Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 06/10/2024
Secondo Tempo
Non è uno “scherzetto”! Ma l’Editoriale sulla solitudine (della scorsa domenica) merita qualche opportuna apertura non solo giocata sull’imprendibile quotidianità e sulle nuove chimere imbalsamate.
C’è una seria riflessione secolare su questo particolare stato d’animo che è connaturato con la nostra natura ed ha coinvolto uomini pensanti e consapevoli. Ed ecco perché, come nei grandi film ad alta tensione emotiva e partecipativa, venivano interrotti con la scritta “Fine del Primo Tempo”, dopo una breve o rumorosa pausa, il film riprendeva con la scritta ansiolitica del “Secondo Tempo”.
Il nostro Secondo Tempo vuole arginare ciò che, ancora una volta, i mass media e la sua Corte, vogliono imporci: non solo dovremo vivere con la “scatola nera” come fosse il nuovo braccialetto di riconoscimento digitale e rintracciabili ovunque, anche nel proprio letto, ma dobbiamo convincerci che siamo limitati, che siamo ansiosi, che viviamo in un mondo dispotico e dissociato, che siamo malati “interiormente” e viviamo la diaspora dell’abbandono, della separazione, della perdita della felicità nel nostro modo di agire, di relazionare, di comunicare, di guardare, con estasi, le beatitudini che resistono attorno a noi.
È stato abbattuto il nostro baricentro: anche la solitudine è necessaria quando si sente l’esigenza del soliloquio, dell’ascoltarsi, del vedere con gli occhi degli altri il mulinello del proprio intimo.
La solitudine, come motivo di crescita, di maturità, di meditazione e di riflessione su ciò che vorremmo capire ma non capiamo, sullo scarto che esiste su ciò che significa “poter fare” dal “poter essere”.
La solitudine è una pagina silenziosa del nostro DNA emotivo, meglio esistenziale.
Senza la solitudine non si aprono gli altri sentimenti, non si conoscono le altre qualità che ci distinguono e ci rendono diversi (non solo tra uomo e donna) ma tra gli stessi sessi.
Quando un tempo si parlava di “Educazione sentimentale” era un modo per circoscrivere e valorizzare i potenziali del fascino e delle conoscenze della seduzione (non solo femminile).
Era una difficile prova per vivere in una Società effimera e bigotta. Un mondo che divideva l’Umanità e premiava coloro che erano stati più fortunati. Erano prove d’orchestra per scegliere i dominatori, le dominatrici, coloro che poi di fatto costruivano le diversità culturali e sociali.
Questa nobile cultura pedagogica è stata cancellata con la morte della classe borghese.
Si è parlato di “educazione sessuale: una e trina”. Ma cosa si è mai fatto? A cosa è mai servita? Qualche filmina, con le mani in tasca ed i maschi e le femmine rigorosamente separati.
Per vedere farfalle e lombrichi (inizialmente) ed oggi per insegnare ad essere trans e come ci si masturba a tre anni!!! Documenti diffusi via Internet e pubblicità negli ultimi incontri nelle Feste del PD (rievocative di quelle storiche che non voglio trascriverne la denominazione, perché sarebbe offensivo per tutti coloro che hanno creduto in valori, definiti dell’Avvenire).
Queste ultime devianze, alterazioni deliranti, hanno caratterizzano la solitudine come una forma patologica da sottoporre a psicologi e psichiatra. Ed i giovani e giovanissimi ne soffrono su modelli imitativi che rispecchiano le debolezze, le incertezze, l’insicurezza della Società in cui si vive e si opera.
Petrarca, uomo d’ingegno, dalle intemperanze moderne, in un meraviglioso studio “De vita solitaria”, tratterà diffusamente della solitudine con accese polemiche verso il mondo classico e verso coloro che usavano semplicistiche riduzioni a forme di derisione,
“[…] Per amore della solitudine e per il desiderio di libertà a esso congiunto, fuggi da quella che chiamano curia romana, che adesso è vicina a te, anzi quasi attigua, dove oggi forse potresti ottenere una posizione di non poco rilievo, se quella confusione infernale ti fosse piaciuta tanto quanto sempre ti piacque l’angelica solitudine. […]”.
Sono poche righe di riflessione, ma un dato emerge, che la solitudine è la voce della coscienza di sé. È un atto creativo della personalità. È un’eredità singolare che ci consente di essere liberi, di trovare in noi, quelle famose “voci di dentro” che il grande Edoardo investigo’ magistralmente.
Nella solitudine si parla con sé stessi ed a volte è opportuno “inciampare” in luoghi appartati che ci trattengono, ci invitano ad unirci al coro silenzioso delle ricoperte armoniche del nostro intimo pensare e sentire.
Come è presente nel volume di un fotografo d’Arte Roberto Cerè, dedicato all’Autunno in Valsamoggia come tavolozza. L’ultimo uscito sulle “quattro stagioni”. Un documentario originale fatto di immagini dipinte e di parole di pietra, dove tutto ci parla di un mondo nascosto, segreto, raggiungibile con la mente ed in cui la solitudine orienta, come la bussola, i nostri sentimenti, i nostri desideri, la nostra presenza silenziosa, come se volessimo specchiarci nell’infinito di ciò che siamo o saremo.
“Fermo. Oltre non si va,
il sentiero scelto è diventato
un intrico di spine e sassi ma
nulla di grave mi ha costretto fin lì
e ritornare sui passi spesi
fa incontrare oro non veduto prima”
Trasporto oro p.27
Una stimolante riflessione che nasconde la ricerca consolatoria della solitudine, quella che ci rende vivi più di ogni altra sensazione e veglia in noi come la luce offuscata di una lucciola in una notte senza stelle.
Franchino Falsetti