Pillole Corsare n.8 – C’è un nuovo sogno : diventare italiani!

C’è un nuovo sogno: diventare italiani !                            [n.8]        

Non è il flusso e la presenza dei nuovi emigranti, cosiddetti extracomunitari, che da oltre trent’ anni sono entrati in contatto o vivono nel nostro Paese, a suggerirci questo utopico obiettivo. E’ il nostro modo di essere, di pensare ed agire in contesti plurimi e liberi da ogni pro-memoria comportamentale. Non possiamo  sentirci emotivamente italiani. Dobbiamo essere formati ad essere italiani ( uno storico imperativo! ). Dobbiamo ri-diventare italiani. Dall’Unità d’Italia ad oggi, per vicende complicate od irrazionali, abbiamo perso od abbandonato l’antica affermazione poetico-letteraria di essere i figli di Enea e cioè predisposti all’accettazione dello straniero senza particolari servilismi od opportune strumentali  rinunce. Nel frattempo, in modo particolare, all’indomani della nascita della Repubblica, veniva adombrata, a partire dai libri di testo scolastici, tutta la letteratura patriottica : il concetto di Patria, come ideale e bandiera della nostra identità, nostra italianità, veniva vanificato come retaggio “fascista” di una cultura non democratica e totalitaria. E tutto è stato , in seguito, banalizzato, ridicolizzato ( con studi ed saggi di illustri letterati, pedagogisti ed intellettuali ) a partire dalle opere di Edmondo De Amicis fino a Giovanni Pascoli. Bersaglio principale fu ed è il mondo della scuola. Questo non ha fatto bene né all’Italia, né agli italiani. I sentimenti verso qualcosa o qualcuno sono la “fiammella” che alimenta gli ideali, i valori, quell’universo di conoscenze che caratterizzano un modo di appartenenza, di essere di un popolo o di un singolo cittadino. Il simbolo per eccellenza, come il nostro tricolore, non deve solo sventolare sui palazzi in costruzione, su parate e cerimonie di protocollo o per un alza bandiera . Il “tricolore”  deve ritornare a risvegliare l’orgoglio dell’italianità, conquistata ed esaltata dal sacrificio di milioni di italiani, morti per la Patria , come ci ricordano le sacre parole dell’Inno di Mameli. Non possiamo solo sentirci italiani, dobbiamo diventare italiani, cioè riconquistare quello che un tempo si diceva “l’amor patrio”, eliminando ogni forma di sentimentalismo e di abbandonare, nello stesso tempo, le formule di accomodamento politico e governativo, in nome della cultura del “buonismo”, che ci spogliano di ogni storica, civile e religiosa ragione e fede di essere italiano, repubblicano, democratico ed europeo.

 

Sventola ancora. (Ph. Roberto Cerè)
Sventola ancora. (Ph. Roberto Cerè)

 

                                                                                                                                                                                                                                                      Franchino Falsetti

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Pillole corsare n.7 – Di cosa dobbiamo, davvero, preoccuparci?

Di cosa dobbiamo, davvero, preoccuparci?                                [n.7]

Molti sono gli allarmismi che leggiamo ogni giorno sui giornali o vediamo, senza sosta, in televisione o nei “cari” tormentoni mediatici.

Tra questi, non trovo quello che, in modo invisibile, sta trasformando il nostro modo di vivere, ma, soprattutto, la visione della nostra breve esistenza su questa Terra. Alla angosciante “uniformità” dei giornali, si aggiunge l’ossessivo tam tam che percorre, con narrazioni romanzesche, l’intero mondo dell’informazione a livello planetario. Il processo di spettacolarizzazione di ogni avvenimento: da quello mondano a quello drammatico, domina e condiziona ogni tentativo di comprensione e di interpretazione della realtà. Si è spenta ogni forma di critica, di riflessione e di conoscenza di quanto vediamo, ascoltiamo e leggiamo. Tutto fa parte di un progetto di pianificazione che porta all’assenza delle coscienze, ad una rinuncia automatica, non motivata, di sentita e consapevole partecipazione. Viviamo un mondo di immagini che si riflettono su noi stessi e ci rendono funamboli, privi di ogni emozione, di ogni reazione di fronte all’irrazionale distruttivo che si muove attorno a noi.

La cultura occidentale non è solo nel suo declino, ma ha raggiunto il baratro, cioè la linea della sua “autodistruzione”. Non valgono i paragoni con la fine dell’Impero Romano o la morte delle ideologie. Non è il tempo di trovare alibi o consolazioni. L’uomo occidentale del XXI secolo è ritornato “nudo”, come lo era nei secoli, definiti bui: privi di luce, di  vita, di aspettative, di difese, di amore. Secoli in cui governavano la rassegnazione, la rinuncia, l’indifferenza. Ecco di cosa dobbiamo, davvero, preoccuparci: oggi i mass media ci hanno deformata la percezione della realtà. Oggi leggiamo la realtà con gli occhi dei massa media e tutto ci sembra una fiction di orwelliana memoria. Abbiamo perso i senso della realtà, il senso dell’orrore, il senso della vita e della morte. Tutto si è gradualmente disumanizzato. Viviamo in un mondo di “favole” alla rovescio, dove non si scrive più …. “e vissero felici e contenti

 

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Immaginando fondali di pietra. Ph. Roberto Cerè

  

                                                                                                                                                                                                                                                             Franchino Falsetti

 

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Pillole corsare N.6 – L’informazione gastronomica e la libertà di stampa

L’informazione gastronomica e la libertà di stampa…..          [n.6]                                                                                                                                   

Viviamo, ormai, da moltissimo tempo, una situazione che va al di là di ogni tentativo di teorizzazione e di giustificazione. I sistemi ideologici, vere fortezze del pensiero e dei comportamenti sociali, si sono, dopo l’abbattimento del muro di Berlino e la fine della, cosiddetta, “guerra fredda”, liquefatte, come il famoso “orologio” di Dalì. Nuovi miti e nuovi idoli si sono, gradualmente, sostituiti, in modo particolare, dal famoso boom economico: dalle performances industriali alle mode imperative dell’economia e del mercato. Una vera e propria rivoluzione copernicana. Ma è proprio così? L’antico refrain del “tutto si trasforma”, sembra non abbandonare le tentazioni e le manie dell’uomo: dall’homo sapiens all’homo videns, dall’homo liquido all’homo gastronomico.

Ciò che ci rende perplessi è il constatare che non esistono, purtroppo, isole felici. La stampa, l’informazione e la libertà di espressione non sfuggono a questo sconvolgimento. Fin dalla nascita della carta stampata, il potere ha sempre operato censure di ogni tipo pur di controllare e limitare “la voce” libera del giornalismo ed in seguito dei mass media, di qualunque natura fossero. In Italia, dal liberalismo di tipo risorgimentale alla dittatura, alla repubblica, in modo strumentale ed ideologico, si confondevano, intenzionalmente, i rapporti tra : libertà, informazione, verità, espressione. La stampa era la “cassa di risonanza” del potere dei partiti e ne adulava le promesse e le gesta.

Nel 1959 un mirabile articolo-saggio di un grande giornalista Enzo Forcella, della stampa nel periodo democratico repubblicano, ne fece una impietosa radiografia, intitolandola : “Millecinquecento lettori”.

I giornali sono scritti per il potere politico, i lettori-protagonisti sono i parlamentari, i dirigenti dei partiti ed i consiglieri comunali. Appunto per un piccolo esercito di professionisti della politica. Ed il pubblico? I lettori? Dall’avvento del centro sinistra fino alle esperienze del sessantotto e , continuando, fino alla nascita delle radio-tv libere e la conquista dell’etere informativo da parte dei network pubblici e privati, una vera orgia di un nuovo potere sovrano dell’industria dell’informazione, si sono realizzate esperienze, di sicura innovazione strutturale e di contenuto:  pensiamo al “Il Giorno” ed a “La Repubblica” ( di cui si festeggiano i primi 40 anni – 1976 -2016 – ), ma senza sciogliere le vecchie “ideologie”. Il lettore è molto spesso l’alibi o il complice per certe operazioni di consenso o di smaccata voglia di politicizzazione di un mezzo di informazione. Il giornale come medium di un nuovo potere. Il pubblico ( il lettore ) è una condizione di “essere senza tempo”. E’ quella strana massa che faceva dire al grande scrittore e giornalista Zola: ” La gente vuole notizie? Ingozziamola di notizie. I giornali sono agenti di perversione letteraria”.

Ma ciò che ci lascia ancora disarmati e preoccupati è il prevalere di una certa stampa e di una certa libertà di stampa che  rincorre, ogni giorno, i mostri da “sbattere” in prima pagina. Una sorta di sadismo e cinismo dell’informazione per trasformare la notizia in qualcosa di perturbante, di diffusa perversione e di negazione di qualunque forma di dubbio.

Il lettore non deve leggere con la mente ma con i suoi sensori, con le sue forme empatiche e con il compiacimento selettivo di una personale concezione di verità e di giustizia. Deve sentirsi inserito in una agorà dove si “cucinano” le informazioni sugli avvenimenti selezionati.

“ Nella nostra società il giornale ha una potenza immensa. Può creare o macchiare la reputazione di qualsiasi uomo. Ha la perfetta libertà di chiamare truffatore e ladro il migliore uomo della nazione, distruggendolo oltre ogni speranza”. ( Mark Twain, Libertà di stampa, 2010 )

Altra menzogna : le notizie separate dalle opinioni. Uno slogans pubblicitario ma non praticabile. Lo stile giornalistico anglosassone per dare informazione è solo un miraggio nella esperienza giornalistica italiana. Il nostro stile di scrittura e di pensiero non è capace di separare ma di intrecciare e congetturare, di essere sempre tentati di scrivere il solito “pastone”, anche con l’aiuto della, cosiddetta, “scrittura intelligente”.

 

  Franchino Falsetti

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Credo sia una pianta vera. Ph. Roberto Cerè, 2012.

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Pillole corsare N.5 – L’anno nuovo è appena cominciato ed è già finito!

L’anno nuovo è appena cominciato ed è già finito!                   [n. 5]

Siamo tutti, ormai, consapevoli e forse rassegnati che l’esaltazione mediatica per l’anno nuovo è solo un planetario annuncio pubblicitario, fatto di buoni e sterili propositi, di appelli accorati e di discorsi “invecchiati” di prammatica circostanza. Tutto nel rispetto di convenzioni e tradizioni vuote di ogni “sentito” significato: pronte ad essere gettate nella voragine del “consumo ergo sum” della divorante ideologia della globalizzazione e dell’eterno presente. E così finisce la grande festa dell’anno che cambia, con i soli nostalgici applausi e strilli fatti dai lunari e dai vecchi almanacchi. Della festa ci sono rimaste le polemiche, il chiacchiericcio, i mugugni di chi è stato emarginato, di chi ha “boicottato”, di tutte le improvvisazioni di chi pensa che in questo Paese sia sufficiente, per  mostrare il proprio essere edonistico, di agitare le pubbliche attenzioni, con atti rocamboleschi o di immaginazione de-creativa. Oggi non si può più inventare nulla se non la propria “decomposta” immagine e la propria inutile presenza. Un tempo si urlava lo slogan : la fantasia al potere. Oggi si inneggia alla stupidità come fonte di ciò che si definisce cultura del fare, dell’investire, del propinare, del condividere e di altre bizzarre amenità.

Questa è la filosofia del XXI secolo.

Ci affidiamo per sentirci rassicurati alle parole dei politici e dei letterati. Quest’ultimi, in particolare, raccontano le favole vecchie e nuove alla rovescio per sentirsi svegli e per condividere la propria insonnia.

Che senso hanno le belle parole che “toccano il cuore” di chi l’ascolta? Esistono ancora le belle parole? [ “Le belle parole senza un grande sentire sono belle frasche” ( Perticari – citato da Leopardi ) ]. Il “cuore”, come sede metaforica dei “sani” sentimenti, ha ancora un senso? Anche l’euforia di questo nuovo anno 2016, appena iniziato, non ha cancellato ciò che, in effetti, ci è rimasto: le belle parole senza grande sentire, i testi sacri dei soliti astrologi, di rosea consolazione; i discorsi dei politici, ammantati di “zucchero filato” e da una irrefrenabile e vacua girandola di notizie che hanno raggiunto il grado zero della comprensione e delle motivazioni. La tv e la stampa ed altre forme di informazione, ci presentano il loro “mappamondo”, fatto solo di frammentarie narrazioni dove si mescolano commenti incomprensibili, ripetitivi con immagini catastrofiche e deformanti della realtà o degli avvenimenti, di cui non c’è visione cognitiva e conoscitiva. Un perpetuo “villaggio globale”, dove tutto si crea e tutto si distrugge, mentre il messaggio subliminale resta immutato, come motto ad eterna memoria:

leggi per non pensare, ascolta per dimenticare, vedi per non riflettere

“Le più notevoli stupidaggini accadono al mattino; il cittadino dovrebbe svegliarsi solo dopo le ore di ufficio. Dovrebbe affacciarsi alla vita dopo cena, quando non si fa più politica”. ( Karl Krauss )

 

La fine dei giochi. Ph. Roberto Cerè, 2015.
La fine dei giochi. Ph. Roberto Cerè, 2015.

 

Franchino Falsetti

 

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PILLOLE CORSARE N.3 DOVE ANDIAMO A BALLARE QUESTA SERA?

E… continuano a chiamarla “arte”..                                  [n.3]

E’ da oltre cento anni che in Italia, più di qualunque altro Paese europeo od occidentale, si dibatte sull’avvenire dell’arte moderna e contemporanea. I critici ”consumistici”, in particolare, si rendono disponibili per analisi illimitate per dimostrare che, comunque, tutto è arte; mentre quelli “apocalittici” inveiscono che, da molto tempo, ciò che viene dichiarata arte non è altro che “spazzatura”.

Con molto riguardo, Luigi Bartolini, affermava che “lo spirito dell’arte è morto ovunque. E’ rimasto vivo soltanto dentro al Museo”. A seguito delle rivoluzioni culturali dell’arte, a partire, in modo particolare, dagli anni ’50 ad oggi, ci siamo trovati sempre più di fronte ad esperienze, davvero, sorprendenti da creare molti capogiri e disaffezioni verso una “certa arte” di un certo periodo storico ( quello contemporaneo ) e di un certo comportamento artistico.

Forse non è stato messo in evidenza un aspetto: l’artista nel passato era un protagonista che voleva comunicare ed interpretare un tempo della propria epoca e questo era motivo di grandi coinvolgimento non solo negli ambienti di corte od elitari; oggi l’artista è un protagonista che considera l’arte come un oggetto narcisistico, non comunicabile, non coinvolgente. Assistiamo al fenomeno della solitudine, alla incomunicabilità dell’artista, che attende dal “mercato” la gratificazione, il riconoscimento. Tutto in un circuito magico, dove il grande pubblico non è coinvolto e, quindi, non è educato alla comprensione dei nuovi contenuti e modalità dell’arte contemporanea.

Può esser questa vera arte? Un’arte senza pubblico, senza motivazioni, molto spesso, un puro divertimento dell’artista.

Al Museion di Bolzano ( 25 ottobre 2015 ), una installazione (vedi foto) di bottiglie e bicchieri, è stata scambiata per spazzatura e le donne delle pulizie la buttano  nella “differenziata”. L’opera d’arte aveva come titolo: “ Dove andiamo a ballare questa sera ?”

Dove andiamo a ballare questa sera

Questo non è un episodio isolato: dalle provocazioni di Duchamps alla “merda d’artista” di Manzoni ed altre di inequivocabile dissacrazione di oggi ( es. Cattelan ), rischiano di non essere comprese per una, ormai, consolidata creatività egocentrica dell’artista, nel sentirsi esclusivo, unico, “onnipotente”.

Senza cultura, senza educazione non può esserci conoscenza dell’arte e dei saperi, in continua trasformazione.

L’arte va spiegata, ma l’artista non è alchimista od un illusionista.

Ed ancora gli artisti non devono essere una “categoria” separata. Esclusiva rispetto alla Società in cui vivono. Ne sono espressione e ne divengono, solo così, dei veri protagonisti.

Il grande Mino Maccari, a proposito di queste forme narcisistiche dell’arte, in una memorabile battuta, disse : “Non comprate quadri astratti. Fateveli da soli”.

 

Franchino Falsetti

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Pillole corsare n.2. Puer natus est

Puer natus est ….. ed i Magi venuti dall’Oriente……..                            [n.2]

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Ancora su questa polemica, anche se, si può forse dire meglio, ancora su episodi che non chiariscono la comprensione tra le culture diverse che vivono nel nostro paese, ma evidenziano, soprattutto, una profonda crisi del nostro essere cristiani. Non voglio riportare le nobili pagine scritte dal filosofo inglese Bertrand Russell e dal filosofo italiano Benedetto Croce. Volevo solo ricordarli perché quelle pagine le abbiamo dimenticate, oppure queste ultime generazioni non le hanno proprio lette. Due laici a confronto per sostenere la tesi dell’ essere cristiani o di non esserlo, ma senza dimenticare la profondità dei contenuti, tutti svolti senza alcun risentimento, senso di frustrazione, voler a tutti i costi negare la dignità ed il rispetto dell’altro, del diverso “modo” di pregare o di considerare la nostra esistenza non un “marchio” di gradimento o di tacita accettazione, ma come soggetti pronti al riconoscimento di quel valore umano che è la  considerazione reciproca e non la sudditanza o l’abdicazione. Ciò che ci sorprende è la mancanza di conoscenza storica del cristianesimo, che Croce definiva: ”la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta”.  Le giustificazioni del Preside Parma dell’Istituto comprensivo di Rozzano e quelle del vescovo Cipolla di Padova , mostrano non una dialettica delle relazioni tra un credo laico ed uno religioso, ma insulse precauzioni ed ipocrisie che offendono, innanzitutto, la conoscenza, prima ancora dei legittimi sentimenti di appartenenza a modelli culturali, non dettati dal mercato  dell’industria del consumo o da facili e pietose demagogie nel “rispetto delle altre culture”. Come può un illustre esponente della Chiesa Cattolica affermare che :” farebbe passi indietro per mantenerci nella pace, nell’amicizia e nella fraternità”. Poi seguono sempre le solite smentite o rettifiche. Ma il problema rimane. Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile.  Gli attacchi ai simboli-valori della Cristianità : il presepe ( che significa Natale, nascita di Gesù Redentore), i canti religiosi natalizi, il crocifisso, mettono in preoccupante evidenza che ai quei valori non ci si crede più. Ciò che sta accadendo in diverse parti d’Italia è la cronaca di ciò che abbiamo perduto. L’Islam non c’entra.

 

varie

 

Franchino Falsetti

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