Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 22/08/2022
Cancel culture
È il nuovo venticello che ha sostituito la calunnia, anche se questa si è, a sua volta, trasformata in fango.
Chi ha paura del passato? La cancellazione della cultura colpisce, soprattutto, il passato, quel mondo che si può conoscere solo attraverso i libri, la letteratura, la scrittura.
Ciò che impressiona di questa internale e devastante mentalità è che alla base di tutto si coglie una particolare avversità verso la scrittura: verso questa straordinaria invenzione che ci ha permesso di avere memoria non solo storica, ma della cronaca quotidiana, relazionale, familiare, di contatto sociale, di immediate comunicazioni esistenziali.
Il cambio generazionale nella Storia ha sempre registrato contestazioni e rivolte verso chi li aveva preceduti e verso il loro operato. Le caste sociali facevano da barriera e il rumore, il tumulto erano le grancasse del popolo, sempre schiavizzato ed emarginato. Il mondo era èlitario e dominava il disprezzo verso una parte dell’umanità altamente deprivata, a partire dall’educazione ed istruzione. Fino all’Unità d’Italia non si frequentavano scuole pubbliche. I fortunati erano i figli delle famiglie nobili, benestanti, di una consolidata tradizione clericale, fino alla nascita di certa borghesia a seguito della prima rivoluzione industriale. La nascita della scuola pubblica nel mondo Occidentale apre uno straordinario Universo in cui si formeranno le nuove generazioni. E scrittori, intellettuali, poeti, artisti avranno modo di contestare, insultare, urlare ogni fatidico slogan, anche tra quelli impensabili come: Chiudiamo le scuole (Giovanni Papini , 1914), Fare del passato una tabula rasa (Eugène Pottier – 1816/1887), dal Mondo di ieri di Stefan Zweig (1942) a Descolarizzare la società di Ivan Illich (1974).
Tutti saggi di estremo interesse e con l’intento di non cancellare ma di trasformare, di adeguare, di rendere più funzionale, non tanto un servizio, come la scuola, ma una istituzione pubblica finalizzata alla educazione e formazione del cittadino novus.
L’intento non è deprezzare ma qualificare, rendere più permeabile il sapere con il fare, la conoscenza con la creatività, la cultura con la progettualità, il costruire, l’inventare, aprire nuove frontiere in settori sensibili come la tecnologia e la scienza.
Cancellare la cultura, non vuol dire solo censurare e bandire, come hanno fatto le università inglesi ed americane, a partire da autori come Shakespeare, Austen, Bronte, Dickens, Agatha Christie, Burroughs, JK Roowling (madre di Henry Potter), Oscar Wilde, Geoffrey Chaucer ed altri, ma vuol dire vietare agli studenti, alle nuove generazioni, di far parte di quel famoso “cenacolo” in cui sedevano i sapienti, i grandi ingegni, gli uomini di Cultura, coloro che rappresentavano le conquiste nei vari campi della conoscenza. Eliminare coloro che hanno conquistato il massimo nell’espressione e nel pensiero umano, vuol dire impoverire le proprie radici, le proprie idee, renderci letteralmente privati di secoli di storia, di migliaia di libri, documenti, preziosi manoscritti, della presenza viva di tutti questi autori scienziati, che uccidiamo per la seconda volta. Ma questa volta cancellandoli per sempre. Come se non fossero mai esistiti.
“I grandi spiriti hanno sempre incontrato l’opposizione violenta delle menti mediocri”. (Albert Einstein)
Il furore del presente e la presunzione di chi vuole imporre il proprio sapere, la propria vanità tentando di riscrivere sintetizzando o limitando o sostituendo ciò che ha rappresentato l’humus della continuità e del progresso del genere umano, è semplicemente pura follia, per non dire un grave attacco criminale alla Storia, alla Storia degli uomini illustri e del loro visioni e ricerche: una pericolosa tendenza deviante, che insieme al politically correct, ne determinano e ne veicolano nuovi concetti, nuovi contenuti per un ritorno a deleteri processi di colonizzazione delle menti e delle coscienze. Una vera disfatta per l’Uomo del Rinascimento e per il futuro dell’Umanità.
Bisogna che anche in Italia, come è avvenuto pochi mesi fa in Francia, presso la Sorbona, si svolgesse una giornata di Convegno contro la Cancel culture, che, purtroppo, non ha avuto il riscontro che meritava e merita, poiché promosso da componenti della destra politica francese. Questo schematismo è l’effetto proprio della cancellazione della cultura, poiché provoca il potere e l’arroganza dell’ignoranza ed un certo assolutismo ideologico che alimenta, inoltre, l’odio, la degenerazione dei costumi, dei comportamenti sociali, fino alla distruzione della persona mediante la calunnia, la menzogna, il considerare il prossimo un potenziale nemico. Pertanto non viviamo più in convivialità e rispetto, ma in permanenti macchinazioni demolitrici della nostra esistenza.
Dovremmo quindi vivere senza più Maestri, senza più libri per pensare, per ridurre al minimo, come profetizzava Orwell, il nostro linguaggio, la nostra lingua che sarà fatta di vocaboli unici e rispondenti solo ad assolvere compiti di ubbidienza. Abolito il dialogo, le divergenze d’opinione, la dialettica delle idee, emerge ad imitazione talebana l’imposizione del pensiero unico, cioè, ciò che resta della cultura infettata. Di tutto quello che finora ho trattato, un esempio assai eloquente è rappresentato dalla babilonia della miserabilità della campagna elettorale di cui viviamo senza vergogna di chi vuole comandarci e la coatta rassegnazione di chi è, malgrado tutto, costretto a votare.
Franchino Falsetti