La letterina di Natale

La mia “letterina”.

Siamo alla vigilia di un giorno e di un periodo più ricco di simboli di fede religiosa e civile dell’anno: di ogni anno fino al 2015 d. C.

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Quest’anno questa “favola” del Natale è però messa in discussione da molti “ben e mal pensanti”. Questa ricorrenza, così singolare ed avvolta di mistero e di speranza, sembra non appartenerci più. E’ stata, progressivamente, sostituita dalle “luminarie” dei centri commerciali e dall’insensata corsa agli acquisti senza alcuna precisa finalità. Il Natale a perdere. Una festa come un’altra. Nulla ci fa pensare che siamo arrivati a questo giorno, a questo “magico” periodo, dove i sogni possono diventare realtà e dove i bambini, possono ritrovare in un atto di semplice bontà, un momento di sentita partecipazione, come quello di allestire il Presepio e cantare qualche canto di festosità natalizia. Un tempo questo gesto di coralità degli affetti familiari e del senso di identità e di appartenenza a determinate tradizioni, nel nome del Bambino Gesù, era rappresentato dalla coinvolgente emozione nello scrivere la famosa “letterina di Natale”. La ricordate?

Poiché ogni ritualità ha bisogno della sua atmosfera, io cercherò , per riprendere un il filo invisibile della Storia, quella non dei duemila anni trascorsi, ma quella dimenticata, oltraggiata di questo ultimo mezzo secolo, di rievocare la calda atmosfera delle Strenne natalizie. Metterò sotto l’albero, vicino al Presepe, un piccolo “sacco” pieni di libri per ogni età, che parlino di arte, quella da conoscere e quella con cui tentare di vedere il mondo come un caleidoscopio, più vicino alla riscoperta delle cose semplici con cui invitare tutti a giocare e sentirsi per un giorno nel “Regno delle beatitudini”.  

E, forse, avrà di nuovo senso cantare tutti insieme:

“Tu scendi dalle stelle

o Re del Cielo,

e vieni in una grotta,

al freddo al gelo…”.

 

Buon Natale 2015 e Felice Anno Nuovo 2016

 

                                                                       Franchino Falsetti

 

Diritti Riservati

BRUEGHEL A BOLOGNA

I capolavori ci guardano e ci parlano ……..

 

In un particolare tempo della nostra storia contemporanea, dove tutto viene giocato per far dimenticare e per cancellare ogni traccia della continuità dell’esistenza e della coscienza della vita, c’è chi si adopera perché tutto questo non accada e sia sempre viva la fiammella dei ricordi, degli affetti e delle memorie. Forse questo è compito antico dell’Arte, con l’A maiuscola. L’Arte è nata per comunicare non solo immagini, ma contenuti allusivi, simbologie, stati d’animo, emozioni, bellezza, segni visibili ed invisibili della realtà.

Una piccola “enciclopedia” di conoscenza, di storia, di memoria, un modo per fermare il “tempo”, per rivisitarlo, per sentirsi ancora partecipe o ricercatore di ciò che non è più presente nelle nostre attuali abitudini .

Ogni creatività si traduceva in immagini indimenticabili, in momenti di pura rappresentazione ed esaltazione del tempo vitae.

Il quadro narrante, il quadro che ci guarda perché ci invita al banchetto del dialogo, mettendo a confronto, anche con ironia e senso satirico, le nostre piccole quotidianità , i nostri piccoli incontri, il nostro modo di agire, seguendo un invisibile filo conduttore dal Rinascimento ad oggi.

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Tutto questo lo si può cogliere, con grandi emozioni,  visitando la straordinaria Mostra : “Brueghel. Capolavori dell’arte fiamminga”.

Dal 2 ottobre a Bologna è visitabile un’originale appuntamento con l’Arte universale ed immortale. I visitatori bolognesi  e non, ripercorrendo le Sale del Palazzo Albergati, Via Saragozza, 28, potranno ammirare degli autentici capolavori, opere magistrali della famiglia Brueghel e di altri illustri esponenti dell’arte fiamminga. Una significativa mostra che ripercorre 150 anni di storia pittorica e familiare delle Fiandre del XVI e XVII secolo.

Il corpus fondamentale è rappresentato dalle opere di Pieter Brueghel il Vecchio ( 1525-30 / 1569 ). “Erede dello spirito di Gerolamo Bosch, più ancora ne amplifica la tendenza novatrice. Attraverso la sua vasta produzione, variatissima e tutta disseminata di idee e di vive tonalità, il Brueghel è senza dubbio il prototipo dell’artista di quel Rinascimento fiammingo dalla visione ampiamente universale e sinteticamente unitaria al tempo stesso <…> Spirito di tutto curioso, egli attinge ai fatti del vivere quotidiano, illustra gli innumeri proverbi, bagagliaio intellettuale della gente di campagna; e nondimeno, più che a ritrar codeste scene truculente, egli mira a penetrare il complesso umano”. ( J. Lavalleye, 1939 )

 

“ I paesaggi cosmici rappresentano i vari periodi dell’anno nelle loro incidenze caratteristiche sulla vita dell’uomo e della natura e suscitano, al tempo stesso, un’impressione in armonia con l’essenza propria di ciascuna stagione: esiste una totale unità di forme, di colori e cose, in questi paesaggi. Ed è così che Brueghel raggiunge una completa, intensa percezione della natura e della sua vita […]”. ( J. Bialostocki, 1956 )

“ L’interpretazione di Brueghel, uomo e artista, presenta, dai suoi tempi a oggi, uno spettacolo stupefacente.  L’uomo è stato concepito quale contadino e cittadino, cattolico ortodosso e libertino, umanista, temperamento faceto e insieme filosofo pessimista; l’artista è apparso seguace di Bosch e continuatore della tradizione fiamminga, ultimo dei primitivi e manierista in connessione con l’arte italiana, illustratore, pittore di genere e paesaggista, realista e pittore che trasforma consciamente la realtà per adattarla al proprio ideale: se si elencano, appunto, alcuni dei giudizi espressi dai vari osservatori nel corso di quattrocento anni. […]”. ( F. Grossmann, 1955 )

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Ho preferito trascrivere alcuni significativi giudizi di illustri critici d’arte, per non “inventare” nulla. In queste poche righe è stata condensata la ricca personalità di Brueghel il Vecchio, che ha segnato non solo l’arte fiamminga , ma l’intero mondo dell’arte europeo ed occidentale.

Una nota importante che vorrei sottolineare : Brueghel nelle sue opere non dipinge un mondo irreale, un mondo come dovrebbe essere, ma un mondo così com’è. E’ il primo artista che anticipa, di gran lunga, l’avvento della “macchina fotografica”. Ama riprodurre la verità. La realtà senza pregiudizi o giudizi.

L’occhio dell’artista come  osservatore e non commentatore.

Una vera “rivoluzione”!

 

Un applauso ai curatori Sergio Gaddi  e Andrea Wandscheider ed  alla lodevole Arthemisia Group che ha prodotto ed organizzato l’evento con il patrocinio del Comune di Bologna.

La mostra si arricchisce di un prezioso catalogo e resterà visitabile fino al 28 febbraio 2016.

 

Franchino Falsetti

Diritti Riservati

PILLOLE CORSARE N.3 DOVE ANDIAMO A BALLARE QUESTA SERA?

E… continuano a chiamarla “arte”..                                  [n.3]

E’ da oltre cento anni che in Italia, più di qualunque altro Paese europeo od occidentale, si dibatte sull’avvenire dell’arte moderna e contemporanea. I critici ”consumistici”, in particolare, si rendono disponibili per analisi illimitate per dimostrare che, comunque, tutto è arte; mentre quelli “apocalittici” inveiscono che, da molto tempo, ciò che viene dichiarata arte non è altro che “spazzatura”.

Con molto riguardo, Luigi Bartolini, affermava che “lo spirito dell’arte è morto ovunque. E’ rimasto vivo soltanto dentro al Museo”. A seguito delle rivoluzioni culturali dell’arte, a partire, in modo particolare, dagli anni ’50 ad oggi, ci siamo trovati sempre più di fronte ad esperienze, davvero, sorprendenti da creare molti capogiri e disaffezioni verso una “certa arte” di un certo periodo storico ( quello contemporaneo ) e di un certo comportamento artistico.

Forse non è stato messo in evidenza un aspetto: l’artista nel passato era un protagonista che voleva comunicare ed interpretare un tempo della propria epoca e questo era motivo di grandi coinvolgimento non solo negli ambienti di corte od elitari; oggi l’artista è un protagonista che considera l’arte come un oggetto narcisistico, non comunicabile, non coinvolgente. Assistiamo al fenomeno della solitudine, alla incomunicabilità dell’artista, che attende dal “mercato” la gratificazione, il riconoscimento. Tutto in un circuito magico, dove il grande pubblico non è coinvolto e, quindi, non è educato alla comprensione dei nuovi contenuti e modalità dell’arte contemporanea.

Può esser questa vera arte? Un’arte senza pubblico, senza motivazioni, molto spesso, un puro divertimento dell’artista.

Al Museion di Bolzano ( 25 ottobre 2015 ), una installazione (vedi foto) di bottiglie e bicchieri, è stata scambiata per spazzatura e le donne delle pulizie la buttano  nella “differenziata”. L’opera d’arte aveva come titolo: “ Dove andiamo a ballare questa sera ?”

Dove andiamo a ballare questa sera

Questo non è un episodio isolato: dalle provocazioni di Duchamps alla “merda d’artista” di Manzoni ed altre di inequivocabile dissacrazione di oggi ( es. Cattelan ), rischiano di non essere comprese per una, ormai, consolidata creatività egocentrica dell’artista, nel sentirsi esclusivo, unico, “onnipotente”.

Senza cultura, senza educazione non può esserci conoscenza dell’arte e dei saperi, in continua trasformazione.

L’arte va spiegata, ma l’artista non è alchimista od un illusionista.

Ed ancora gli artisti non devono essere una “categoria” separata. Esclusiva rispetto alla Società in cui vivono. Ne sono espressione e ne divengono, solo così, dei veri protagonisti.

Il grande Mino Maccari, a proposito di queste forme narcisistiche dell’arte, in una memorabile battuta, disse : “Non comprate quadri astratti. Fateveli da soli”.

 

Franchino Falsetti

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Pillole corsare n.2. Puer natus est

Puer natus est ….. ed i Magi venuti dall’Oriente……..                            [n.2]

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Ancora su questa polemica, anche se, si può forse dire meglio, ancora su episodi che non chiariscono la comprensione tra le culture diverse che vivono nel nostro paese, ma evidenziano, soprattutto, una profonda crisi del nostro essere cristiani. Non voglio riportare le nobili pagine scritte dal filosofo inglese Bertrand Russell e dal filosofo italiano Benedetto Croce. Volevo solo ricordarli perché quelle pagine le abbiamo dimenticate, oppure queste ultime generazioni non le hanno proprio lette. Due laici a confronto per sostenere la tesi dell’ essere cristiani o di non esserlo, ma senza dimenticare la profondità dei contenuti, tutti svolti senza alcun risentimento, senso di frustrazione, voler a tutti i costi negare la dignità ed il rispetto dell’altro, del diverso “modo” di pregare o di considerare la nostra esistenza non un “marchio” di gradimento o di tacita accettazione, ma come soggetti pronti al riconoscimento di quel valore umano che è la  considerazione reciproca e non la sudditanza o l’abdicazione. Ciò che ci sorprende è la mancanza di conoscenza storica del cristianesimo, che Croce definiva: ”la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta”.  Le giustificazioni del Preside Parma dell’Istituto comprensivo di Rozzano e quelle del vescovo Cipolla di Padova , mostrano non una dialettica delle relazioni tra un credo laico ed uno religioso, ma insulse precauzioni ed ipocrisie che offendono, innanzitutto, la conoscenza, prima ancora dei legittimi sentimenti di appartenenza a modelli culturali, non dettati dal mercato  dell’industria del consumo o da facili e pietose demagogie nel “rispetto delle altre culture”. Come può un illustre esponente della Chiesa Cattolica affermare che :” farebbe passi indietro per mantenerci nella pace, nell’amicizia e nella fraternità”. Poi seguono sempre le solite smentite o rettifiche. Ma il problema rimane. Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile.  Gli attacchi ai simboli-valori della Cristianità : il presepe ( che significa Natale, nascita di Gesù Redentore), i canti religiosi natalizi, il crocifisso, mettono in preoccupante evidenza che ai quei valori non ci si crede più. Ciò che sta accadendo in diverse parti d’Italia è la cronaca di ciò che abbiamo perduto. L’Islam non c’entra.

 

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Franchino Falsetti

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Pillole corsare n. 1 tanto per cominciare

Tanto per cominciare…..                                                                               [n.1]

Il nostro Natale
Il nostro Natale

 

Ciò che sorprende nell’era dell’iper informazione, è il constatare che siamo sempre più esposti al fenomeno della dimenticanza o meglio della perdita di memoria, quella, per es. degli avvenimenti storici ed epocali. Mi riferisco ai recenti gravi episodi di terrorismo, alle distruzioni delle testimonianze delle culture di antiche civiltà, ai problemi di convivenza pacifica o detta (impropriamente) d’integrazione, agli atti di ignoranza individuali e collettivi circa la disponibilità degli improvvisati ben pensanti a cancellare le secolari tradizioni del nostro senso di appartenenza civile e religiosa. Nulla, oggi, ci meraviglia! Ci stiamo abituando a tutto. Una volta si diceva che gli “scandali” erano necessari, perché costituivano motivi di ripensamento, di riscossa , di condanna di certi pubblici  mal costumi. Emblematico può essere l’ennesimo episodio di “inciviltà”alla rovescia. A Casazza, comune del bergamasco, il dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale, ha chiesto che non venga eseguito “Adeste Fideles” dalla banda parrocchiale, durante il concerto natalizio, programmato per il 19 dicembre, “perché troppo legato alla religione cristiana e potrebbe offendere i bambini di altre fedi” ( 20 novembre 2015 ).  Il concerto, si legge sempre nella nota redazionale della stampa locale, che, tra l’altro, viene ogni anno svolto per l’Istituto comprensivo, con la partecipazione del coro dei bambini della scuola. A seguito di questo ennesimo episodio di “inciviltà”, parzialmente rettificato, il giorno dopo, dalla Direttrice, ma nella sostanza, emerge sempre, la cultura del “piagnisteo”, che nega le proprie identità e quelle del nostro paese, nel voler, per eccesso di buonismo, ma, meglio, per abiurare ciò che cementa l’identità di un popolo: la cultura storica e le tradizioni. Dal negare il Presepe al vietare i canti  religiosi della fede cristiana, costituisce un vero attacco alle nostre tradizioni e cultura. Ma tutto questo non accade per richiesta delle altre culture presenti e coinvolte, ma da noi stessi, che pensiamo di interpretare principi di convivenza egualitaria, senza alcuna seria motivazione, se non quella di poter gestire, con personali piaggerie, l’inesistente nuovo mondo “multiculturale”.

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Angelo con albero di Natale

 

Franchino Falsetti

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LE OPERE D’ARTE SONO INALIENABILI?

LEGGERE L’ARTE SENZA CONFINI. Istruzioni per l’uso: perché nulla si disperda!

Le opere d’arte sono inalienabili?  Possono essere considerate oggetto di merce, di vendita, di guadagno ?

Mi sono fatto queste domande dopo aver letto alcuni episodi di cronaca giornalistica che hanno caratterizzato la solita fiamma della curiosità che, rapidamente, si spegne nel giro di ventiquattro ore. Intendo riferirmi al questione della “mobilità” delle opere d’arte ed a quella della inalienabilità ( non vendita ) di capolavori che appartengono alla storia delle Gallerie o Musei che li detengono. Queste notizie sono state oggetto di qualche presa di posizione e qualche polemica che hanno, momentaneamente, richiamato ed evidenziato un problema che non può essere risolto per slogans o per riduttive opportunità.

Klimt - Giuditta II Salomé
Klimt – Giuditta II Salomé

L’ultimo “fuocherello” ha visto come protagonista il Sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, che agli inizi del mese di ottobre u.s. avrebbe espresso il desiderio , per far quadrare i conti della sua amministrazione pubblica, di vendere due opere conservate nei Musei civici della città: un Klimt ( “Giuditta” – stima 200 milioni di euro ) e uno Chagall (“ Il Rabbino” – stima 80 milioni di euro ).

Chagall - Il Rabbino
Chagall – Il Rabbino

La motivazione sarebbe che queste opere sono estranee ed “inutili” al tessuto culturale della città. Il ministro dei Beni Culturali Franceschini ha risposto di no. Il critico d’arte Sgarbi, in una intervista rilasciata all’Adnkronos, ha voluto esprimere, invece, un parere favorevole, dicendo tra l’altro che: – “ Nessuno va a Venezia per vedere Klimt. Brugnaro ha fatto benissimo, la sua idea è davvero interessante e molto logica”.

Non voglio andare oltre, anche perché dopo un giorno di “scintille”, nessuno ha più ripreso l’argomento, né ci sono state altre considerazioni o prese di posizione. Questo tema, comunque, è presente, come quello della “inamovibilità” delle opere d’arte. Cioè non si vogliono spostare i capolavori dell’arte collocati nelle varie Pinacoteche o Gallerie o Musei per essere esposti in prestigiosi eventi artistici e culturali di risonanza nazionale o internazionale. Può essere curioso riportare alcuni brevi estratti da un lungo articolo, che apparve, sul n.10 del 1909 della diffusissima rivista italiana “Touring”.

“Contro l’emigrazione delle opere d’Arte”. Con questo titolo, l’autore Italo Bernardi, partendo  da una  positiva valutazione sull’ ”Industria dei forestieri”, che […] chiama fra noi gli stranieri a spendere per ammirare le bellezze italiane”, […] “ sono principalmente i nostri tesori artistici che suscitano il desiderio di visitare la penisola dando, con le bellezze naturali, al turismo un contenuto altamente educatore. Noi quindi dobbiamo sentire il dovere di non lasciare disperdere questo nostro glorioso patrimonio artistico”. L’articolo, molto documentato, affronta una serie di considerazioni e valutazioni sui maggiori capolavori dell’arte italiana, sottolineando che questo patrimonio non è solo da considerare come richiamo  culturale al necessario “movimento” turistico per far amare e far conoscere i luoghi in cui queste opere sono conservate, ma per rendere queste immortali opere ( parliamo delle grandi e significative opere che hanno distinto le varie scuole dell’arte italiana ), come occasione per riconoscere nell’arte una particolare funzione educativa, che può facilitare e risvegliare una latente coscienza formativa, che può passare anche attraverso il contatto diretto, quasi fisico, con le bellezze artistiche. Questo riferimento che, indubbiamente, va contestualizzato nel periodo storico in cui veniva scritto e in  cui erano ancora molto sentiti

I richiami ad una concezione, quasi risorgimentale, del sapere e di un certo modo di identificare l’arte con la patria, l’ho trovato ancora di viva attualità. Oggi non prevalgono più sensi di “amor di Patria” od una certa difesa dei valori e della valorizzazione delle culture locali, ma prevale il moloch mercato, che agisce come “pensiero” e non come “strumento”.

L’arte non può essere oggetto di merce, anche se la panacea per risolvere tutti i mali che ci affliggono nella frenesia del vivere contemporaneo, sia lo slogan che bisogna investire economicamente e monetizzare qualunque cosa ci circonda ( compreso la creatività, l’educazione, la formazione, i luoghi di aggregazione e di partecipazione ).

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Madonna del Rosario
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I bronzi di Riace

E’ un problema aperto. E’ certo che l’Italia, paese dei mille campanili , non deve essere relegata nel superficiale e riduttivo giudizio di realtà provinciale, ma pensare questi “mille campanili” come realtà dinamica, come risorsa culturale, inamovibile per la sua ricchezza valoriale e progettuale.

Cerchiamo di evitare che la “infetta” cultura della globalizzazione, non renda l’arte, espressione per eccellenza di libertà di pensiero, alla stregua di un “BOT” o ad un pacchetto “azionario”, rendendo la “Bellezza” delle opere d’arte, inequivocabile identità nazionale, un algoritmo variabile dell’economia contabile che determina l’amministrazione e l’organizzazione dei grandi o piccoli eventi, ormai, incontrollabili, che coinvolgono la politica dell’arte in Italia.

Non trasformiamo l’arte in un immenso cartello pubblicitario dove l’antico ed il moderno non si rapportano per i valori ed i contesti che esprimono, ma per le obbligate scelte suggerite dalle locali convenienze economiche e dagli investimenti richiesti dal mercato internazionale.

 

Franchino Falsetti

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