Da poeta a poeta: Miriam Bruni legge e commenta Esterina Guglielmino
Diario femminile singolare, una raccolta poetica.
Pubblicato il 28/6/2025
Come fiori riarsi dalla propria stessa sete è uno dei versi del libro che mi ero trascritta e che vorrei utilizzare a titolo di questa mia breve ma sentita Nota di lettura.
In copertina campeggia una donna rannicchiata a terra, infilzata da grosse spine su tutta la superficie del corpo nudo e circondata di petali di rosa… E comincio subito a empatizzare con un contenuto che intuisco familiare, proprio perché femminile.
Sfogliando scopro che è la riproduzione di un’opera di Angelo Ruta (2010): “Rosaspina”. Da questo Acquerello, che è anche il titolo del testo che chiude il volume, uscirà un crescendo di sogni, di sillabe e di suoni, che parte dalla terra e rovescia tutte le consuetudini del cielo (p.43, Rivolta).
Radici e partenze, nodi di polvere e rime, assonanze: con la Pozzi, la Dickinson, la Sexton. Quella di Guglielmino è poesia di continui “echi e richiami”, come giustamente scrive David La Mantia nella Prefazione a questo potente Diario poetico, avvolgente come un bisso che emerge dalle profondità del vissuto.
Testi tra la trasparenza e il grigio, tra l’aria e il fuoco, la terra e il mare.
Ma a quel mare di onde solitarie e alghe risucchiate dalle correnti che circonda la sua regione natale, l’autrice preferisce soffermarsi sull’aria, sugli sbuffi del vento, forse per quel suo mistero ancora più fitto di quello del mare, di quello del cielo.
Poesia che ha saputo trovare “le parole per dirlo”, per dire cosa è stato vivere: vi si trovano ricordi e rielaborazioni di infanzia, giovinezza, famiglia, maturità…Cosa è stato sentirsi piccoli da piccola, e piccola da grande.
Ci si guarda perlopiù dal di fuori, si parla di sé in terza persona, ci si accorge che il padre non tocca più le nostre ferite, non è più al nostro fianco per “difenderci la vita”…Dobbiamo farlo da noi stesse, e anche intonare canti per chi ci è figlio, e vegliare madri malate all’ospedale.

Cosa c’è oltre la curvatura della foglia, oltre il calore di madre terra? Questo si chiede Esterina, ed io con lei. E la risposta viene da Angeli (p.55): forse è tutto un patto da stringere con l’aria, per tramutare in vortice il sangue secco delle vene. Sì, perché spesso siamo come sterpi secchi e rovi che però custodiscono il vermiglio nelle bacche… Le nostre vene sono cave d’amore. Che ambiguamente sta a significare sia un vuoto che un pieno.
Così è la vita. Non mancano riverberi d’oro, ma sempre provvisori. Non manca il dolore, non manca la grazia di gesti efficaci e parole d’amore. Si aspettano segnali di eternità, ma col passare del tempo è sempre più la frescura della terra a chiamare… Quello che resterà di noi sarà forse un profumo di lavanda, perché i nostri passi sono più che silenziosi: sono muti!
Muti, penso io, per non dire trasparenti. Perché i passi di ognuno chi è capace di vederli? Chi li vede i nostri lunghi pomeriggi afosi, i grandi campi vuoti della nostra solitudine e tutte le nostre pur perfettibili armonie?
Bellissimi i testi “Custodire”, “Imparare”, “Preghiera” e “Ultima neve”. E bellissimo il verso a pagina 39: Insegnami la curva aperta dello stelo, quando s’inarca docile a disegnare l’aria.
Sembra proprio che questo arco umile dello stelo aiuti Esterina a chiudere il cerchio: Diario femminile singolare torna infatti alla trasparenza del suo Mattino…Nelle ultime pagine troviamo il paragone col velo di vetro che increspa le strade bagnate di pioggia leggera (p.97).
Forse la nostra Autrice ha davvero maturato un cuore da Penelope, come desiderava, capace di perdono e di fiducia, denso di attesa e di solido amore, destinato a tornare gemma verde e poi corolla al vento, ad ogni segnale di Primavera…
Miriam Bruni