Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 08/01/2023
E il calendario va
C’eravamo fatti appena gli auguri per un anno senza illusioni che ci ritroviamo di nuovo alle prese del fatidico Calendario dell’anno con grappoli d’oro dei grandi Anniversari come Alessandro Manzoni ed Italo Calvino, la Maria Callas ed Edith Piaf (per citare quelli che non vivono ancora tra noi).
Abbiamo lasciato, solo agli affari del consumismo, un sensibile protagonista del Novecento, un intellettuale, maestro e politico di grande intelligenza come Gianni Rodari, per incontrare altri illustri Maestri nella letteratura, narrativa e nella Musica (canto lirico e canto esistenzialista, poetico-intellettuale, altrettanto, di risonanza mondiale). Un’aggiunta polemica: Gianni Rodari, come molti altri intellettuali contemporanei, sono l’occasione, vedi, non ultimo, il poliedrico Dalla, per mascherare la presenza invasiva dei mass media e diffondere le “frasi” ad effetto, di fortuita coincidenza, rispetto ad eventi, pubblicità progresso, incentivi di ambiguità e strumentalità politica (come la sconosciuta filastrocca dedicata a Kiev). Una manipolazione permanente che rende, persino, la drammaticità di un inutile e sanguinario conflitto (russo-ucraino) in una telenovela ispano-americana.
Non parlerò degli importanti Anniversari del 2023, avrò il Calendario che mi suggerirà quando sarà opportuno trattarne, desidero invece rimarcare gli attuali costumi degli italiani di fronte a questo periodo, definito (natalizio) e che invece passa nell’indifferenza ed assuefazione della maggioranza, sempre più silenziosa. In pochi giorni abbiamo assistito, impietriti alla morte di tre diverse personalità, ma unite da obiettivi comuni: donare la propria esperienza-competenza, la propria volontà-dedizione, i propri insegnamenti, le speranze e la spiritualità per diventare migliori e cercare di salvare la civiltà.
Mi piace ricordare Pelè (O Rei del calcio mondiale), Asor Rosa (scrittore e critico dell’evo contemporaneo), Papa Ratzinger (rinunciatario del Trono di Pietro, con lo strano appellativo “emerito”, per aver voluto mostrare a tutto il mondo che era un “povero lavoratore nella vigna del Signore”).
Ho sempre partecipato, fin da ragazzo, al lutto collettivo, alla perdita di un Cantore dei mali della vita moderna e delle sue valutazioni ed impotenze. Ho sempre creduto che i Santi non fossero solo in Paradiso, ma, soprattutto, su questa Terra per aiutarci a capire e non come tanti altri a sentirsi guidati dai demoni per distruggere, avvilire, oscurare il sole che brucia nella nostra anima.
Sono morti tre vecchi sapienti, tre culture diverse, tre modelli di vita. Sono morti per essere ricordati dalla macchina del tempo, quella elettronica, del tam tam dei mass media, della coralità universale, ma guardando con molta onestà, anche morire oggi fa la differenza. Non è più vera la famosa “livella” dell’indimenticabile amico e buono Totò: oggi anche la Morte è classista, vuole esserlo, lo vogliono gli altri (i radical chic) che questo accada.
Perché nella morte continua la demagogica esaltazione (vedi Dalla) o la cancellazione globalizzata (vedi per esempio la morte recente dell’intellettuale Guglielmi, la cui colpa è quella di non essere credibile neppure da morto. È stato Assessore alla Cultura del Comune di Bologna, ma questo incarico non è stato ricordato da nessuno). Quindi ci sono “eccellenze” anche per morire ed aver Santi in Terra che ne garantiscano il ricordo, la memoria, la presenza, con precisi secondi fini. Come è avvenuto per l’anno appena finito al controverso Pier Paolo Pasolini: tutti hanno cercato di farsi una foto di gruppo, non in onore, ma con un Pasolini, risuscitato, ma poco convincente, una specie di fotoromanzo delle sue produzioni più perseguitate dall’ottusa censura italiana (o forse si è cercata una tardiva assoluzione o un altrettanto tardivo riconoscimento delle sue geniali qualità di scomodo intellettuale del secolo scorso).
Comunque rimangono gravi interrogativi: come mai non sono state ristampate in veste critica i suoi Corsivi Corsari e le sue insuperabili Lettere Luterane? Si è ricordato Pasolini forse per parlare della sua omosessualità, per diventare un santino dell’attuale tendenza alla libera omosessualità e combattere l’incomprensibile “omofobia”. Pasolini alibi, un nuovo cavallo di Troia per altri fini. Del suo pensiero, delle sue intuizione ed acutezze intellettuali non ha interessato nessuno e nemmeno viene studiato, come si deve, sui banchi di scuola. Pasolini (intellettuale, poeta, scrittore, critico, saggista, giornalista, regista, autore teatrale e cinematografico) è solo da considerare un oggetto di consumo, privo di pensiero, ma un nome da giocare nell’Editoria di mercato.
È un semplice esempio, la lista, però, è lunga e dovremmo cominciare a riflettere su come noi italiani, ricordiamo i nostri Maestri (dissidenti o conformisti), valutando che l’avvenire non è trovarsi un lavoro ma avere la coscienza di averlo trovato e di ricordare che la nostra Costituzione non è la bussola, ma il credo di avere coscienza italiana. In poche parole, mi auguro che si possa cambiare il senso dell’Anniversario che non significa riscrivere, adattare, renderlo permeabile delle attuali incomprensioni, plasmarli secondo le comodità giustificatorie di cui vive questa ennesima crisi epocale. Gli Anniversari che ricordano il passato recente o remoto devono servirci a rileggere la Storia, gli insegnamenti tramandati, ciò che hanno prodotto perché i “posteri” ne facciano tesoro.
Gli Anniversari devono essere occasione per fare Cultura, per offrire ciò che, per abitudini secolari, nascondiamo e dei grandi protagonisti conosciamo le solite opere, anzi le riduzioni delle solite opere. Nulla si fa conoscere in originale, anche quando è scritto in lingua italiana. Il grande Manzoni non si conosce perché si rileggono i Promessi sposi, su carta patinata o le solite poesie lette sui banchi della scuola passatista! Manzoni è uno scrittore dell’Ottocento che ha anticipato il Novecento in molte delle sue innovazioni in campo letterario, narrativo e poetico, ma in opere che non sono conosciute e diffuse. I segreti de Il nome della rosa insegnano.
Non sono un orientale che tende, oggi, a cancellare il passato, sono un occidentale, un mediterraneo, un “latino” che nel passato vede il futuro mentre il calendario può staccare le sue pagine.
Franchino Falsetti