Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 03/11/2024
La vanità del potere oggi cambia per cambiare
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”. Così parlava Tancredi Falconeri ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, rivolgendosi allo zio Principe di Salina.
Da qui la nascita del vocabolo “gattopardismo” che vuole dire che i privilegi e le ricchezze rimangono dove sono: nelle mani dei governanti, dei potenti ed oggi nelle invisibili presenze delle multinazionali innominabili e vere dominatrici del futuro dell’Umanità.
La velocità, la fluidità, la complessità ed il disordine dei sistemi sociali e politici, hanno prodotto effetti imprevedibili e, comunque, trasformazioni non solo di modelli vivendi, ma di visioni della vita in senso antropologico.
Ed allora il cambiamento non è più una strategia strumentale, opportunistica di certe classi sociali, come è stata vissuta fino a qualche decennio fa, ma un cambiamento che, in senso radicale, di fatto, sta cambiando l’eredità culturale e formativa che ci ha distinto anche in senso comparativo con le altre civiltà occidentali.
Come in molte altre occasioni ho evidenziato che la diaspora esistenziale del mondo contemporaneo trova àncora di salvezza nell’uso di un vecchio ideologico vocabolario, con qualche rigurgito come: patria, nazione, tricolore, sovranismo, antisemitismo, fascismo, populismo, razzismo, schiavismo, per demonizzare un passato da non condividere e nello stesso tempo da “riproporre”, i persuasori occulti da alcuni decenni hanno predisposto il trapasso, utilizzando la filosofia della destrutturazione e della de-scolarizzazione della società e dell’educazione.
Pilastri essenziali per definire comportamenti, attitudini, e formazione di modi di pensare e di agire. In senso generale sembrerebbe un fatto legato alle naturali trasformazioni generazionali, di fatto, entrando nel merito di ogni atto, ci accorgiamo che tutto è cambiato per cambiare!
È stridente considerare che la tipologia sociale anche italiana si articola secondo vecchie categorie e vecchi privilegi, ma nel frattempo, le moltiplicazioni di ennesime realtà sociali e politiche hanno, letteralmente, frantumato, la solidità di un unico sistema centralizzato e decentralizzato, secondo regole e attinenti realtà amministrative ed organizzative, per obiettivi di assistenza, di miglioramento del benessere e di buon governo (laddove questo era possibile).
C’era una parola, oggi in disuso e visionaria: riformare.
La pubblica amministrazione per cambiare con progresso cercava di riformare l’inadeguato con ciò che più efficientemente rispondeva a renderci più “moderni” cioè più capaci di capire le nuove prospettive professionali e lavorative.
Il mondo cambiava una vecchia mentalità che si sosteneva sull’immobilismo e la ripetizione di dogma non più accettabili e comprensibili per offrire aperture e potenzialità innovative in ogni settore produttivo, economico, sociale e culturale. Realizzare delle riforme sociali per renderci più autonomi e liberi.
Si sostituivano valori non più al passo coi tempi. con altri valori, sempre rigorosi, per arricchire l’abito morale ed etico della persona che si diceva sarà del 2000.
E tutto questo significava che si dava, nel contempo, una continuità tra passato e presente guardando il futuro.
Oggi non è più così: non si riforma, si adattano soluzioni elaborate al computer, dai mass media, dai cattivi maestri od improvvisati imbonitori, con le finalità di produrre effetti irreversibili.
Sono nati i nuovi valori come: superficialità, improvvisazione, sorridere come necessaria qualità della vita, vivere il presente con narcisismo, protagonismo a tutti i costi e supponenza personalizzata e nessun contraddittorio.
Si è assunto l’obiettivo della cancellazione e non della sostituzione di ciò che dovrebbe essere cambiato. Privi di idee e di pensieri viviamo il cambiamento come semplice opportunità effimera e consumistica e senza alcun significativo contenuto su cui porre la nostra riflessione e alla nostra convinta adesione.
Questa pandemia dei “nuovi” comportamenti ha contagiato ogni nostra attività da quella sociale a quella culturale. Si leggono migliaia di libri inutili che raccontano in chiave psicoanalitica la propria decadenza, la decadenza dei valori conquistati, il disvalore della nostra esistenza.
Pagine infinite ed infarcite che preannunciano la morte della vita nelle sue diverse manifestazioni ed espressioni. Così vale nell’arte, nella poesia, nella fotografia, nel cinema, nel teatro.
La letteratura è un fantasma della nullità di una società in frantumi, le altre arti di cui ho ricordato qualche riga prima, soffrono della stessa inutilità, della burocratizzazione, della vacuità dei contenuti, della mortale assenza di idee creative e talento, capaci di continuare la storia dell’espressività artistica e le sue implicazioni sul sociale e sul rinnovamento della scomparsa della Cultura.
Tutto anche qui è cambiato ed è rimasto fisso nella sua incomunicabilità, coinvolgimento, sollecitazione perché l’arte non sia, come la letteratura, oggetto di premi e coppe variopinte, ma sia soggetto di trasformazioni, non aleatorie o di pura vanità.
È triste pensare che la musica contemporanea non sia conosciuta dal pubblico, così pure l’arte del Novecento sia solo materiale espositivo per collezionisti e galleristi e critici in attesa di anniversari.
Tutto il resto è il prodotto della solita corte dei miracoli: masse infinite che ripetono il già visto, sentito, letto in ogni campo della creatività storica e secolare. A chi servono? Cosa rappresentano?
Le scuole e le Accademie delle Belle arti sono diventate scuole di massa così pure i Conservatori (luoghi di severità e selezione per essere artisti e concertisti – adesso insegnanti nelle scuole, animatori tra gli alberi ed installatori di ecosistemi da salvare e stravaganze incomprensibili).
Quale società? Uso la “s” al minuscolo perché penso che non ci sia più rimedio a ciò che si definisce “Nuovo”: abbiamo abbattuto secoli di Bellezza e di magnificenza non solo artistica ma di pensiero, ed abbiamo sostituito questo incommensurabile patrimonio con i prodotti precotti del presente, privi di futuro.
Ciò che è cambiato per cambiare ha tolto a tutti ogni sintomo per sentirci esseri sociali, oltre che persone, preannunciando solo desolazione e desertificazione del nostro animo e mente.
Franchino Falsetti
Salve Franchino. Compongo musica “contemporanea” dal 2008. Ritmi, armonie e melodie, con strumentazione moderna. Vorrei proporla. Ma c’è un problema di fondo: “le masse infinite, masse infinite che ripetono il già visto, sentito, letto in ogni campo della creatività storica e secolare. A chi servono? Cosa rappresentano?”. Organizzatori compresi.
È veramente stancante e deprimente proporsi per poi sentirsi dire che al pubblico piacciono le cover, i nomi famosi del tempo che fu. Chi propone il nuovo è inascoltato. Di cosa si meraviglia?
Il suo articolo è corretto, l’analisi è condivisibile. Manca la sintesi propositiva. Quella negativa è all’ordine del giorno da anni.
Grazie per una sua gradita risposta.
Paride
Grazie per averci scritto; ho girato la sua lettera al prof. Falsetti in modo che possa leggerla e risponderle quanto prima.
Roberto Cerè