EDITORIALE Millecolline. Le opinioni non fanno formazione

Editoriale della domenica

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 11/02/2024

Le opinioni non fanno formazione

Camminando per le strade, guardando le vetrine, pranzando all’aperto come selvaggi inseguiti, guardando San Remo od altra demenza televisiva, sembra che tutto vada come sempre, nei migliori dei modi e che le soddisfazioni dei piaceri della pancia e la nebbia della mente siano ben esauditi e garantititi.

Il mondo brucia!

Ma i mass media filtrano le miserie, le guerre in mezzo mondo, le nuove censure, le violenze personali e di comunità (etniche), il fascismo non è italiano, il fascismo è mondiale.

I rigurgiti non sono incipit per i soliti racconti inventati per gli insulsi premi letterari che hanno perso lustro e dignità. Cosa leggiamo?

Un tempo si educava a leggere per imparare, non solo la lingua italiana, ma la vita di chi aveva vissuta o di quelli che profetizzavano attraverso esperienze ed inevitabili cambiamenti social. Si dovrebbe parlare del martirio delle foibe o degli italiani di Pola e d’Istria ed invece si inventano storie d’amore, con “tette” al vento e dialoghi da alfabeto Morse.

Queste storie prese dai romanzi, racconti o frammenti affabulatori non aiutano a capire nulla, come gli eccessivi film di guerra ambientati nel periodo nazista o fascista, diventano esercizi di pura masturbazione ideologica, dove alla fine l’invenzione gioca l’atteggiamento negazionista.

Le sottolineature della violenza estrema, della disumanizzazione, dell’oscurantismo morale e della ragione, non possono essere raccontate in un film o in episodi (liberamente trattati) come è avvenuto per La Storia, romanzo della Morante.  

I centri commerciali non vendono solo alimentari, ma modelli di vita, di comportamento, di visioni opinioniste della realtà presente e passata.

Si è lottato, molto spesso, in senso demagogico, contro il nozionismo del passato, della scuola gentiliana e poi siamo passati al peggior nozionismo dei mass media e della cultura in pillole di internet, social, network e smartphone. Un circolo vizioso di avvelenamento per la nostra educazione e formazione.

Questa forma di dissociazione cognitiva e culturale ci sta corrodendo e ci predispone alle nuove devianze prodotte dall’irrefrenabile domino e sviluppo della tecnologia.

La tecnologia è vera nuova ideologia dominante che orienta e modifica secoli di storia, in particolare, l’identità dell’uomo e dei suoi significati immanenti e trascendentali diffusi, discussi, sostenuti per la continuità del genere umano.

Nessuno pensa a questo. Siamo stati talmente strutturati come ingranaggio di un sistema privo di valori (non quelli che legati all’attualità come sostengono i progressisti) ma di valori che educhino le nostre coscienze e la nostra mente. Un esempio può far capire meglio.

Qualche giorno fa ho partecipato alla presentazione del libro “Non sparate sulla scuola. Tutto quello che non vi dicono sull’istruzione in Italia”, scritto da due giornaliste del Corriere della Sera, Gianna Fregonara e Orsola Riva, presso la Libreria Ambasciatori, Via Orefici, 19, Bologna. (1 febbraio 2024)

Non entro nel merito del libro per ragioni di spazio, ma è un libro compilativo, di cose già conosciute ed anche di luoghi comuni, soprattutto, nel secolo scorso oggetto di cortei, manifestazioni e slogan in difesa della scuola pubblica e delle riforme ideologiche.

Non si vuole considerare la scuola di ieri, né confrontarla se non per deprimerla (pensando che più generazioni, compresa quella a cui appartengono le curatrici) hanno frequentato e fatto carriera con quella scuola di cui il libro esordisce: “La scuola di ieri? No, grazie. Sfatare un falso mito “.

Ma la cosa più ridicola che gli invitati a titoli diversi: da Patrizio Bianchi (ex ministro dell’Istruzione), Pierluigi Stefanini (Presidente della Fondazione del Monte di Bologna) e Paolo Cevoli (comico), moderatore Giacomo Bottos hanno parlato come se fossero in un Centro ricreativo: ognuno con il suo rosario in mano, tra ricordi di scuola e parole chiave degli anni ottanta e novanta del XX secolo che non hanno sortito nulla perché mai oggetto di Progetti innovatori, come “imparare ad imparare” (ieri ed oggi cosa? dove? Chi? Quando?) oppure, altra perla presa a prestito, “educazione permanente” (Come? Con Chi? Quando?).

Frasi buttate come se il pubblico fosse ubriaco.

Un livello espositivo da Radio Balilla rurale ed una faziosa e demagogica conoscenza della scuola, oggi, inascoltabile.

Il comico Cevoli che parla che il momento che può scatenare curiosità ed entusiasmi è la gita (?) e da lui, con battute autoironiche, arriva una novità che lancia con tronfia supponenza: la pedagogia dell’entusiasmo. Evviva!

Questa è la nuova parola magica che s’intona col il libro in questione che tende a qualificare e difendere la scuola pubblica come un modello: “È aperta a tutti, è inclusiva, è gratuita e resta competitiva con il sistema privato che in altri Paesi invece ha preso il sopravvento”. 

Perché non sono stati invitati dei veri Pedagogisti?

Le giornaliste sono laureate in giurisprudenza e filosofia, poi economisti e liberi pensatori.

Ma ciò che vorrei sottolineare che per due ore si è ripetuto il ritornello della scuola del benessere, dell’entusiasmo, del sorriso, delle boccate d’aria progressiste, delle gite con panini e tramezzini, ma nessuno ha argomentato sul sistema scolastico italiano, sulla sua frantumazione, sulle sue devianze, sul fenomeno del bullismo, della violenza contro i docenti ed i presidi, sulla dispersione scolastica in aumento, sull’inesistenza delle progettualità educative, didattiche , culturali e disciplinari per “ricostruire” il nuovo modello unitario della Scuola italiana.

E questo è un evidente esempio dove, anche chi ha i capelli bianchi, parla con il suggeritore, con le opinioni dei conduttori televisivi, con quelle dei giornalisti e di tutta la rete social esistente.

Mi piacerebbe scrivere la parola fine, ma non è possibile, non lo sarà fino a quando non smetteremo di leggere cose scontate, di ascoltare dei voltagabbana, di essere diretti da esponenti delle nomenclature politiche (destra o sinistra) e dai falsi predicatori del mercato globale.

 

                                                                                                                                          Franchino Falsetti

 

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