Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 24/07/2022
Ricordando Pier Paolo Pasolini
Qualcuno ha parlato dell’anno pasoliniano. Pasolini nacque a Bologna nel 1922 e lo ricordiamo nel centenario della nascita.
E la sua amata città, dove ha studiato al liceo classico Galvani ed all’Università con il grande maestro Longhi, gli ha dedicato una mostra significativa dal titolo “Folgorazioni figurative”, collocata nel Sottopasso di Piazza Re Enzo (1 marzo – 16 ottobre 2022).
Ma non voglio ricordare la sua biografia, né parlare della Mostra che merita di essere visitata per cogliere alcuni aspetti “trascurati” della sua multiforme personalità, desidero invece “spigolare” sulle sue coraggiose, avvedute, utopiche, profetiche visioni che ci fanno conoscere un Pasolini poeta, filosofo, letterato, di grandi intuizioni ed anche legato alle tradizioni (a dispetto del suo imposto controverso cliché dai radical chic): “Sono un uomo antico, che ho letto i classici”. Ed ancora dai suoi famosi scritti, snobbati in vita, sono emerse dure condanne ed anche un certo disagio nel pensare di vivere in un mondo costruito sulla volgarità e sull’arrivismo. Un Pasolini ben diverso da quello diffuso quando era in vita: il suo impegno politico, sociale, culturale come scrittore, poeta, attore e regista mostrava solo pretesti per deriderlo o censuralo a partire dai suoi primi e rivoluzionari libri come Una vita violenta (1954) o Ragazzi di vita (1955) e per la sua dichiarata omosessualità. Dopo la sua violenta morte avvenuta all’alba del 2 novembre del 1975, a partire dalla sinistra comunista che lo aveva osteggiato nel famoso discorso agli studenti e nella straordinaria raccolta di poesie intitolata La meglio gioventù, avviò un lento revisionismo che dopo quasi cinquant’anni dalla morte riabilita non solo la sua complessa personalità ma la sua folgorante intelligenza e la sua innova-tiva e critica produzione letteraria, politica, corsara, artistica.
Il 7 gennaio 1973 Pasolini diventerà collaboratore del Corriere della Sera, su proposta del Vice Direttore Gaspare Barbiellini Amadei, subito accolta dall’intrepido giornalista e riformatore Direttore Piero Ottone. Può essere in-teressante come lo stesso Ottone ci rende noto di questa inusuale operazione
“Mi resi conto dell’importanza di Pasolini prima ancora che per conoscenza di-retta attraverso le colonne del Times. Abitavo a Londra, e trovavo nella stampa inglese, specialmente nella testata più famosa, lunghi articoli su quest’uomo insolito e geniale, capace di esprimersi in modi diversi. Mi sembra che vi fossero allora in Italia diffidenze di vario genere verso di lui. Gli inglesi erano più spregiudicati; vedevano la grandezza dell’artista senza pensare alla poli-tica”. (P. P. Pasolini, Scritti corsari, Introduzione di Piero Ottone, Epoca!- I libri del punto esclamativo, 1975)
Non vorrei essere scambiato per un fan della prima ora, ma certo che ho conosciuto Pasolini fin dai suoi scritti universitari sulla famosa (ed ignota) rivi-sta “Il Setaccio” (1942-1943). E lì ho cominciato ad essere interessato e ho sempre letto le sue opere, compreso i famosi Scritti corsari e Le Lettere luterane, con vivo interesse e curiosità intellettuali.
Potrebbe essere esemplare – e creare stimoli per letture più mirate e finalizza-te – trascrivere alcuni incipit di alcuni noti e non, della sua “genialità” e del suo coraggio intellettuale e politico.
Da: Marzo 1974. Vuoto di carità, vuoto di cultura: un linguaggio senza origini (Prefazione a una raccolta di Sentenze della Sacra Rota, a cura di Francesco Perego):“Finché la Chiesa, il mondo contadino, la borghesia paleoindustriale era-no un tutto unico, la Religione poteva essere riconosciuta in tutti e tre questi momenti di un stessa cultura. Anche, ed è tutto dire, nella Chiesa: nel Vaticano. I delitti contro la religione perpetrati dalla Chiesa – se non altro per il fatto stesso di esserci – erano giustificati dalla Religione. […]
Ma oggi il popolo non è più solidale con la Chiesa: il mondo contadino, dopo circa quattordicimila anni di vita, è finito praticamente di colpo. Il Concorda-to, ancora vigente, tra la Chiesa e lo Stato post-fascista è dunque una pura e semplice alleanza di potere, neanche più giustificato oggettivamente dalla presenza dell’anonimo religioso contadino. […]”.
Da: 24 giugno 1974. Il potere senza volto: “Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell’intelligencija. Invece non è co-sì. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile – o, per dir meglio, visibile – nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono state distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. […]”.
Rileggendo questi incipit di brevi saggi od articoli, scritti in tempi di ricerca di identità “repubblicana”, considerando il contesto e l’epoca, l’attualità delle situazioni presentate è davvero sconcertante. I contenuti sono rimasti invariati e le risoluzioni fanno parte di quella astratta retorica che toglie alla Storia ogni senso di veridicità. Un invito a ri-leggere queste illuminate pagine per capire meglio tutto ciò che commenta la transizione infinita di un’Italia sempre più traghettata da cavalieri mascherati di buonismo, di in-curabili “arrivisti”, cinici traghettatori non più verso paesi dei sogni ma paesi degli inganni.
Franchino Falsetti