Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 15/01/2023
Il bullismo non è una nuova malattia esantematica (1)
È da un certo tempo che si parla di questo fenomeno sociale, così viene definito dalla stampa e dai soliti, ormai invecchiati e stravaganti psicologi, alla corte della democrazia. Se tra cento anni si valuteranno le malattie sociali del nostro evo contemporaneo, mi auguro che tutto si risolva in una solenne risata e nel mettere al macero la produzione, le interviste, la supponenza di certi sostenitori di discipline pseudoscientifiche, anabolizzanti e narcotiche come la psicanalisi, la psichiatria e la psicologia in tutte le sue “inventate” collocazioni interdisciplinari, compiacenze mass- mediologiche ed intraprendenze personali.
Come per la Pandemia del Covid-19 e successive trasformazioni ed attuali nuovi esseri (viventi od artificiali che siano) abbiamo ed assistiamo alla caduta di ogni credibilità e di ogni chiacchiericcio proveniente dalla scienza medica, dagli infettivologi e scienziati senza “collare”, così d’affidare a questi guru senza frontiera le sentenze o gli oracoli per capire e fronteggiare questo malessere sociale della contemporaneità (il bullismo) che non è una nuova malattia esantematica.
“I giovani sono più violenti? Sono stati abbandonati dalla società, dalle istituzioni, dalla politica e dalle famiglie. Si ribellano e cercano di affermarsi come individui”. (Lo psichiatra di lungo corso Paolo Crepet, in una recente intervista su il Resto del Carlino, 28 dicembre 2022)
Ma non ci si ferma qui: la dispersione scolastica e la scarsa integrazione degli immigrati sarebbero altre determinanti concause. Anche questi temi vengono discussi con disinvoltura persino dall’onnivoro Corrado Augias.
Vi ricordate la famosa rubrica sul Corriere della Domenica, La palestra dei lettori? Ebbene noi che viviamo tempi “formidabili”, che non siamo con la “gavetta” in mano, abbiamo ripristinato questo, famoso, remoto, graditissimo spazio giornalistico in libertà. Al posto della posta o di semplici domande, il giornalismo della fucina contemporanea ospita chiunque sia in grado di usare il computer e le arterie internet.
Ogni mestierante o professionista pretende la sua tribuna (cartacea o visiva) per ostentare la propria opinione, quello che passa per la mente, quello che desidera che sia ricordato all’anagrafe dell’informazione (una volta si diceva della cronaca cittadina).
Nulla di tutto ciò accade sulle riviste scientifiche. Tra l’altro l’Italia brilla per l’assenza di fonti estere e relative produzioni. Solo pochi privilegiati possono accedere oppure godono di strumenti di conoscenza per studiare determinati problemi, come quello del bullismo, in modo comparato secondo metodologie altamente sperimentate da illustri studiosi.
Il bullismo (abuso di potere, prepotenza e violenza verso i più deboli) non è etichettabile ad una fascia di età giovanile.
Si registrano casi di violenza verso anziani o coetanei dove partecipano bambini di 9-10 anni. Ed il gruppo selvaggio oscilla tra i 12 ed i 15-16 anni. Non sono ragazzi, adolescenti, in cerca della mamma; né sono deprivati sul piano affettivo e sociale. Sono forme che denotano le patologie della democrazia malata. Gli adulti hanno fallito, gli esperti adulti che sono parte della stessa Società hanno fallito, l’intero sistema democratico di cui gode (sulla carta) il nostro Paese, ha fallito.
Quindi non elucubriamo ipotesi fantascientifiche, né cerchiamo di inventare un sequel di Cappuccetto rosso, non mescoliamo l’incapacità di programmare a livello nazionale le nuove sfide educative ed i nuovi disadattamenti.
Tutto questo ai soloni pedagogisti non dovrebbe apparire nuovo. Un grande maestro, pedagogista, intellettuale (dimenticato), direttore delle Istituzioni para-scolastiche del Comune di Bologna (dal 1966 al 1970) Bruno Ciari, scrisse un libro pubblicato dagli Editori Riuniti, La grande disadattata (cioè la Scuola italiana).
Sono passati più di cinquant’anni e sembra che (tranne la definizione del fenomeno: bullismo o bay gang) sembra di parlare di qualcosa che alla fine fa parte del solito “tritacarne”, il buco nero delle moderne Società.
Negli anni cinquanta del secolo scorso film come Gioventù bruciata (1955), I peccatori di Peyton Place (1957) e poi Peccatori in blue jeans (1958), segnarono una rivoluzione epocale: il mondo occidentale prendeva coscienza della protesta, della contestazione, della liberalizzazione dei costumi, delle idee, della tradizione e dei valori che avevano fino allora determinato la “certezza” della visione della Vita. Le antiche Civiltà rompevano con i modelli educativi del passato ed aprivano le strade accidentate della cosiddetta “contestazione globale”. Si girò pagina ed oggi abbiamo gli effetti dei rigurgiti, come il bullismo, che il pensiero debole non vuole considerare una forma di delinquenza, ma un semplice disagio verso la convivialità e rispetto generazionale.
Gli esperti continuano a frammentare il problema e suggeriscono forme di recupero, di storming, di sedute spiritiche, di un certo buonismo, perché alla fine sono dei ragazzi e con qualche tirata d’orecchi tutto potrà essere rimediato.
Non è così. È un fenomeno che si coniuga con al diseducazione, la mancanza di rispetto verso ogni tipo di autorità civile, familiare, religiosa e delle elementari regole di comportamento sociale e relazione. Sono gli scarti della scuola italiana che vive alla giornata e rincorre le ambizioni sperimentali prive di ogni fondamento culturale e pedagogico. Ognuno si educa da solo, la scuola è un coacervo di istintualità e di rifugio per il tedium vitae rispecchiando le violenze distruttive, amorali, diffuse dai mezzi di comunicazione di massa. La legge non appare. Non appaiono storie del vivere “normale”. Prevale la disarmonicità, il pensiero occasionale come stimolo ai fatti fisici interpersonali che accadono giornalmente.
È opportuno rivedere la materia della delinquenza giovanile: cominciare a considerare ciò che è reato da ciò che è una ragazzata. Il carcere non è una buona soluzione, ma è per un certo periodo un ottimo deterrente se funziona (non con inutili restrizioni, ma con creare il senso della riflessione e della colpa).
Il bullismo è un fenomeno che non conosce il senso della colpa, che non possiede alcuna coscienza relativamente ai fatti compiuti. Si sentono autorizzati e spavaldi verso ogni atto illegale e de-personalizzante. L’esperto Crepet parla ancora di “individui”. La parola “persona” non esiste. E questi giovanissimi sono stati, invece, svuotati non come individui ma come persone. E’ opportuno dare a questi giovani la loro dignità come persona, la loro identità come componenti effettivi (protagonisti) della Comunità scolastica e sociale nelle quali vivono.
Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma vorrei che il Ministero dell’Istruzione e del Merito, nominasse un Comitato tecnico interdisciplinare (dalla Scuola, Famiglia, Chiesa, Confindustria, Istituzioni pubbliche e private) per studiare e realizzare un nuovo sistema educativo nazionale, sul futuro delle nuove generazioni, perché essere giovani non è un “categoria” su cui esprimersi liberamente, ma è un delicato periodo delle nostre brevi stagioni della Vita. Ed è, ora, più che mai, opportuno riparlare di educazione permanente e di Società educante.
L’attuale permissivismo e l’assenza totale di ogni responsabilità, è la facile scorciatoia dell’attuale mondo smarrito che vive di antibiotici ed ansiolitici per sanarsi dei fallimenti, delle colpe e dei sensi di colpa.
Franchino Falsetti