Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 23/10/2022
Il sistema formativo allargato non c’è più
Tra gli anni settanta e gli ottanta del secolo scorso si aprì, in particolare nelle regioni del nord più sviluppate una polemica, alimentata anche da molte Università circa l’apertura educativa e formativa della scuola sul territorio diffondendo una concezione, presa a prestito dalla pedagogia anglosassone, della scuola aperta ad ogni stimolazione educativa e culturale come integrazione alla programmazione didattica prevista dall’Istituzione scolastica.
Un’esperienza di indubbio interesse e convincente. Ma fin dalle sue prime sperimentazioni ci si accorse che non poteva divenire il nuovo sviluppo democratico della realtà scolastica a livello nazionale. Si riproponeva (anche in modo drammatico), infatti, il solito e cronico divario tra Nord e Sud e quindi tra regioni ricche e povere distribuite lungo lo stivale italiano. Ma non solo, si evidenziavano nello stesso quartiere in cui era presente la scuola divari e povertà culturali. Il “vecchio” Oratorio stava esaurendo la funzione aggregativa ed educativa ed il sistema formativo allargato od integrato perdeva la sua utopica previsione.
Dietro questi slogan si nascondevano precise ideologie del tempo: l’una progressista che sosteneva il sistema formativo “integrato” (area della sinistra più riformista) e l’altra che caldeggiava il sistema formativo “allargato” (dell’area moderata cattolica conservatrice). La partenza di questo dibattito e di diverse esperienze, comunque, avviate in varie scuole di base italiane, venne formalizzato a seguito della rivoluzione copernicana operata dalla attuazione della scuola a tempo pieno e dalla legge sugli Organi Collegiali per la gestione e la progettualità delle opportunità formative dei singoli Istituti che vennero in seguito denominati, dalle nuove leggi innovative, “comprensivi”: scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo grado.
Queste riforme degli anni settanta ed ottanta del secolo scorso furono indubbiamente delle vere rivoluzioni per il nostro sistema scolastico che, sotto il condizionamento culturale della famosa ma organica Riforma di Giovanni Gentile (1923), rimaneva restia a qualche cambiamento. Nel frattempo cambiava la società italiana raggiungendo livelli di produzione e di benessere, da trasformarla nella settima potenza industriale nel mondo.
E poiché non è la scuola che cambia la società, ma la società che cambia la scuola, negli ultimi trent’anni prima della fine del secolo scorso (alla soglia del 2000), l’Istituzione scolastica italiana di base ebbe il suo coinvolgente fermento di iniziative (pubbliche e private), di aperture collaborative con l’extrascuola, di programmazioni intelligenti relative all’orientamento scolastico e di esperienze progettate con i settori del mondo del lavoro e della produzione.
Una proficua stagione che dovrebbe essere studiata e verificare, come mai con l’entrata nel XXI secolo, improvvisamente, tutto si è sfaldato, disperso, burocratizzato, deformato, direi, sostanzialmente, vanificato. Sono ritornate e centuplicate le visite d’istruzione, le viste ai musei, alle pinacoteche, ai luoghi in cui è più facile il ritorno demagogico del come non fare scuola e del come disaffezionare gli studenti (non solo quelli di base, ma in particolare, quelli della scuola superiore di II° grado e dell’Università).
⌈, dalla scarsa preparazione degli insegnanti ed un conseguente tedium esistenziale e formativo da parte degli studenti. Ancora una il processo imitativo dei Paesi spersonalizzati ha avuto la sua rivincita: in tutta Italia prevalgono le scelte amene, consumistiche, ed effimere come corsi di ogni genere e tipologia, a partire dalla scuola dell’infanzia: corsi di ballo, di nuoto, di equitazione, di ikebana, di sciabola, di judo, arti marziali, di recitazione, di scrittura creativa, di arte terapia, di cucina multi etnica, di yoga, di zen, di modellismo e di illusionismo.
Questi ed altri (non ricordati, ma che rasentano la risibilità) costituiscono il percorso integrativo alla scuola malata come la fontana di Aldo Palazzeschi.
E poi ministri dell’istruzione cambiati come i fazzoletti e tutti a proporre critiche, modifiche, ritorni, visioni personalistiche ed a volte da incompetenti, un continuo gioco delle tre carte per non cambiare nulla, anzi per peggiorare la situazione fino a farla precipitare durante il periodo della Pandemia (con banchi a rotelle, querelle tra obblighi sanitari, le mascherine, contagi ed assenze forzate per mesi della scuola e didattica a distanza) ed ora in quello che viene definito il periodo post-Covid, dove tutto continua tra incertezze ed nuove incapacità. La scuola, la nostra scuola, che nel passato è stata il modello per tutto il mondo, che tutti invidiavano, vive oggi la sua triste pagina di declassamento e di smarrimento.
E’ vero che i soliti indovini e banche dati delle multinazionali, ogni giorno inviano ai giornali statistiche dove si indica l’Università italiana (54° posto nella graduatoria mondiale) con parole di plauso e d’incoraggiamento, così come avviene per alcuni Istituti Comprensivi o Superiori che svolgono esperienze di pieno rispetto, ma non solo le isole che ci interessano, è la Nazione Italia che deve ritornare a ricostruire la Scuola: a renderla efficiente e integrata pienamente nei vari contesti di cui la società ha bisogno del suo contributo.
Ma per far questo è necessario che la Società divenga educante, sia capace di ideare un Progetto di Cultura per la Scuola, per le Accademie, per i Conservatori, per i Musei, per le Pinacoteche, per il Patrimonio artistico (che è immenso e di altissima qualità).
Ed inoltre la cosiddetta extrascuola venga riqualificata, a partire dal mondo Associativo, di cui è rimasta solo la targa ed il campanello. Il florido mondo Associativo di 50-60 anni fa non esiste più. Anche quelle di maggiore prestigio si sono trasformate in attività ricreative e d’intrattenimento. Hanno perso la loro identità “culturale”.
Come può arricchirsi la Scuola se le offerte formative sono omologate a soddisfare programmi globalizzanti e consumistici?
Non esistono i luoghi dove l’incontro è sapere, è conoscere, è crescere, è pensare. Anche le Biblioteche sono diventate dei cimiteri dove si parla un linguaggio di circostanza, prevale la visibilità l’ostentazione della vanità istituzionale. E tutti dicono e ripetono le stesse cose, come si fa sulla carta stampata.
Non solo dobbiamo svegliarci, indignarci, ma, soprattutto, ricostruire e ristrutturare.
“La scuola combina le aspettative del consumatore, espresse dalle sue asserzioni, con la fede del produttore: espressa dal suo rituale. È la manifestazione liturgica di un “culto del cargo” su scala mondiale, che ricorda i culti che si diffusero in Malanesia negli anni quaranta, i cui seguaci credevano che bastasse mettersi una cravatta nera sul torso nudo perché arrivasse Gesù su un piroscafo a portare a ogni fedele una ghiacciaia, un paio di pantaloni e una macchina da cucire”. (Ivan Illich, Descolarizzare la società – Una società senza scuola è possibile? Milano – Udine, Mimesis, 2010 )
Franchino Falsetti