Miry in Poetry, nota di lettura dedicata a “Io e Lucia”
Lucia Marilena Ingranata, di Miriam Bruni
Pubblicato il 03/01/2021
Nella poesia c’è tanto bianco, tanto silenzio, lo sapete tutti. Le raccolte più belle sono come raccolte di neve: un impossibile fattosi carne, un natale fuori tempo, un cesto di erbe medicinali, spesso amare ma pronte a rilasciare vitamine (e mine di vita!) a chi vorrà assaggiarle, a chi oserà ascoltarle.
Massimiliamo Damaggio nella Prefazione a questo libro definiva queste poesie “non semplici annotazioni di vita ma dissezioni disincantate delle cose reali, per come sono, o perlomeno per come ci si presentano.” Concordo sul carattere asciutto di questi testi. Lucia Marilena Ingranata utilizza termini molto concreti, agglomerandoli però in modo da far scaturire con grazia decisa l’immagine poetica, il succo della frase. Scrive versi su cui occorre soffermarsi lasciando agire la sostanza della poesia, fino a coglierne il senso, o quello che al lettore possa apparire tale. Quel che viene tratteggiato è infatti un discorso interiore, soggettivo, e inoltre sin dal titolo l’io scrivente si auto-presenta duale, sdoppiamento che però, stranamente, non viene troppo indagato, o illuminato, nello scorrere delle pagine. Questa scrittura non divaga, non diviene mai un astratto ragionare: è piuttosto un appuntare in parole molti dei colori, delle svolte, delle attese e delle “penitenze” della vita reale.
In “Io e Lucia” troverete testi che non si dilungano in nessuna direzione, è un libro che lascia anche perplessi, a volte, inquieti. Se dovessi però abbinarvi una canzone non sceglierei un canto triste, piuttosto uno complesso: opterei per “Pensieri e parole” di Battisti…Ricordate l’inizio e poi quella voce che prorompe e si interseca alla prima?!? (”Conosci me…”)
Che ne sai di un bambino che rubava,
E soltanto nel buio giocava
E del sole che trafigge i solai, che ne sai?
E di un mondo tutto chiuso in una via
E di un cinema di periferia
Che ne sai della nostra ferrovia, che ne sai?
Anche Lucia Marilena ha toni accorati per la sua casa d’infanzia, per la stazione, il fiume e lo stradone che per un tratto gli corre accanto… (vedi pag.19). Ricorda in particolare i giochi fuori casa di lei bambina, di lei sull’altalena, quella che ancora dondola, ma mossa dal vento… (vedi p.51)
La dimora da cui scrive ora è “la casa con la panchina/ per le solitudini o i racconti sottopelle/ per i diari infantili tenuti in ostaggio” (p.10), una casa “che ha troppi piatti per pochi commensali” (p.31). Via via che si passa da una sezione all’altra si comprende infatti che l’io narrante ha perduto i genitori, e che i figli sono ormai cresciuti e divenuti a loro volta genitori. Si accenna alla presenza di un marito, ma è per un altro TU amato (che però non sempre le vive accanto) che si accende un buon numero di poesie. Senza di lui “appassisce anche la luce” e il desiderio della donna è che no, non dorma altrove, piuttosto venga a raccontarle storie superate trascritte nei quaderni dei suoi anni e lei la metta alla fine, dopo il punto (vedi p.66). Emerge qui la passione matura di una donna che vorrebbe abbandonarsi a un nuovo inizio, essere posta a inizio frase appunto, una “lei” che in ogni caso si tatua sulla fronte non più “il freddo del passato” ma il grazie dell’amato, quello che riceve sulle tempie e resta con lei a colmarne l’assenza (vedi p.67).
Questa donna, ormai avvezza a perdite e partenze, sceglie di non trattenere a sé, ma ancora scorge in sé una possibile Biancaneve che un bacio di vero amore potrebbe risvegliare (vedi p.76).
Del resto la voce poetica che qui si dipana dice di avere: “speranze da cane, una coda immaginaria”
Punto il naso all’imbocco della strada/ e lascio sempre fuori un piede, l’altro scrive,/ credendosi poeta” (p.15).
Invece “i gatti aspettano senza guardare l’ora/ hanno espressioni senza punti di domanda/ speranze brevi, quando nessuno arriva/ svoltano l’angolo con sussiego” (p.15).
Marilena ha predilezione per le storie vere e per le tempeste, di sé stessa non sa molto, dice, pare abbia dismesso da tempo gli abiti stretti e da tempo divorziato da sé stessa… A pagina 37 afferma:
Di me so poco, non mi ascolto
o forse preferisco improvvisare
come con te che sei precipitato
sparpagliando le linee già tracciate.
Ora ti tolgo e poi mi dolgo
di questo vuoto a perdere che sono.
“Io e Lucia” parla del mondo che ci circonda: piante, animali, persone, stagioni. Parla di nascite e di funerali, e di come si sta al mondo…Vi è uno strano fatalismo in questa scrittura, o perlomeno questo mi ha trasmesso: una sorta di clima nebbioso – che a tratti si ravviva in dolce felicità, a tratti precipita su amarezze senza sconti.
Concludo con un’ultima poesia (quella di p.71) che si apre alla speranza. Come se Lucia e Marilena si fossero dette a un certo punto l’un l’altra: “si può ammettere l’inverno”, sì, ma anche “colmare il vuoto degli inventari/ in questa casa dai fianchi larghi” (p.23). Eccola:
Mi porterai i tuoi alberi
Compatterò la terra attorno alle radici
Negandone la provenienza
Non posso sperare nei frutti
Ma dei fiori potrò parlarne
A lungo.
Ho avuto anche meno di questo.
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Miriam Bruni – 1.1.2021
Nota di lettura a
“IO E LUCIA”
di Lucia Marilena Ingranata
Edizioni Noubs, 2014