Non ci sono più modelli di vita da imitare
Articolo di fondo di Franchino Falsetti
Pubblicato il 20/09/2020
Il coronavirus, indubbiamente, ci ha portato non solo il senso tragico della paura e della morte, ma anche il desiderio di capire che siamo arrivati ad una particolare deriva del nostro Essere Vita e la ricerca di cosa e come siamo arrivati a questa situazione, priva di immediate risoluzioni.
Abbiamo assistito ad una girandola di improvvisazioni, di superficialità, inimmaginabile, dei cosiddetti esperti, degli uomini di scienza. Abbiamo toccato con mano la fallibilità della scienza e dei sui sacerdoti. Un virus nell’era tecnologica, capace di devastanti effetti e conseguenze.
Un virus che nel Pianeta ha mostrato di non avere ostacoli e dopo quasi 10 mesi dai primi casi, si è trovato alcun antidoto. Tutto si muove nel vago, nella incertezza, nei continui esperimenti o nelle certezze del piccolo chimico.
E’ una realtà surreale, paradossale nel XXI secolo. Nel secolo dove tutto viene presentato senza nessuna difficoltà: tutto si può fare, tutto si può risolvere, tutto è risolvibile. Il consumo, il vivere giorno per giorno, godere dell’effimero e del virtuale e di ogni banalità che transita sul web e contorni, hanno suggestionato e condizionato l’uomo contemporaneo ed il suo piccolo micro-cosmo.
Questa stessa caratterizzazione di fondo, fa scattare un altro interrogativo: ma come viviamo? Che tipo di modello di vita perseguiamo? A quali ideali ci rivolgiamo? Chi sono i nostri Maestri per navigare nel grande Oceano della contemporaneità, del post coronavirus, dell’homo tencologicus?
A queste legittime domande non ci sono risposte. Perché viviamo l’esclusiva banalità del presente. Abbiamo perso il senso della storia e per questo siamo demotivati. Tutto è già predisposto. Bisogna solo consumare. La parola pensare è in bocca ai politici inattivi per attirare l’attenzione di chi ascolta, ma è un semplice eufemismo per mostrare la propria testa vuota, priva di veri pensieri e di capacità del pensare.
Si parla per imitazione, si vive per le imposizione del mercato, del consumo competitivo, del distruttivo processo di omologazione. Nessun Maestro, tutti alunni replicanti. I Maestri non erano solo la fonte del sapere e del conoscere, ma suggerivano modi vivendi, stili di vita, il possedere l’abito dei valori.
E’ tutto questo creava la moda, il gusto ed il piacere del vivere. Dire Belle Epoque significa un preciso mondo che ha caratterizzato una precisa epoca ed un preciso momento storico. In questo contesto fiorivano le arti, la scienza, la letteratura, la cultura, l’istruzione, la produzione individuale e collettiva.
Fiorivano le invenzioni, le ardite imprese, un certo edonismo del vivere. Ma non fu un fenomeno da baraccone, fu il risveglio dell’intelligenza ed operosità dell’uomo per il suo benessere e per il benessere dell’umanità. E con una guerra “inutile”, come venne definita quella della Prima Guerra Mondiale, questo luminoso Eden, con capitale Parigi, morì.
Con il buio delle dittature e con le democrazie ossigenate e truccate, i maestri sono usciti di scena, gli intellettuali hanno preferito trasformarsi in opinionisti della domenica o baronetti universitari e i “modelli di vita” sono diventati le hamburgherie, le happy hours, i festival come ripetitori di nostalgiche ideologie, con benefici economici ed i patetici ed insignificanti concorsi letterari, utili per il “borsino” dei grandi editori.
Abbiamo la stampa quotidiana ( italiana , in particolare ) che non sveglia più nessuno. I giornalisti sono degli impiegati che si copiano a vicenda ed i titoli, molto spesso, della varie testate sono uguali o si assomigliano. I telegiornali sono il riciclaggio delle informazioni della carta stampata o dei servizi affidati ai giovani della scuola di giornalismo ( che non serve a nulla ).
Essere giornalista o scrittore non è un mestiere, ma una predisposizione naturale, delle nostre capacità innate. Non si insegna ad essere creativi, né tanto meno a scrivere. Nel senso di pensare. Quello che si evidenziava nella scuola di Gentile. Per scrivere bene un Tema, bisogna: conoscere, organizzare, pensare, scrivere.
Questo non lo sanno neppure i docenti che insegnano oggi nelle nostre scuole, dove il tema è una burla e lo scrivere è un atto creativo del talento naturale che tutti noi possediamo!
Con queste “bestialità” abbiamo aperto l’epoca dei somari, degli incapaci, del famoso politically correct, di ogni altra diavoleria buonista, con gli slogan: siamo tutti artisti, letterati e poeti.
Molto diversi da quelli del glorioso ed unico Rinascimento italiano.
Franchino Falsetti