Arte Povera
Nel 1967 il critico Germano Celant, ispirandosi al “teatro povero” di Jerzy Grotowski, definì Arte Povera la tendenza che comprende i seguenti artisti italiani : Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini, Mario Merz, Gilberto Zorio, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Luciano Fabro, Emilio Prini, Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone, Pier Paolo Calzolari, Marisa Merz, Gianni Piacentino, Mario Ceroli, Pietro Gilardi.
Perché si pensò a questa denominazione dell’arte?
L’utilizzo dei materiali della quotidianità, non privilegiati come : carta, stracci, pietre, legno, nonché gli elementi acqua, terra, fuoco, caratterizzavano il processo, in modo arbitrale ed anticonsumistico, di tradurre un’idea in materia. C’è una sorta di rivolta contro le concezioni “storiche” dell’arte e le tavolozze, i colori, la tela od altro materiale del corredo tradizionale dell’artista, viene sostituito dall’uso concreto degli elementi che connotano la natura e la sua interpretazione.
L’arte ritorna ad uno stato primitivo, una condizione priva di ogni condizionamento manipolativo e consumistico.
Un’arte “naturale” fatta di elementi “naturali”, priva di ogni atto convenzionale. Un’arte che vive fuori dagli ambienti canonici, come i musei o le gallerie. Un’arte che irrompe nelle piazze, nelle strade e tende a comunicare una sorte di “energia vitale”, un coinvolgimento diretto nel sociale. Determinante, per capire meglio, questa tendenza, valgano alcuni commenti che lo stesso Celant espresse, inaugurando la prima mostra del gruppo “Arte povera-Im Spazio”, organizzata nel 1967 alla Galleria La Bertesca di Genova ( settembre – ottobre ). Riferendosi a lavori di Paolini, Boetti, Fabro, Prini, Kounellis, Pascali , così sottolineava: “ I singoli lavori dimostrano una tendenza generale all’impoverimento e alla decultura dell’arte ( da cui il nome arte povera ). Sono un contenitore di carbone ( Kounellis ), una catasta di tubi di eternit ( Boetti ), una tautologia del pavimento ( Fabro ), due cubi di terra (Pascali ), la lettura dello spazio ( Paolini ) e il perimetro d’aria di un ambiente connotato sonoramente e visivamente ( Prini ). Tutti esaltano il carattere empirico e non speculativo del materiale adottato e dello spazio dato, cos’ che l’attenzione dell’arte si sposta alla corporeità degli avvenimenti e degli elementi naturali non artificiali […]”.
Giuliano Briganti, importante storico dell’arte, nel suo intelligente e stimolante libro “ Il viaggiatore disincantato, Einaudi, 1991”, sull’arte povera, vedeva la nascita del “mito ideologico di una nuova autonomia dell’arte, di un’arte che si libera, per forza di volontà e con piena consapevolezza, non solo da ogni forma prestabilita ma dalla struttura del potere e del mercato; il mito di un’arte che tende ad annullarsi identificandosi con il processo stesso della vita”.
Possiamo aggiungere che questa esperienza non è stata confinata o circoscritta, collocandola solo in un preciso tempo storico, ma ha sollecitato e sviluppato altre vie, in particolare : dalla installazione alla land art.
Franchino Falsetti
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