Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 14/01/2024
A partire dagli anni ottanta (definiti “banali”) del secolo scorso, senza troppi clamori, a mio avviso, è avvenuta una grande rivoluzione, sollecitata dalla rapidità delle nuove tecnologie, dei modelli e dei comportamenti interpersonali, della comunicazione e dell’uso del linguaggio, lingua italiana e sue contaminazioni socio-linguistiche.
Non ci siamo accorti delle persuasioni occulte che venivano giornalmente diffuse, sublimate per condizionare nuove “mentalità”, non in senso ecologico, ma deviante e restrittivo.
Il politicamente corretto diventerà lo tsunami che travolgerà interi sistemi che fino a quegli anni avevano regolato le nostre vite e che erano quelle dei nostri padri e che poi rispondevano alle nostre tradizioni e radici culturali.
Per attivare questa devastante nuova normalizzazione, contrariamente al materialismo denunciato dalla vecchia sinistra, si è scelto il veicolo del pensare e delle idee: il linguaggio.
Nello stesso tempo si andavano a consolidare nuovi strumenti del comunicare, nuove forme espressive, la proliferazione dei neologismi, un radicale cambiamento dell’uso delle parole che potevano apparire offensive, inadeguate e non conformi alla nuova ideologia globalizzata ed omologante.
“La funzione divulgativa che per le ideologie classiche veniva svolta dalle scuole di partito, dai manualetti di propaganda, dai libretti rossi, dai manifesti murali, dai volantini, per il progressismo diversitario viene esercitata dai film, dal teatro, dalle canzoni, da trasmissioni di informazione/intrattenimento televisivo, e infine da contenuti veicolati attraverso il web e i social network”. (Eugenio Capozzi, Politicamente corretto. Storia di un’ideologia, Marsilio, 2018, pag.32)
Il processo di uniformare, di livellare, di eliminare la stilistica, la metrica (dal romanzo alla poesia) e l’affermarsi delle modalità comunicative dei mass –media e giornalistiche, hanno, ulteriormente, accentuato il processo di una nuova nominalistica che con eufemismi di compiacenza, ha modificato il lessico del senso comune e della aderenza alla realtà.
Alcuni noti esempi possono aiutarci a capire meglio: la parola “negro” sostituita da “nero”, i ciechi diventano ipovedenti, i sordi non udenti, vecchio sostituito da anziano, la vecchiaia in terza età, i bidelli in collaboratori scolastici, gli spazzini in operatori ecologici, gli handicappati in diversamente abili (o disabili), e così per ogni razzista parola consolidata nella nostra lingua nei secoli.
A questa inarrestabile tendenza si deve, sempre influenzati dalle mode anglosassoni, il sessismo nelle professioni, snaturando l’origine della lingua italiana che è il latino e che noi usiamo, ancora oggi, in particolari settori scientifici e tecnologici, nonché nei discorsi ufficiali o richiamandoci a proverbi, aforismi e modi di dire.
Ebbene tutto questo viene ignorato, il genere neutro viene eliminato e di conseguenza, con il sostegno e pubblicazioni del Dizionario Treccani e dell’Accademia della Crusca: il sindaco diventa sindaca, assessore /assessora, deputato/deputata, Segretario/Segretaria, architetto, architetta, ministro/ministra, critico/critica, carabiniere/carabiniera, vigile/vigilessa, storico/storica, filosofo/filosofa ed anche qui, tra il ridicolo ed il grottesco, si vuole cambiare il dizionario della lingua italiana, la grammatica e la sintassi.
E in questa direzione l’Era degli smartphone, ha modificato sostanzialmente la struttura della lingua ma, soprattutto, del comunicare: frasi (messaggi) tronche, disarticolate, abbreviate, ripetitive, stereotipate, riduttive nelle scelte lessicali.
Questa rapidità e ripetitività della comunicazione ha sviluppato la formazione gergale tra le comunità degli utenti, in particolare il mondo giovanile, che in alcuni, casi, con la complicità di progressisti professori hanno, addirittura, compilato un loro dizionario con parole storpiate o crittate.
Il risultato è che non parliamo più la lingua italiana, non sappiamo più usare e scegliere le parole, non siamo in grado argomentare, di contestualizzare nessun evento ma comunicare, ma si cerca di sostituire il comunicare con il raccontare. Si racconta la guerra secondo gli episodi registrati, non si è testimoni ma favolisti di realtà sempre più virtuali e sempre più distraenti, poiché il racconto è come la parabola: può essere autoreferenziale e serve per un uso contingente e la sua brevità viene integrata dalle immagini sempre più surreali.
Oggi non si pensa e non si ascoltano le parole ma si vedono. La comprensione passa attraverso la visione, le immagini che vengono registrate e manipolate dalle nuove tecnologie dell’informazione informatizzata.
Tutto questo ha prodotto la pericolosa sostituzione di pluralismo con populismo e la democrazia ha mostrato la sua fragilità.
Franchino Falsetti