La mostra sulla fotografa ritrovata è a Palazzo Pallavicini
Vivian Maier, in mostra fino al 27 maggio 2018
Pubblicato il 12/03/2018
Non sono d’accordo con chi sostiene che Vivian Maier fosse una anticipatrice di quello che poi sarebbe stata nota come Street Photography; se così fosse, personaggi come Robert Doisneaau (per citarne uno) allora (?) non faceva (anche lui) Street già da molti anni (?). Ciò non toglie assolutamente alcun valore a Vivian Meier e al suo fotografico sguardo curioso tradotto al femminile e alla mostra lei dedicata a Palazzo Pallavicini di Bologna; piuttosto toglie un po’ di retorica ad un certo numero di critici che cavalcano onde semplici.
Quello che da un valore aggiunto agli incantevoli lavori della Maier è, sicuramente, il modo rocambolesco e triste in cui sono stati scoperti i suoi scatti a diversi anni dalla sua scomparsa; una serie di pensieri vanno ad immaginare le improbabili strade (street?) che ha dovuto affrontare questa donna, sola, con i suoi negativi ancora da sviluppare per mancanza del danaro necessario e dimenticati per poi essere ritrovati, dopo anni, da uno sconosciuto, chiusi in un baule messo all’asta a causa di un esproprio dovuto alla morosità nel pagamento dell’affitto.
Già; una delle cose che incanta davanti a ciascuna fotografia che più vi piace della Maier è la consapevolezza che quell’immagine è scaturita da una donna che non ha frequentato alcun (costoso) corso di fotografia, anzi, ha patito una vita di privazioni e che per vivere si manteneva come amorevole baby sitter prima della sua scomparsa. Ecco quindi l’ennesima figura umana che ha regalato splendide immagini che, da sole, raccontano un’epoca ed erano eseguite per puro hobby in una atmosfera lontanissima dall’autocelebrante mondo dell’arte e del marketing fotografico (che già a quei tempi iniziava a mietere le prime vittime). Una donna comune che impiegava il suo tempo libero a raccontare, con una macchina fotografica, il mondo che vedeva. Punto. E il suo mondo poteva aveva una distanza di poche decine di chilometri. Notevole insegnamento per i viaggiatori perenni.
Gli uomini e le donne ritratti dalla Maier sono in perfetto equilibrio con le inquadrature raramente spigolose come quelle a cui siamo abituati a seguito del taglio fotografico maschile e sono spesso materne nel suo sguardo; di fronte ad alcune di esse mi fermo a pensare che tutto quello che è in mostra in queste sale di Palazzo Pallavicini non è, ai nostri giorni, più eseguibile a causa di tutte le ipocrite leggi sulla privacy, impedendoci, di fatto, di scoprire una nuova Vivian Maier ma soprattutto di documentare l’Italia nel modo in cui è nella sua contemporaneità. Ormai da 20 anni mancano fotografie che raccontino la vita comune dei nostri concittadini così come potevano fare Berengo Gardin, Scianna e tantissimi altri che lavoravano in una diversa forma di libertà espressiva. Avete idea di quante foto NON si scattano oggi, per esempio, ad allegri bambini che giocano a causa della paura di essere convocati da un avvocato ? Andatelo a dire a Doisneau (che secondo me ci manderebbe a fanculo in francese). Avete idea di quanti libri fotografici abbiamo letto e consultato per capire i risvolti della storia o più semplicemente per immaginare le giornate della Dolce Vita (per esempio) o per ricordare le icone di uno specifico periodo immortalate in una potente fotografia? Bene, oggi quali riferimenti abbiamo ricordarci i nostri tempi recenti (?), forse le foto dell’Isola dei Famosi (?) o quelle in posa dei VIP colti di sorpresa (?).
Arrivato all’ultima sala dedicata alle foto di Vivian Maier, quella che racconta le sue foto a colori degli anni ’70, mi fermo sull’immagine in cui è inquadrata una serie di pennellate sull’asfalto con un’auto che passa quasi sopra… sembra una foto uscita dal rullino di Ernset Haas e subito mi chiedo: e le altre? Le altre hanno una assonanza con la contemporaneità delle foto che si eseguivano in quei tempi tanto condannati dai detrattori dell’immaginazione al potere. Immediatamente ripenso alle fotografie viste di recente nelle sale precedenti; in quei bianchi e neri c’era il taglio e lo sguardo degli ultimi anni ’50 e degli anni ’60, nulla era fuori posto, tutte le foto erano immerse nell’estetica fotografica nota in quegli anni e una domanda in più mi è sorta: se tutto quello che ho visto è stato eseguito da una semplice signorina lontanissima dal business fotografico e difficilmente influenzata dai volumi fotografici di fotografi famosi, come poteva avere la Meier, uno sguardo così contemporaneo? Da buon sognatore mi sono risposto che era sicuramente l’aria di quei tempi possibili ad influenzare la vita di ogni buon raccontatore, anche il più distaccato.
Vivian Maier. La fotografa ritrovata. A cura di Anne Morin. Palazzo Pallavicini dal 3 marzo al 27 maggio. Aperto, dal giovedì alla domenica, dalle 11:00 alle 20:00. Vedi il link per ulteriori informazioni.
Parole e fotografie di Roberto Cerè per Millecolline
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