Un articolo di fondo per iniziare il dibattito (se si sa ancora cosa sia)
di Franchino Falsetti
Pubblicato il 12/09/2020
Forse per sopportare meglio lo stato di confusione e di incertezza che stiamo attraversando come vita politica e culturale, in questo paese che si fa fatica a chiamare Italia, la soluzione migliore è quella di mettere per un po’ di tempo un efficace silenziatore ai politici, che solleciterà i giornali ed i mass media in generale, a parlare meglio delle nostre risorse, delle cosiddette soluzioni alternative, della conoscenza del nostro territorio e della dedizione che dovremmo metterci.
Improvvisamente, sono sicuro, cominceremo a vivere meglio. e potremo godere del nostro amato e degradato mondo, scoprendo ed esplorando ciò che, ancora, non conosciamo e potremo difenderlo perché non ci saranno più improvvisati commenti o decaloghi surreali.
Sono altrettanto convinto che ,finalmente, potremo conoscere il senso vero della “boccata d’aria”. Un senso di liberazione, ma un senso di profondo benessere morale e spirituale.
I politici, questi politici, non si sono accorti che noi non abbiamo bisogno di loro. Che per farsi ascoltare bisogna sapere, conoscere, avere esperienze, aver già vissuto quello di cui ci si deve occupare e porre rimedi ed avere capacità per proseguire la risoluzioni dei vastissimi problemi che una società complessa e complicata come quella contemporanea, che può avere solo motivi di continue criticità.
Abbiamo bisogno di ritrovare i luoghi d’incontro in modo spontaneo, non consumistico, non obbligati perché i politici ne hanno fatto angoli di mercato, di investimenti economici, di raduni in cui tutti dicono le stesse cose, vedono le stesse cose, bisbigliano senza formulare pensieri o spunti tematici per una crescita collettiva dei problemi vivendi.
Sono incapaci di progettare. Non conoscono cosa significa programmare. Non hanno cultura e formazione professionale. Sono dei parvenu allo sbaraglio, pronti ad assumere qualunque tipo di responsabilità e pronti ad essere oggetto di polemiche e di “sfiducie” parlamentari. Si diceva un tempo, bonariamente, un’ “armata Brancaleone”. Io dico un’armata di disperati, di improvvisati, di incoscienti. Nulla di tutto questo accadeva fino agli anni ottanta. Il Parlamento italiano non è stato mai un Varietà. Un luogo in cui prevalgano l’ignoranza e l’arroganza.
Ragazzotti a cui abbiamo consegnato la difesa e la cura del nostro benessere, della nostra identità di italiani, del nostro progetto di essere bravi cittadini.
Ma questi sono degli eunuchi. Si divertono su cose innocue ed inutili e procedono per il loro meschino tornaconto. Sono una generazione di giacobini senza storia. Tutto è giocato sullo storytelling, cioè su imbonimenti da cantastorie, ripetizioni automatiche di incomprensibili dichiarazioni e maniacali eccessi della visibilità nelle servili vetrine dei conduttori di reti televisive pubbliche e private.
Qui si realizza l’orgia del presenzialismo e della nullità. Tutti gli italiani hanno ogni sera spettacoli di infima qualità e sono costretti a sentire ogni tipo di gratuita bestialità ed offensivi modi comunicazione. Poiché questi non sanno parlare, non sanno pensare e quindi non sanno comunicare.
Una vetrina indecorosa che squalifica tutti: dai politici ai giornalisti, che hanno smesso di esserlo e sono diventati organizzatori di tribune insulse per ogni stipendiato parlamentare o collega compiacente.
Abbiamo di nuovo il desiderio di camminare, di parlare, di intrattenerci con il nostro vicino, con le persone che si incontrano, di riavere quell’ossigeno sociale e culturale che in questi ultimi quarant’anni ci hanno tolto.
I politici, questi politici non hanno nulla da dire e quello che fanno lo leggono sul giornale di loro preferenza, sui social o si consigliano con la nuova “corte dei mirali”. Non siamo più di fronte alla “casta”, ma ad un maelstrom ( vortice ) di “tonante nullità”.
Non credo di esagerare: gli esempi sono sotto gli occhi di tutti e il gracidare serale o mattutino di questi commis dello Stato ci rendono privi di ogni seria partecipazione. Un dato, per me allarmante, non si parla più italiano. Nella scuola era obbligo impararlo. Oggi si disimpara, si parla secondo le rispettive provenienze territoriali e senza alcuna cultura grammaticale o sintattica. E’ un paese dove si sparla (come fossimo degli analfabeti) con non-curanza. Ascoltiamo persino la santa Messa celebrata , ormai, da sacerdoti privi di “patria” vissuta, che parlano un italiano obsoleto, da borgata, un argot medievale.
Le missioni stanno altrove. Noi non siamo oggetto di evangelizzazione e abbiamo bisogno della nostra Chiesa, quella vera conosciuta e praticata, dove ascoltare una predica significava ascoltare la parola di Dio (cioè i testi sacri di riferimento e con varie argomentazioni di cultura religiosa) e non quella di chi pensa di scambiare la Santa Messa, nella tradizione cristiana, per un momento di ricreazione , di sacerdoti che leggono appunti scopiazzati e di sacerdoti per tutte le stagioni e latitudini.
Gli effetti di una cattiva politica, la distruzione del concetto storico di Partito, ha contaminato ogni manifestazione pubblica e religiosa. Un devastante effetto “alone”.
L’obbedienza diceva Don Milani non è una virtù. Vero nel contesto in cui si maturavano nuovi fermenti di autonomia e di libertà istituzionale e personale. (anni sessanta)
Ma questa libertà non è stata conquistata. Abbiamo solo scimmiottato gli effetti del vento libertario di paesi relativamente giovani, come gli Stati Uniti, che per la loro storia combattuta tra i diritti sociali, il per la loro difficile integrazione razziale, le ambizioni del potere capitalistico e miliare, hanno stravolto i significati di pensieri, di parole, di modi di vivere, di un vero e proprio sistema di vita.
Tutto nell’apparente brezza di urlata libertà e di facili autosuggestioni.
La società come una grande parco dei divertimenti. L’era del’happening senza limiti.
L’obbedienza è una virtù, come lo è la disciplina, come lo sono le regole che dalle tavole di Mosè che governano, da secoli, i mondi delle Civiltà. Abbiamo, di nuovo, bisogno di sentirci presenti, partecipi e continuatori del passato e delle visioni sistemiche della Storia.
Franchino Falsetti