A metà settembre scorso, come se fosse un’ultima fiammata delle corbellerie estive 2016, si legge sul quotidiano “La Repubblica” del martedì 13, una lunga requisitoria, anche molto piccata, della nota giornalista radical chic, curatrice da molti anni della rubrica “ Questioni di cuore”, sul rotocalco “Il Venerdì”, edito dallo stesso quotidiano. L’oggetto del contendere è di aver pubblicamente confessato non un vuoto di memoria, ma una assenza, imperdonabile, di un importante protagonista della nostra storia della letteratura e della poesia.
Essa, infatti, ha scritto, candidamente, sul web, che lei non ricorda versi di Ugo Foscolo, né di aver mai letto la poesia A Zacinto.
Se si volesse sintonizzarci sul modo di pensare e di parlare oggi, si potrebbe risponde: Che se ne frega !!!
Ma la questione è sfuggita a moltissimi oppure è stata, volutamente, ignorata. La cosiddetta opinione pubblica non ha colto questa questione che può sembrare, ed in parte lo è, vera lana caprina. C’è, innanzitutto una certa vanità ed una certa questa smania di sentirsi sempre al centro di un’attenzione mediatica o degli anonimi e stravolgenti social network.
Un tempo si diceva che tutto fa pubblicità. Non è utile esaminare il suo “lamento”, ma certo può essere significativo, senza aggiungere alcun commento, quanto essa stessa scrive:
“Se non sei seguace di Foscolo o di chiunque altro sia amato da altri, vuol dire che la tua ignoranza è totale, che non ami nulla che conti, la musica, l’arte, la letteratura e la poesia, neppure la Nobel Szymborska”.
Questo per dimostrare che se non ha letto Foscolo, ha letto l’ultimo premio Nobel. Ma questa volubile scelta non giustifica il fatto che Foscolo non e il “basettone” di memoria gaddiana, né va relegato come se fosse una lettura anacronistica e, quindi, fuori dal tempo.
Quello che mi viene in mente è che ci sono due considerazioni da fare.
La prima: quali scuole ha frequentato la signora Aspesi. La sua generazione ha dovuto imparare a memoria, dalla scuola elementare alla scuola superiore, oltre cento poesie a memoria (comprese quelle di Foscolo, in particolare: “A Zacinto” e “Alla Sera” ); seconda considerazione è che la cultura del ’68 e post ’68 ha colonizzato le menti e la formazione dei docenti di ogni ordine e grado. E, quindi, si è gettato alle ortiche il cosiddetto nozionismo, l’apprendimento a memoria e la conoscenza fondamentale dei principali scrittori, poeti e letterati che hanno fatto la storia della letteratura italiana e di cui non dobbiamo sentirci non orgogliosi, ma estranei. Un conto è conoscere, un conto è trovare piacere a leggere ciò che si conosce. E’ opportuno non inserire l’ideologia come misura di difesa o di censura della cultura di una Nazione.
Dagli anni settanta, da Contini ad Eco od Asor Rosa, si sono demoliti i pilastri della poesia italiana post unitaria ( come Carducci e Pascoli ); scrittori come De Amicis, esponente laico e cultore dei sentimenti patriottici e del progresso culturale e sociale delle nuove generazioni.
Sono stati presentati ( questa è una esemplificazione ), come protagonisti di “dolciastre prediche” e di retorica insopportabile da vecchi “tromboni”.
La scuola nei nostri tempi ha snobbato i programmi ministeriali, sostituendoli, in massima parte, con le letture alternative, che parlano di attualità legate alle problematiche sociali e giovanili.
Questo è importante, ma la formazione culturale di fondo è quella che ci permette di saper scegliere, non ignorare e fare della propria ignoranza un vezzo, quasi anticonformistico.
Ha , forse, ancora ragione Longanesi, quando scriveva che:
“Tutto quello che non so, l’ho imparato a scuola “.
Franchino Falsetti
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