Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 25/09/2022
Si rientra nella vecchia scuola
Dopo tanto parlare per un’intera estate sostituendo i reali problemi di una scuola da tempo malata, con le più irreali promesse elettorali, finalmente, studenti e docenti hanno varcato il fatidico portone e sono ritornati tra i banchi, da troppo tempo dimenticati. Banchi moderni, con rotelle o senza, con arredi sempre più indecifrabili che sembrano archivi da tribunali e non per una didattica polivalente, strutturata per apprendimenti sempre più multimediali. Non voglio entrare nel merito del ridicolo toccato attraverso l’esperienza della didattica a distanza perché molti più accreditati di me ne hanno parlato criticamente e diffusamente ed è sembrato di leggere ancora, in modo deprimente, alcune pagine del Pinocchio scolaro felice del suo testo unico: l’abbecedario.
Docenti impreparati, studenti impreparati hanno solo riempito il registro delle presenze, ma non hanno capito nulla, non hanno potuto capire nulla perché la didattica a distanza non è una diapositiva su cui dire quello che ci viene in mente. Ma lasciamo questa triste pagina (sempre ricorrente) e ritorniamo a questo nuovo inizio d’anno scolastico, che si è aperto con i soliti problemi di disfunzioni organizzative, di mancanza di docenti, di mascherine tolte, di telefonini tolti (solo in alcune realtà, come a Bologna a partire dall’Istituto Malpighi), di prossimi problemi di riscaldamento, di classi pollaio (il Governatore Bonaccini dell’Emilia Romagna ha risposto: nulla da fare per le classi, in compenso avremo lo sport dalla prima elementare), di supplenti insufficienti (ne mancano 150 mila)
Il solito cachiers de dolèances e nessun riferimento ai programmi che si andranno a svolgere, ad eventuali rapporti con le realtà culturali, museali, musicali, associative, in poche parole, per grandi linee, la presentazione di un nuovo ampio disegno di ristrutturazione dell’Istruzione e dell’Educazione in Italia dopo il buio pandemico.
Dopo due anni di Covid, con generale paralisi e caduta di ogni positiva iniziativa precedente, nessun segno di risveglio, nessuna preoccupazione per portare la nostra, pur gloriosa Scuola nel passato, agli standard europei. Non esiste ancora una programmazione per distinguere l’alfabetizzazione primaria dalle competenze disciplinari e relative autonomie nei campi della espressione scritta ed orale. Nell’ambito della ricerca ( saperla fare ) e nel saper strutturare e finalizzare le conoscenze non attraverso i quadernoni colorati ed arabescati ma da precisi strumenti metodologici che possano costruire una mente aperta, critica, tassonomica e modulare.
Mancano progetti di alta formazione per i docenti e per gli studenti. Una scuola povera, deprivata, dove le famiglie portano persino la carta igienica, non può avere pretese di essere di qualità e di sentirsi al passo delle complesse trasformazioni sociali e culturali.
La nostra scuola continua ad essere la famosa coperta scozzese: abbiamo un ministero della P.I. che dovrebbe elaborare progetti di riforme uguali per tutti gli studenti e docenti d’Italia. Mentre, invece, la Scuola italiana si struttura a seconda della sua localizzazione, delle realtà regionalistiche, della insanabile frattura tra Nord e Sud. Dopo oltre 170 anni dall’Unità d’Italia, nel settore fondamentale come quello del’Istruzione pubblica, siamo a livelli di paesi sottosviluppati od in via di sviluppo ( emergenti ).
Non valgono le eccezioni, le aree definite sperimentali, l’introduzione di insegnanti che considerano la scuola un super market della creatività: tutto si può proporre e tutto si può realizzare. Per svecchiare la scuola italiana entrano gli insegnamenti transgender. Ogni processo di descolarizzazione sociale e valoriale, come : la famiglia, la religione, il sacro rispetto della vita (l’aborto continua ad essere un atto di disumanità come l’eutanasia). Lo Stato non deve regolamentare i tempi , i ritmi dell’esistenza umana ed abolirne degli altri, ma deve provvedere alla prevenzione, alla cura perché l’uomo abbia tutte le condizione per vivere e non per morire.
La morte non bussa due volte. Quando è pronta arriva, inesorabilmente, per tutti. Educare alla buona morte dovrebbe essere il valore non per un nuovo consumismo ma per un nuovo percorso pedagogico, proprio a partire dalla scuola. La scuola italiana, da molti anni, non commemora i defunti, i nostri cari defunti. Io ricordo che i nostri maestri, nella scuola denigrata dai baldanzosi progressisti, dedicavano un’ora circa per parlarci del significato del 2 novembre, dal momento che all’epoca era considerata tra le feste previste dal calendario scolastico.
E’ ovvio che tutto è relativo e che non tutti i maestri era disponibili e capaci di parlare in modo semplice ma coinvolgente di una particolare circostanza e di un particolare giorno dell’anno dedicato al “lutto” familiare, al ricordo delle persone care, al senso della scomparsa definitiva su questa terra. Temi che hanno impegnato persino grandi filosofi e pensatori attraverso i secoli. Uno dei grandi temi dell’umanità che è rimasto e rimarrà irrisolto.
Ma perché non parlarne? Perché affrontare tutto in modo consumistico, per cui il “feto” può essere gettato nei cassonetti senza alcuna debita valutazione umanitaria? La scuola quando qualcuno ripropone le vecchie e logorate bandiere rilancia lo slogan che deve essere libera, ebbene libera di usare i pennarelli sui muri, di manifestare, di scorrazzare nei campi e nei boschi e sentire non la natura ma le musiche dei metallari o smanettare sul telefonino fino a perdere la propria lucidità? La scuola delle emozioni, delle sensazioni, delle allucinazioni, dell’indisciplina, del sesso come liberazione e senso di rivolta, del fenomeno del bullismo, del disimpegno. Una Scuola dove per legge si è tutti promossi, anche quando si è stati premiati come i somari più bravi dell’anno.
Abbiamo i genitori che si contrappongono alla scuola quando si colpisce l’arroganza e la presunzione del proprio figlio. I genitori si sostituiscono ai docenti nella didattica, senza capirne nulla e senza avere titoli per farlo. La scuola non è un optional, è una Comunità dove agiscono ruoli e competenze diverse nel rispetto del benessere e bene della stessa Comunità.
Ma questo nuovo anno scolastico contiene altre perle che vengono sempre sottovalutate dai poteri balneari : il fenomeno preoccupante della dispersione scolastica (in due anni persi 230mila studenti).
” In dieci anni riduzione di oltre un milione. Scendono dall’1,3 all’1% le classi pollaio” ( il Sole 24 Ore, lunedì 12 settembre 2022 ).
Un quadro sconfortante che ci riporta indietro nel tempo e ci ricorda che non è vero che abbiamo raggiunto gli obiettivi di qualificata acculturazione di base per tutti. Come già scritto diventa urgente smettere di puntare sulla quantità, per esempio sul numero dei docenti e pensare invece alla qualità, avere un corpo docente preparatissimo, agguerrito e che , soprattutto, ami la Scuola, gli studenti, la propria professione, la propria missione (parola scomparsa) ma che ritengo indispensabile riproporre e valorizzarla. Ciò che non è emerso dai frammenti di discorso del nostro Presidente della Repubblica, il quale si preoccupa di parlare ad una scuola torinese nel ricordare problematiche come l’accoglienza, gli immigrati che , sono nelle nostre scuole e che rappresentano l’Italia di domani, la solidarietà, la multiculturalità e tante altre “frasi in libertà “, ma nessun programmato discorso agli studenti e docenti italiani.
Un tempo i Presidenti della Repubblica inviavano gli auguri per il nuovo anno scolastico ed era sempre una buona occasione per soffermarsi su alcuni valori inalienabili che riguardano la formazione, la dignità, l’identità, l’appartenenza alla nazione Italia, riscoprendo il valore supremo dell’italianità, di patria e di tutto ciò che la caratterizzano e la determinano.
Mi è difficile pensare ad un’Italia storicamente moderna che assomigli sempre più all’Etiopia mussoliniana.
Vorrei, momentaneamente, chiudere questa mia riflessione con alcuni significativi stralci da un famoso discorso del grande giurista Piero Calamandrei:
” […] La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi”. […] La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti.
Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine”. […]”.
(Piero Calamandrei, stralci dal “Discorso pronunciato al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale ( ADSN ) Roma”, 11 febbraio 1950, in Piero Calamandrei, Per la scuola, Palermo, Sellerio editore Palermo, 2008)
Franchino Falsetti