In mostra a Bologna
Mirò, a cura di Franchino Falsetti
Pubblicato il 02/07/2017
Miró! Sogno e colore,
130 opere esposte
Palazzo Albergati – Via Saragozza, 28 – Bologna
Con in patrocinio del Comune di Bologna, “Mirò! Sogno e colore”, è prodotta ed organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con la Fondazione Pilar e Joan Mirò di Maiorca e curata da Pilar Baos Rodriguez e Francisco Copado Carralero
( 11 aprile – 17 settembre 2017 )
Le 130 opere esposte raccontano la storia artistica di Mirò che si intreccia con quella dell’isola di Maiorca dove l’artista visse dal 1956 fino alla morte nel 1983 e dove realizzò il suo grande desiderio di creare un ampio spazio tutto per sé, protetto dal silenzio e dalla pace.
Da dopo la sua morte, proprio a Maiorca, la Fondazione Pilar i Joan Miro – da dove provengono tutte le opere in mostra – custodisce una collezione donata dall’artista e da sua moglie che conta 5.000 pezzi e che conserva pennelli, tavolozze e attrezzi del mestiere rimasti come lui li aveva lasciati. Lo studio è ricostruito scenograficamente negli spazi dedicati alla Mostra.
“ Le forme germogliano
e mutano.
Si interscambiano
e così creano la realtà
di un universo di segni
e di simboli nel quale le figure
migrano da un regno all’altro,
sfiorano con i piedi le radici, anzi
sono esse stesse radici e si dissolvono
nella chioma delle costellazioni”.
Joan Mirò
E’ uno dei “cartelli” guida presenti nella Mostra, che riprende uno stralcio importante della “Dichiarazione” scritta da Mirò nel 1957e che io ho completato, per meglio capirne il significato.
In poche parole Mirò sintetizza la sua “poetica”, il suo universo artistico, il suo vedere la realtà.
Le 130 opere sono state ben selezionate e ci presentano Un Mirò “giardiniere”, un’artista del fare, del combinare, dell’utilizzare ogni risorsa materica e tecniche le più disparate. Tra i diversissimi olii, troviamo disegni, litografie, fotografie, incisioni, ceramiche e terracotte.
Mirò venne definito da Breton “il più surrealista dei surrealisti”, ma l’arte di Mirò rimane un “unicum non inquadrabile in una corrente artistica definita. Spregiatore dell’arte tradizionale rappresentativa, Mirò operò per decostuire gli archetipi che costituivano il suo universo mentale, arrivando al segno primitivista ed al colore simbolico. Le sue tinte sono sempre primarie e pure: giallo, rosso, nero, bianco, blu e rosso; la linea di forme essenziali, riproposte ed indagate su una varietà di differenti supporti come tele, cartoni, masonite, pezzi di ferro ripresi in collage, sculture, monumenti, litografie, ceramiche, scenografie, arazzi”.
Le sue esperienze artistiche si richiamano fondamentalmente al Dadaismo, il Surrealismo e l’Espressionismo.
Nel guardare le sue opere ,soprattutto, di questo ultimo periodo, Mirò mostra il suo personale disprezzo per la pittura convenzionale e il desiderio di “ucciderla”, “assassinarla” o “stuprarla” per giungere a nuovi mezzi di espressione e di creatività e di fantasia.
N.B.
A 8 anni già disegna, catturato dalle potenzialità espressive delle linee. A 18 anni, dopo aver sperimentato il lavoro di contabile in una drogheria per mantenersi agli studi di economia ed aver subito i disagi di un problematico esaurimento nervoso, decide di dedicarsi completamente all’arte. All’inizio degli anni ’20 si stabilisce a Parigi e lì viene a contatto con gli esponenti dell’arte contemporanea dell’epoca. Conosce Picasso e frequenta il circolo di Tristan Tzara. Le sollecitazioni vengono filtrate dalla sua abilità. Sulla tela inizia a delinearsi quello che sarà il suo inconfondibile tratto, incisivo, coinvolgente e travolgente. Il linguaggio artistico che utilizza viene presto classificato come surrealista.
Nel 1954 vince la Biennale di Venezia. Mirò si affida alla pittura surrealista per descrivere la natura selvaggia dei luoghi a lui più cari.
“Capire Miró vuol dire entrare nel suo mondo, rintracciarne le origini e le radici, il legame con la terra e con i colori del Mediterraneo, la profonda ammirazione per l’arte popolare e primitiva.
Nel suo studio, tra i tanti oggetti di ogni tipo che accumulava incessantemente, tra i suoi “lavori in corso”, sperimenta nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi strumenti, in un processo creativo che parte da una scintilla e attraverso il gesto, il tratto, la forza del colore, il contatto diretto con i materiali, la semplicità arriva a costruire un vocabolario di segni assolutamente personale”.
Acclamato come il “più surrealista dei pittori”, Mirò rispose:
“Non credo d’esserlo realmente stato. La mia pittura, anche in apparenza la più astratta, nasce dalla realtà concreta. Inoltre la mia tendenza alla stravaganza non ha nulla in comune con la seriosità quasi religiosa dei surrealisti. Ho avvertito una maggiore affinità con i dadaisti. La loro fantasia, il loro ricorrere a materiali insoliti, la loro irriverenza nei confronti della pittura e della scultura erano più vicini al mio temperamento”.
Mirò “critico” di sé stesso, così ci parla del suo lavoro (1959):
“[…] Lavoro a lungo, talvolta anni, a uno stesso quadro.
Ma in tutto questo tempo vi sono periodi, talvolta molto lunghi, in cui non me ne occupo.
L’importante, per me, è che si senta il punto di partenza. L’emozione che l’ha determinato. […]
Considero il mio atelier come un orto. Laggiù ci sono dei carciofi. Qui delle patate. Bisogna tagliare le foglie affinché crescano i frutti. Venuta l’ora, bisogna potare.
Lavoro come un giardiniere o come un vignaiolo. Le cose maturano lentamente. Il mio vocabolario di forme, ad esempio, non l’ho scoperto in un sol colpo. Si è formato quasi mio malgrado.
Le cose seguono il loro corso naturale. Crescono, maturano. Bisogna fare innesti. Bisogna irrigare, come si fa con l’insalata. Maturano nel mio spirito. Perciò lavoro sempre a moltissime cose insieme. E’ anche in generi diversi: pittura,incisione,litografia,scultura,ceramica. […]”.
“Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”. Vincent van Gogh ( uno tra i pittori che fortemente “impressionò” la cultura pittorica di Mirò )
Franchino Falsetti
Produzioni Millecolline
Tutti i diritti riservati