EDITORIALE Millecolline. Di che cosa vogliamo trattare

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 23/07/2023

Di che cosa vogliamo trattare

Questo Editoriale non tratterà di un particolare fatto accaduto o di qualche spunto riflessivo per alleggerire la nostra sfiducia verso ciò che muove questo mondo e “le altre stelle”. 

Sono meno ottimista del Sommo poeta. Anche se al suo tempo la vita era una lotta in continua contrapposizione e gli uomini non erano meno avidi di oggi.

Ma non è questo l’oggetto di cui vorrei occuparmi.

Domenica scorsa (16 luglio 2023) ho avuto, dopo molto tempo, l’occasione di trovarmi un bar con posti all’aperto e di sedermi con una mazzetta (così si diceva una volta di giornali.

Per l’esattezza: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Fatto Quotidiano, il Resto del Carlino, La Stampa, Libero, La Verità, Il Manifesto.

Ho speso un paio d’ore per leggerli con attenzione e, soprattutto, soffermarmi sulle scelte dei contenuti, sulle varie descrizioni, le frasi idiomatiche dello stile giornalistico, una lettura comparata non ideologica ma di strilli che sembravano copiati.

Ho seguito tutto con un provvido quaderno che di solito porto in borsello. Ho potuto tratteggiare una esauriente mappa con le inevitabili variabili: ogni giornale ha le sue rubriche, i suoi storici della domenica, coloro che si occupano di costume o di amenità come questo periodo estivo suggerisce.

Ciò che più mi ha colpito è che tutti i giornali dedicavano le prime 4 o 5 pagine alla politica nazionale, meglio, al governo della Meloni ed alle giravolte degli esponenti dell’opposizione, con dichiarazioni, interviste, ampie fotografie e qualche personale commento cripto dei noti opinionisti.

Tutti i quotidiani comprati e scelti con precise motivazioni riportavano le stesse notizie, gli stessi protagonisti, descrizioni omologate.

Tranne qualche volgarità, ma difficile è capire cosa è successo veramente sul tema dell’immigrazione, su ciò che dovrebbe cambiare attraverso le proposte del Ministro della Giustizia, sulla situazione legata al post alluvione (commissario – protezione civile, Governatore della regione Emilia Romagna, i flash enigmatici della segretaria del PD, gli show dei sindacati, gli scioperi e varie esternazioni) tutto questo come se fossero i cartelloni dei cantastorie. 

Solo che la storia non c’è! Ci sono migliaia di parole vuote (su tutti i giornali) ed il lettore, un po’ attento, capisce che il giornale non è più la preghiera del laico (come diceva il filosofo Hegel) ma un obbligo, consolidato da qualche secolo, di un particolare mondo, quello giornalistico, che deve stampare, filtrare e diffondere informazioni incomprensibili.

La carta stampata italiana, di gloriosa storia di geniali protagonisti e coraggiosi direttori, non esiste più.

Con il mio quadernetto ho provato ha sintetizzare le informazioni che erano presenti in tutti i quotidiani e trattati secondo un ipotetico differenziale ideologico e semantico legato al marchio delle testate: le celebrazioni Pucciniane, il caso Venzi (accusata di fascismo per aver eseguito l’Inno a Roma, composto da Puccini nel 1919)  e la direzione della Boème (ambientata nel 1968 a Parigi) del M° Veronesi presentatosi sul podio bendato, il caso Facci e le sequele di valutazioni bizzarre, le vacanze  nel caos tra rialzo dei prezzi e il caldo di Caronte, racconti noir (alla liquerizia  ispirati alla cronaca nera, pettegolezzi e leggerezze della vita quotidiana come la spazzatura romana che contamina anche la sacralità del Colosseo. E mini storie personali di qualche nostalgico giornalista che non vuole invecchiare o non sa invecchiare.

Quotidiani come rotocalchi. La classica lettura sul wc e poi nel sacchetto del rusco.

Su otto quotidiani il solito applauso alla nota domenicale (Padiglione Italia) di Aldo Grasso sulla prima pagina del Corriere della Sera, taglio basso a sinistra. Una nota in piena sintonia con questo Editoriale: difficoltà a leggere in profondità: “[…] Si fermano alla superficie, cedendo fatalmente all’urgenza di esprimere un parere”.

Io ho cercato di applicare questa valutazione, ma bisognerebbe aggiungere che il lettore potrebbe essere anche analfabeta funzionale o privo di ogni strumento per saper decodificare ciò che legge. In poche parole oggi si scrive per lettori ignoranti, non per i 1500 lettori (onorevoli, governanti, politici, intellettuali) come dal famoso saggio di Enzo Forcella.

Ma non basta ancora. Alla fine della mia lunga e studiata lettura non ho capito nulla: lo stile giornalistico ha cambiato “registri” e molto spesso si è privi di documenti sicuri e di fonti veritiere ed allora prevale l’affabulazione.

Il giornalista inventa le storie di cui la gente parla e vuol sentir parlare. Come per la vicenda di Zaki. Chi è davvero costui? Nessuno lo dice e nessuno lo sa. Ma è opportuno parlarne. A chi giova?

Ho sovvenzionato la stampa italiana, ma ho riscontrato quello che il grande Camus scriveva ne La Peste: “Vivere con una memoria che non serve a nulla è destino degli schiavi”.

Franchino Falsetti

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