MIP, di Miriam Bruni. Mattia Cattaneo: Sarò Notte o forse Inverno.

Miry in Poetry, dedicata a “Sarò Notte o forse Inverno”

Mattia Cattaneo nelle note di lettura di Miriam Bruni

Pubblicato il 20/04/2021

 

“Sarò Notte o forse Inverno”, 2019

Ho fame
dell’amore che amo
nelle regioni
del mio perduto inverno (p. 49)
 

C’è un aspetto in particolare che ha attirato la mia attenzione e stimolato la mia riflessione: l’autore di queste pagine parla spesso di mangiare e di bere; di nutrimento, dunque, come riconoscendo in ciò la propria finitezza creaturale. Ma vi innesta un elemento marcatamente metaforico, che se dovessimo rappresentarlo graficamente ci richiederebbe senz’altro uno stile Surrealista.

 

Oh, quale sera
non era scavata di lacrime
e l’Agape vagava
lento ed invisibile
mentre mani cresciute
piangevano da occhi malati
(p. 32)

 

“Bevo le fatiche del tempo
muovendomi tra le rovine
d’una valigia senza destinazione.”
(p. 58)

 

“Se gustassi le praterie
con l’oro in bocca come fai tu,
sarei meno affamato
della pallida pietra”
(p. 19)

 

Il sentire e il dire di Mattia può risultare criptico e spiazzante, a volte addirittura incongruente; ma alle riletture successive i suoi testi cominciano a raggiungere le nostre orecchie interiori con alcune “costanti”, alcuni “cardini di fuoco”, (questo il titolo che darò ad uno dei miei prossimi libri), alcuni soggetti e oggetti che vanno schiarendo le radure e le stanze, i flutti e i moti dell’anima narrante.
Anche il dualismo tra spazi interni ed esterni è costante, e la foto in copertina li riassume entrambi.

Il sentire e il dire di Mattia può risultare criptico e spiazzante, a volte addirittura incongruente; ma alle riletture successive i suoi testi cominciano a raggiungere le nostre orecchie interiori con alcune “costanti”, alcuni “cardini di fuoco”, (questo il titolo che darò ad uno dei miei prossimi libri), alcuni soggetti e oggetti che vanno schiarendo le radure e le stanze, i flutti e i moti dell’anima narrante.

Ho un tormento che scava
nelle recondite stanze dell’io.
Ho segni che mi nutrono
di giorni nuovi.
(p. 47)

Anche il dualismo tra spazi interni ed esterni è costante, e la foto in copertina li riassume entrambi.

Nella poesia di pagina 63 e in quella di pagina 47 ci imbattiamo nella personificazione della Notte. Essa è molto più che una collana di ore buie che separano i giorni: diviene il soggetto grammaticale della frase, la protagonista dell’azione. E’ lei che esplora, anziché essere esplorata:

La notte esplora
la terra verniciata
dalle intemperie.

E’ lei che si prepara, più che essere noi a preparaci ad essa:

Il cuore cresce nel cielo,
seme di terra e grano d’oro,
si prepara la Notte delle voci.

Questo artificio retorico, che ai miei occhi sta a significare una contiguità e una commistione sincera vissuta dall’autore con gli elementi naturali lo troviamo esemplificato anche in altri punti del libro: stagioni orfane, stanche campane, capelli di pioggia, aria mutilata

Oltre a ciò sono molto presenti ossimori e sinestesie, anch’essi a trasferire sulla carta un mondo interiore spesso fluttuante e burrascoso.

Dolore, lutto, nostalgia sono infatti tematiche che trapuntano queste pagine senza pudore, alternate però a testi abitati da una speranza di vita molto più consona alla fioritura esistenziale e alla gioia del cuore. E sono tra questi ultimi che ho tratto i miei versi preferiti:

Siamo tramonto

che s’ascolta,

dita tra le dita,

meravigliosa confusione.

Voglio esserti

sigillo profondo

(p. 48)

 

Ascolto questo bellissimo cielo

che sembra così vicino al mio orecchio

(p.52)

 

Ho gridato la gioia

come un bimbo che nasce

prendendo per mano

la Vita.

(p. 54)

Buon cammino, Mattia, ti auguro di non perdere il senso di quanto hai scritto in chiusa al testo “Ho ancora poesie”:

 

Non siamo abisso,

né profondità

dell’anticamera

d’un luogo buio

ma siamo

il suolo sacro della Luce

(p. 53)

Bologna, 20/4/2021 Miriam Bruni

 

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