Editoriale Millecolline. Ripetere  Ripetere Ripetere uguale conoscere

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 10/04/2022

Ripetere  Ripetere  Ripetere uguale conoscere

La scuola italiana fino alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso coltivava la lettura parlata (ad alta voce), sia individuale che collettiva. Pratica sicuramente opportuna e formativa, che continuava anche fuori dalle aule scolastiche. Un modo sicuro per esempio per memorizzare ed abituarsi ad interagire tra parola, lettura (timbrico-fonetica), comprensione e pensiero. Pratica didattica nata dalla grande riforma gentiliana, che diede senso teorico a quanto avveniva spontaneamente durante ogni approccio alla lettura. Per apprendere meglio anche i vari lemmi da pronunciare e ricordare bisognava leggere ad alta voce e non in silenzio, come se l’apprendere fosse una preghiera personale e silenziosa (lontana da ogni curiosità).

Poi arrivarono le riforme democratiche che azzerarono modelli di apprendimento che vennero definiti reazionari ed anti democratici (come anche i genitori vennero divisi tra democratici e non democratici). La didattica e la pedagogia dell’americano Dewey divenne anche per il sistema italiano il nuovo “Gentile”, ma gli mancava un’importante intuizione che gli uomini non sono animali, i bambini non sono pulcini.

Ogni popolo ha bisogno della sua scuola in rapporto alla sua cultura, a quel particolare mondo che i tedeschi chiamano Heimat,  gli ebrei yiddish Shtetl  e gli spagnoli la Patria pequeña  e che i  latini chiamavano Humus.

Prevalse il pragmatismo  maccheronico e tutti ci sentimmo più liberi, più anarchici, più rivoluzionari, più indifferenti alla storia del nostro passato prossimo e remoto.

Un nuovo piano Marshall per l’educazione e l’istruzione pensata per i paesi, soprattutto, alleati, poveri e perdenti.

Noi abbiamo abbandonato l’analisi logica, la conoscenza della grammatica e sintassi, la pratica della recensione e del riassunto e della lettura ad alta voce e, vorrei aggiungere, per conoscenza di causa, di aver voluto strumentalizzare e confondere un certo nozionismo come mortale malattia della scuola.

Il nozionismo è stato dipinto come la negazione della scuola, che andrebbe intesa come un centro di ricerca, di laboratorio, del fare e del rendersi conto degli oggetti o delle motivazioni del sapere. Tutte belle parole strofinate al lucido, ma senza senso, senza seguito, senza alcuna applicabilità scientifica, poiché gli insegnanti continuavano e continuano ad essere formati come sempre: scuola nozionistica, pappardelle a memoria, quaderni riempiti di appunti presi durante le lezioni universitarie o nel percorso della scuola superiore, tutti utili, secondo gli schemi della scuola tradizionale, per poi insegnare però nella scuola dell’innovazione o della ricostruzione.

Si impose una certa sinistra riottosa ed astiosa, ma non la Cultura del fare scuola, cioè di saper sostituire il “vecchio” impianto con un altrettanto efficiente e completo sistema scolastico, cercando di dare continuità a ciò che oggi si tenta di riconoscere come positivo, indispensabile e migliore e non procedere ammodernando i contenuti educativi e didattici seguendo le mode della globalizzazione negando la conoscenza critica degli strumenti  disciplinari ed interdisciplinari necessari per comprendere le nuove fenomenologie sociali, politiche, culturali del XXI secolo.

I giovani studenti sono i primi a risentire di questo vivere l’esperienza scolastica allo sbando, di essere condizionati dalla massiccia invasione dei mass media sulle loro formazioni e scelte personali e professionali.

I drammatici eventi recenti della Pandemia e della Guerra Russo-Ucraina (tutt’ora in corso) hanno accentuato queste visioni semplicistiche, di approssimazione, di propaganda e di rigurgiti populisti, mai tramontati.

Si stanno rispolverando le pratiche per aiutare gli analfabeti di ritorno e funzionali secondo le regole monastiche e non illuministe. ripetere ripetere ripetere e così avremo imparato a memoria le cose essenziali, riprendendo il vecchio ma fondamentale obiettivo di costruire la scuola del leggere, dello scrivere e del far di conto. Siamo ritornati a questo programma post risorgimentale? Ma c’è qualcuno che è capace almeno di insegnare ad usare questo basilare obiettivo del saper leggere, scrivere e fare di conto?

Io sono molto scettico, conoscendo molto bene il mondo della scuola italiana ed estera: i bambini, i ragazzi, i giovani frequentano la scuola (detta dell’obbligo) solo per una esigenza anagrafica, ma non imparano nulla. Quel grado di consapevolezza e capacità critica che erano presenti nelle generazioni passate, in queste correnti e quelle che verranno si creeranno solo svolazzi come quell’insegnante che rispolvera occasionalmente la filastrocca “La luna di Kiev” di Gianni Rodari per “solidarizzare” e parlare di guerra ai bambini ucraini!

Siamo nel cogliere la curiosità ma non la sostanza che nemmeno Rodari poteva aver presente.

Non è con gli scoop ad imitazione o ad effetti mass mediatici che facciamo scuola che siamo preparati a questi massicci fenomeni dell’accoglienza, dell’integrazione, della presenza del diverso, in senso di dover convivere con altri mondi, lontani da noi, anche se fisicamente sono come noi.

Saremo di fronte, come già siamo, ad una scuola colorata, con insegnanti che parleranno solo italiano aiutati dagli indecifrabili mediatori culturali, ma non ci sarà null’altro.

Le riforme democratiche si sono risolte nel liberalizzare programmi, testi, conoscenze e poi l’abbattimento dei ruoli, il dare del tu al docente, per considerare la scuola  come una cooperativa di recupero e di assistenza, come centro per vivere “emozioni” e rivendicare la promozione finale come atto dovuto. Si parleranno tante lingue e avremo diverse culture, ma quella italiana (lingua e cultura) sarà destinata a scomparire, come è scomparsa la lingua latina.

Siamo troppo imitatori di storytelling. Troppo diffusori di mode inconsistenti e vuote. Ed anche il nostro parlato, da tempo, è diventato solo rumore.

 

                                                                                                                                                                 Franchino Falsetti

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