Di quale arte vogliamo parlare?

Un inciso di Franchino Falsetti che ha tutta l’aria di aver un seguito

Di quale arte chi scrive di arte?

 

Di quale arte vogliamo parlare?
E’ da un po’ di tempo che le pagine dei quotidiani italiani riservano uno discreto spazio al
tema dell’arte, in particolare ad eventi espositivi, a ricerche e scoperte del patrimonio
artistico, alla discussione, anche non specialistica, delle attuali esperienze artistiche, ad un
certo modo di intendere e di fare arte nel XXI secolo.
Un forum di largo interesse generale che coinvolge il lettore non esperto, il giovane artista, il
lettore curioso, una nota colorata alla portata di tutti.
Così non è per chi scrive.

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Articolo 84

Molti sono i critici passati alla carta stampata, all’editoria di
mercato, alle cronache delle Feste dell’arte. Cosa significa tutto questo? Significa,
fondamentalmente, che i lettori non avendo strumenti per leggere ciò che si definisce arte
contemporanea, o arte d’avanguardia, o arte sperimentale, o arte aleatoria, programmata,
od altro ancora, si affidano alle interpretazioni d’élite dei vari critici, con il loro cripto
linguaggio e le loro frasi fatte ed ereditate.

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Internet arte

Cosa si può capire di quello che è cambiato, di quello che sta cambiando, di quello che sarà
l’arte del domani? Un’epoca in cui si distrugge la creatività e si procede per atti e pensieri
discontinui, anche l’arte, che non è neutrale, si trova ad essere frantumata ed oggetto di
mille sfaccettature. Un tempo, non molto lontano, l’arte continuava la tradizione di un sapere
collettivo, di una coscienza anche collettiva, e questo rassicurava anche chi era propenso
alla cosiddetta “provocazione”, perché tutto rientrava nella cultura dell’educazione e della
formazione degli individui, meglio “persone”. Oggi, invece, nel dominio di un capitalismo
finanziario e del caos globale, l’arte si è trasformata, in un linguaggio pubblicitario ed
appagante dello stesso “artista”, che trova nell’onnivoro mercato la sua realizzazione.

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Ronald McDonald

Si può chiamare questa arte? Quella che si assolve e si giustifica nella cultura narcisistica
della nuova scienza della comunicazione visuale? Sono convinto che in questa alta
problematicità degli eventi artistici sia opportuno saper parlare dell’arte con parole chiare,
con evidenti richiami a ciò che è stata e ciò che noi continuiamo a chiamare arte. E rendere
tutti, come se si apprendesse un nuovo alfabeto, a sentirsi, davvero, educati alle dinamiche
dell’arte e non sentirsi solo riserva di caccia per i galleristi, musei e mercati indifferenziati.
Valery scriveva a Gide, nel dicembre del 1902: “In verità, credo che ciò che chiamiamo arte
sia destinato a sparire o a diventare irriconoscibile”.
Franchino Falsetti

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