’intero Stivale aveva trovato, finalmente, l’unificazione linguistica che non era più la sommatoria dei vari dialetti e linguaggi adattati rimasti a testimonianze delle diverse invasioni che la gente italica subì nei secoli lontani, ma andò affermandosi una la lingua fiorentina, la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio che segnarono il cammino e la scelta di un’unica lingua per tutti anche se, per molto tempo, fu parlata e scritta da un ceto alto della società , poiché forti erano le differenze sociali ed altissime i dislivelli dell’alfabetizzazione e dell’acculturazione fino all’epoca post risorgimentale, con la prima legge Casati che istituì la scuola pubblica italiana.

Da Pitigrilli che scrisse un dizionario antiballistico a Panzini che scrisse il famoso dizionario delle parole nuove, tutto venne concepito per scoprire l’infinita duttilità e ricchezza della lingua italiana, i suoi doppi sensi, le varietà interpretative ed il possibile uso di lemmi anche nella quotidianità del lessico popolare, colloquiale, familiare.

Un quadro affascinante e tuttora stimolante di ulteriori approfondimenti, sondaggi e valorizzazioni storiche ed etimologiche.  Ma ad un certo punto si registrò uno strano e provocatorio cambiamento, operato, soprattutto, dal genere giornalistico, che si prestava all’introduzione di termini sempre più dirompenti e suscettibili di stravolgimenti semantici.

Le parole straniere, le nuove parole barbare che mentre tendevano a imporsi come nuove mode di una categoria VIP nata dal risveglio del turismo, prima selezionato e poi di massa.

Sulle spiagge italiane affollate e straripanti su quelle adriatiche, a partire dalla fine degli anni cinquanta del secolo scorso si parlavano le mille lingue della nascente Comunità europea.

Le scuole cominciavano a dare diffondere lo studio della seconda e terza lingua straniera, si diffusero e svilupparono le associazioni italo-straniere sia dell’ovest che dell’est europeo e si stavano gettando le basi per “europeizzare” la lingua italiana, la sua nobile storia, la sua profonda cultura legata alla classicità latina e romana. Si aprì una nuova epoca e la funziona linguista finalizzata alla comunicazione sociale ed interpersonale, assunse nuove funzioni come quella politica (politichese), quella commerciale e delle pubbliche relazioni (italese), fino alle invasioni strutturali che demolirono le conoscenze e le regole proprie della lingua come struttura di pensiero. Persino la Crusca e la Treccani, le nostre “Accademie” di controllo per evitare ogni forma di snaturamento selvaggio della lingua del sì sona: “il bel paese là dove il sì suona è lItalia. (Dante Alighieri, Inferno XXXIII, vv.79-80)

Oggi la lingua italiana non solo continua ad essere bersaglio di calembour e stranezze lessico-semantiche come (Petaloso), quasi sempre riconosciute dai “guardiani” della purezza della nostra lingua, ma da alcuni decenni la lingua come la cultura sono oggetti di revisionismo e radicali sconvolgimenti per rivendicazioni sessiste, politiche, di eccessi di egualitarismo e pianificazioni riducendo, sotto le direttive imitative del Grande Fratello di Orwell, la lingua a un mero strumento riduttivo e gergale dell’espressione e comunicazione.  E’ nato il politicamente corretto (nuova censura dei costumi e dei comportamenti), la cultura cancellata (una permanente rivisitazione del passato, delle figure rappresentative, dei simboli di una tradizione secolare, dei valori che hanno fondato gli statuti delle Civiltà occidentali).

Ma ciò che ci colpisce è l’accanimento di alterazione performativa sulle parole che più specificano e connotano la realtà di sempre.

Dopo  la messa al bando della parola “negro” (tranquillamente usata da Pavese, Calvino e infiniti altri scrittori, progressisti e non) a favore di “nero”, i ciechi diventano ipovedenti, gli spazzini operatori ecologici, gli handicappati diversamente abili, i bidelli collaboratori scolastici, le donne di servizio collaboratrici familiari, i becchini operatori cimiteriali, e così via. Nascono le “parole giuste”. E di conseguenza le “parole sbagliate”, impronunciabili”.

(Paola Mastrocola, Luca Ricolfi, Manifesto del libero pensiero, La Nave di Teseo – la Repubblica, 2021) E così vale per il sessismo delle parole. sindaco – sindaca – assessore – assessora – architetto-architetta– critico – critica (con riferimento alla professione del critico) – pasticcere- pasticcera – segretario-segretaria (cariche politiche che si confondono con quelle amministrative), politico-politica (per ruolo professionale) e così via senza limiti del ridicolo. Ma per parità con le quote rosa, i proporrei le quote roso, giornalisto al posto di giornalista, automobilisto al posto di automobilista, caramello al posto di caramella, cipollo al posto di cipolla, patato al posto di patata, e così ad libitum per un nuovo efficace dizionario delle castronerie.

 

                                                            Franchino Falsetti

 

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