Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 09/11/2025
Parlare senza conoscenze
Parlare o scrivere senza avere conoscenze di ciò che si vuole esternare, comunicare, sostenere è, ormai, una regola che si apprende dal proprio lessico familiare.
Le nuove famiglie sono i nipotini sessantottini che, orgogliosamente, per sentito dire, per personali deduzioni tendono a dogmatizzare la propria opinione, che trasformano in proprie convinzioni, cercando di imporle, anche se, in massima parte, sono prive di ogni fondamento di studio, di documentazioni meditate, confrontate, comparate ed infine compendiate in un pensiero combinatorio e dialettico.
Poiché abbiamo canali di semplificazione del sapere e delle conoscenze (da Internet ai dizionari manipolati ed alterati dalle influenze dei poteri politici), anche sui banchi di scuola, di ogni ordine e grado, il comunicare non è frutto di studi ma di formulari che hanno oscurato il glorioso Bignami di antica memoria ma dignitoso salvagente per gli studenti frettolosi e pigri.
I talk show ne sono la prova provante: non si discute per conoscenze, ma si discute per sostenere la vacuità dei contenuti proposti.
Ma quali contenuti? Sono format di intrattenimento, dove oltre ai giornalisti generici si affiancano in qualità di opinionisti cantanti, attori, teatranti, liberi urlatori, tuttologi arcobaleno e gli escort della cultura consumistica.
I pochi esperti vengono ridicolizzati, banalizzati, messi dietro la lavagna della vergogna del “non sapere”.
Uno spettacolo deprimente, insulso, offensivo per chi ha sperato di imparare qualcosa di più. Ma ciò che più colpisce è l’arroganza dell’ignoranza: ricordate il tempo dei dibattiti urlati, dove la ragione delle proprie opinioni passava non sul gradimento ma sulla violenza verbale fino a raggiungere l’offesa personale ed in molti casi l’abbandono dal programma.
Ognuno voleva avere ragione. E’ possibile che 10 invitati (donne e uomini a vario titolo) possano avere tutti ragione? Cosa significa ragionare? A quale cultura si fa riferimento? Che tipo di formazione hanno quelli che
Intervengono? Gli interrogativi sarebbero tantissimi, ma penso che sia utile una semplice risposta che li comprenda tutti: l’affermarsi del pensiero unico ha maturato questi comportamenti e questa sfrontatezza sia verbale che scritta.
I giornalisti ripetono ciò che loro hanno scritto o quello che hanno ricavato dalle varie agenzie, senza entrare nel merito dei problemi utilizzando strumenti critici e metodologici per verificare l’eventuale attendibilità o veridicità.
Pertanto sono dei replicanti, si copiano a vicenda per riempiere le pagine dei quotidiani o di altro strumento informativo.
Gli altri che non sono addetti ai lavori sono solo comparse che leggono le famose “veline” o gli estratti sul proprio cellulare, ma, comunque, tutte fonti prive di professionalità e di garanzie su cui potrebbe essere possibile sostenere, con cognizione di causa, una propria tesi, senza la pretesa di avere ragione.
La ragione ha bisogno di scientificità, di modelli culturali, di conoscenze profonde e non dozzinali, non personali da Manuale delle giovani Marmotte.
E ciò che ha caratterizzato e caratterizza questo pensatoio mediatico si è trasferito nel nostro Parlamento, luogo sacro per eccellenza, luogo distintivo della nostra Repubblica democratica.
Con la seconda Repubblica si è trasformato in una arena di lottatori e non di pensatori, non di esperti nelle singole materie di cui il Parlamento dovrà deliberare. Siamo anche qui nella cultura bassa del copia e incolla, del fare leggi e poi doverle riscrivere, nel dibattere non per capire un problema ma per esprimere rancori ed astiosità personali.
Tutto condito dalla politica, da un linguaggio precotto, orecchiato, ripetitivo, senza significati, solo per osteggiare gli avversari o rincorrere l’umore delle piazze strumentalizzate ed istruite alla sovversione, alla violenza, a tentativi di distruzione di un bene comune quale la democrazia ed il diritto alla conoscenza.
Franchino Falsetti
