Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 07/07/2024
Disinformare e cancellare ci rendono analfabeti
Nel panorama della neo lingua o di ciò che meglio la predisponga, questi due verbi disinformare (già caro a tempi della contestazione globale) e cancellare (imperioso movimento culturale suo derivato e prezioso alleato) sono le parole chiave per leggere la storia contemporanea e quella del passato.
Non solo i grandi avvenimenti, le biografie dei personaggi più illustri, ma, in particolare, con incisiva pericolosità, i fatti quotidiani, ciò che i giornali, in particolare, ogni giorno raccontano.
Sì, i giornali, tutti i giornali, secondo la definizione del Croce nel considerare il giornalismo “letteratura minore”, sapevano interpretare il contesto culturale del tempo, si diffondevano pensieri, critiche, argomenti sulla nobile “Terza pagina”, si era orgogliosi della missione e fierezza dell’essere giornalista, quasi un educatore della parola scritta, un fabbricatore di idee, di pensieri, di libertà che aveva caratterizzato il giornalismo patriottico, letterario prima e dopo l’Unità d’Italia.
Con la nascita della Repubblica, il giornale continuava la sua tradizione di lettura parallela a quella dei libri di testo o della classica letteratura. Molti professori invitavano i propri studenti a leggere il giornale (non di partito) ma d’informazione.
Ricordo che nel liceo i professori di Lettere ci esercitavano sulla metodologia della lettura e critica espositiva, portando articoli, scritti da Debenedetti, Baldacci, Pannunzio, Brancati, Alvaro, Malaparte, Biagi (fatti di cronaca), Bianciardi (cronaca – letteratura), per ricordarne alcuni, che tuttora ritengo tra i miei Maestri. Il consumismo ha rotto ogni tradizione e reso superficiale e banale ogni atto comunicativo fino ad arrivare alla famosa definizione del “villaggio globale”.
L’informazione non per informare, educare, allargare i campi delle nostre esperienze e conoscenze (qualità dell’informazione) ma per estendere in ogni dove i segnali delle connessioni e della informazione seriale (quantità dell’informazione).
La democrazia italiana, nella sua breve storia, ha incoraggiato e tollerato determinati cambiamenti mescolando le forme illuministe di John Dewey, dimenticando che lo spessore su cui tutto si è costruito è non la società “tradizionale”, ma la società di massa.
E, quindi, l’avvento dell’uomo massa ha snaturato ogni valore, ogni disegno educativo, ogni forma e genere delle professionalità, ed ogni formazione di qualità verso il lavoro e la produzione economica ed intellettuale.
Sono nati gli slogan, i precetti della politica (destra e sinistra), le libere interpretazioni, i processi di omologazione e di livellamento culturale: tutti uguali, fino alle nuove realizzazioni di scuole senza voti, senza programmi, senza direttive, senza controlli, senza professionalità docente.
Ma ognuno di noi è maestro verso gli altri, senza alcun limite d’età.
I ministri vengono canzonati dai mezzi d’informazione di massa, dai loro dipendenti, dai loro stipendiati. E così nasce la nuova opinione pubblica: fatta di frasi agglutinate, di ingiurie, di calunnie, e di arroganze mediatiche fino a contaminare ogni mezzo di scrittura e di comunicazione (orale e scritta).
Dobbiamo avere il coraggio di ammettere di essere un popolo di analfabeti, dove una “medaglietta”, i riconoscimenti istituzionali, le associazioni culturali da “tavola calda” (migliaia in Italia) offrono ai propri iscritti penne di pavone di cartapesta.
Siamo tra i paesi allineati al terzo e quarto mondo come tenore di vita, come cura della persona, come istruzione, come libertà della stampa, come difesa dei valori del passato e della tradizione (Heimat non è comprensibile nell’Italia dei paninari).
Vogliamo cambiare l’italiano perché non sappiamo parlarlo e vogliamo renderlo approssimativo e variato come fanno gli extra comunitari. Non è sufficiente pensare di memorizzare e ripetere per saper parlare una lingua nativa, se poi è straniera, saremo di fronte a continue prove d’orchestra.
Ecco perché la disinformazione e la cancellazione stanno diventando luoghi comuni: modalità con cui strutturare modelli del comunicare e del costruire linee guida per l’interpretazione, la conoscenza (ciò che si deve conoscere) e l’educazione (imitare l’attualità – il presente educativo). In Italia si ha paura di governare; non sanno governare.
Si può deridere un ministro, calunniare un generale, mortificare un professore (fino all’aggressione fisica), una diffusa anarchia dove i diritti sono calpestati e si favoriscono reati sulla proprietà e atti vandalici verso il patrimonio artistico, monumentale ed urbanistico. Senza che si possa intervenire! Perché?
Al governo nazionale e locale siedono i “girotondini”, i disoccupati, coloro che non hanno mai lavorato e quindi di che cosa si possono occupare? Di nulla, tranne dell’alimentare il permissivismo, il tornaconto, lo sfruttamento demagogico delle categorie più deboli, indifese e deprivate culturalmente e socialmente.
È giunta l’ora di cominciare a pensare che l’arma del voto non è più sufficiente (poiché è usurata e strumentalizzata – ed il popolo non conto nulla).
È opportuna una seria riflessione: invece di ritualizzare conformisticamente “Le Idee della Repubblica” (giornale scalfariano), è opportuno creare dei Forum cittadini (aperti a tutti) per rifondare la Democrazia italiana.
“Questo quotidiano nasce da una rivolta e da una sfida. La rivolta è contro uno stato di fatto che espone i giornalisti a ogni sorta di condizionamenti padronali e corporativi. La sfida è alla ineluttabilità di questa situazione”. [Inizio del primo articolo del “Giornale nuovo” – Montanelli presenta il suo editoriale – 25 giugno 1974]
Franchino Falsetti