Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 14/05/2023
Ci rimarrà solo Bologna la grassa
Bologna, la nostra città, appena si è sentita liberata dalle restrizioni imposte dalla Pandemia, i vari dirigenti e governanti ad ogni livello hanno prodotto una serie interminabile, tuttora in corso, di iniziative, alcune con forti dubbi e polemiche come: la Variante di Valico, il tram (una sorta di freccia rossa che attraversa la città), festival delle idee ricevute, concerti, nuova stagione del Teatro Comunale trasferito in zona Fiera, rilancio degli eterni dibattiti, incontri con ogni tipo di rappresentante della vita civile e religiosa (cattolica e non), il risveglio delle liste civiche, gli ospedali che gareggiano per raggiungere il massimo delle loro prestazioni e qualità strutturali e di professionalità; sono ritornati i premi ed i riconoscimenti pubblici, compresi quello del Comune di Bologna, apertura e chiusura di via De’ Carbonesi (completamente deserta il fine settimana), le vetrine sono ritornate sfavillanti per richiamare i passanti per gli acquisti, anche quando non sono stati programmati.
E poi tutte le promozioni diffuse dal risveglio sfrenato del mercato (da quello alimentare a quello del tempo libero al divertimento marziano e ripetitivo, alienante di massa).
Le Torri non sono più quelle del nostro orgoglio ma quelle della Fiera e di FICO. Le Due Torri simbolo di una città unica sono oggi l’ombra della Storia passata e dimenticata. Sono anch’esse state trasformate in noiosi souvenir per un turismo pilotato.
A Bologna è ritornato il sorriso, il famoso slogan per sollevarci dal terrore del Covid, ma che è rimasto come tormentone per far passare ogni banalità e sensazioni frivole della insulsa e vuota quotidianità. Proprio così! Tutto viene fatto e programmato perché la vita è un affare, è un proficuo investimento. Vediamo i cantieri aperti in ogni strada, rifacimenti continui ed utilizzi dei fondi europei per “abbellire” quartieri o strutture abitative.
Pensiamo al grande patrimonio dei nostri unici Portici che vengono ricordati quando scende la Madonna di San Luca, durante gli incontri programmati dalla Festa della Storia (ormai priva di reali suggestioni culturali) e i soliti appuntamenti di gare ciclistiche o podistiche o mercatini che evocano vitalità passate.
L’elenco sarebbe molto lungo per dimostrare il vecchio refrain che si cambia tutto per non cambiare nulla. Siamo, ancora una volta, immersi negli eterni ritorni, nei dèjà vu. Nulla ci emoziona, nulla ci coinvolge. Rimangono le nostalgie che vorrebbero riportare la turrita Bologna ai fasti del passato, quando a dirigerla erano uomini d’eccellenza, cultori e conoscitori dell’arte dell’amministrare e governare.
Uomini di grande cultura e capaci di costruire piani regolatori ineccepibili, processi di ricostruzione all’insegna della continuità della Bellezza, di saper progettare i bisogni dei cittadini, di renderli piacevolmente complici delle scelte di governo.
Una Bologna non da bere, ma degna della sua antica Università che non è più luogo di scienza e di saperi, ma luogo di distruttori o meglio di rottamatori, con una pessima legge (Belinguer) e con la cancellazione di ogni seria formazione, fino a pensare, in modo
demagogico, che lo studente potenzia le sue capacità se gira per l’Europa e frequentando, semmai, le università d’oltre Alpi.
I geni, l’eccellenze di cui parlavo qualche riga sopra, nel passato nascevano dalle singole università e Bologna in questo senso primeggiava a livello mondiale. Diciamo, con serenità, che non abbiamo, da tempo più Maestri, i veri Maestri.
Ed allora se i professori di ogni ordine e grado sono stati trasformati in impiegati e burocrati, i risultati sono sotto gli occhi non solo dei bolognesi, ma degli italiani. Una scuola malata che sta per entrare in coma, anche a Bologna ci si diverte ad occupare, strillare, formare cortei con striscioni da analfabeti. Tutti gli anni le stesse cose, gli stessi rituali, la stessa protervia. E tutti gli anni le cose peggiorano; la scuola bolognese ed italiana hanno già affisso il cartello: svendesi!
A Bologna hanno chiuso decine di edicole, di biblioteche, di storici cinematografi e teatri, di librerie storiche e di grande prestigio culturale, di negozi altrettanto storici che rappresentavano la cosiddetta bolognesità. È una città che ha perso la sua identità. Bologna ha perso i suoi caratteri distintivi: ha preferito diventare una città metropolitana, multiculturale, negando le proprie radici, i suoi simboli che la rendevano unica tra tutte le città del mondo.
I giovani che ci governano hanno l’unica virtù di essere giovani. Ma non altro e non sanno nemmeno studiare per non trasformare una città millenaria, di insuperabili bellezze e straordinarie esperienze di buon governo, nonché di centinaia di primati, in un happening permanente, sperando che nessuno si faccia male.
Le strade dell’antico quadrilatero sono un vivaio di tavolini e di pietanze volanti. Le strade sono la mappa di dove andiamo? E garantiscono il filo conduttore per continuare (giorno e notte) questa filiera di tavolini e di pietanze roteanti. Non ci rimane e non ci rimarrà che Bologna la grassa. Una città invasa dalle orde barbariche dei turisti che come locuste mangiano anche entrando nelle Chiese, nei Musei, nelle Pinacoteche.
Con la gioia dei contestatori ambientalisti dell’Ultima generazione che hanno capito che si possono danneggiare i monumenti e i capolavori dell’arte perché non è cultura formativa ma solo esibizionismo di gioielli lustrati per il mercato e la globalizzazione. Questo significa perdita della memoria e dei valori.
Come bolognese ne sono rattristato avendo vissuto la Bologna in tempi in cui si poteva essere fieri della propria città, non imbrattata come un cassonetto della spazzatura e non trattata come una trottola scolorita ed abbandonata.
Vorrei che si imparassero a memoria alcune frasi scritte dal grande poeta Carducci, in occasione dell’VIII centenario dell’Università e sperare che si possa istituire una Costituente per ripensare Bologna nel rispetto della sua storia e tradizione.
“Amo Bologna per i falli, gli errori, gli spropositi della gioventù che qui lietamente commisi e dei quali non so pentirmi. L’amo per gli amori e dolori, dei quali essa, la nobile città, mi serba i ricordi nelle sue contrade, mi serba la religione nella sua Certosa. Ma più l’amo perché è bella.[…]”.
Franchino Falsetti