Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 11/12/2022
A Bologna la cultura è un bene voluttuario
Nell’anniversario di un grande scrittore, giornalista, saggista ed intellettuale Luciano Bianciardi, di cui la pervicacia della figlia ne rende i giusti riconoscimenti dandone il risalto dovuto, pubblicando sulla sua Ex Cogita Editore, l’intera produzione costituita da migliaia di scritti pubblicati su un numero, quasi incalcolabile, di riviste e giornali oltre ai suoi noti romanzi e saggi, come “La vita agra”, “Il lavoro culturale”, “L’integrazione”.
Questo è un doveroso ricordo ad un anti borghese, ad un consapevole protagonista critico della società dei consumi, della vita abitudinaria, priva di stimoli divergenti, dissocianti. “Una vita agra” appunto dove la liberazione è pensare ad un attentato dinamitardo al famoso Torracchione della Pirelli di Milano (Capitale del conformismo e della vita fatta tutta di corsa ad una dimensione).
Siamo agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso, in pieno boom economico e l’ondata dell’allucinogeno benessere stava sommergendo gli antichi desideri, le buone educazioni ricevute.
Si stavano cambiando i costumi, la cultura, la mentalità di paese agricolo rurale e delle sue ferree distinzioni di classe e di censo. Bianciardi si accorse di tutto questo “complotto economico-socio-culturale) e scrisse ininterrottamente fino alla morte prematura.
A soli 49 anni (1972)
Quelle opere, quelle sferzate giornaliere sulla perdita di ogni valore e di ogni tradizione, in particolare delle proprie radici, del dialetto, di una italianità da elettro-domestici, delle rapide trasformazioni in senso consumistico su tutto, persino della religione, della scuola, del tempo libero e del malcostume, fossero non sono ripubblicate, come un patrimonio culturale inestimabile, ma reso attuale, poiché in cinquant’anni (dalla morte di Bianciardi) non è cambiato nulla, anzi si è tutto moltiplicato fino a raggiungere modelli di vita del tutto paradossali, incomprensibili e che alla base, come filo conduttore, c’è la sottile persuasione che la vita è solo un hamburger (a quattro strati) da consumare prima che si raffreddi.
Cioè viviamo non per fare un viaggio, non per capire dove siamo caduti, precipitati, ma per sentirci soddisfatti in ciò che non ci condiziona la nostra volontà, la nostra formazione, il nostro esprimerci. In questi decenni i mass media, in particolare, e tutta la corte degli asserviti (dagli intellettuali ai governanti di quartiere) si sono sentiti i “valvassini” delle imposizioni commerciali e distruttive della nostra personalità. Noi dobbiamo solo ubbidire anche se ci illudiamo di agire autonomamente. Dalla pace alla guerra, alle sommosse, alle grida ed urla dei popoli sottomessi da tiranni civili o religiosi, nonché effimeri mondi edonistici, sono manovrati da poteri occulti che trasformano ogni protesta, ogni richiesta di dignità, in veri affari, in investimenti economici che nulla hanno a che fare con la morale, i sentimenti, l’etica, la cultura del cambiamento.
Vedi l’inutile guerra tra Ucraina e Russia: e tutti sono per la pace, ma la Pace si legge dollaro-sterlina, marco. Tutti i deputati ubbidiscono alle soddisfazioni economiche, di necessità di modificare gli investimenti, di trovare, comunque, un capro espiatorio, il famoso nemico).
A Bologna, da tempo, si respira tutto questo. Si parla e si sparla.
Il dibattito non coinvolge i luoghi della Cultura. Tutto continuo come prima: nelle sezioni, nelle sedi di partito, a Palazzo (per tutte le stagioni), nelle iniziative che fanno parte del calendario degli anniversari, ricorrenze religiose e civili, delle litanie che si diffondono nel Centro storico, tra i mercati rionali, periferici e nel famoso “quadrilatero”. Le librerie storiche sono tutte scomparse. Non c’è più la cultura del libro, ma la bottega multietnica dove il libro è solidale, è a prestito, è oggetto di girotondi, di manufatti orientali, di una dispersione tangibile delle identità e delle storie.
La città di Bologna, come affermava ex assessore alla cultura, Angelo Guglielmi, intellettuale e famoso direttore di RAI3, nonché tra i fondatori del Gruppo 63 ed inventore di programmi di indubbia levatura culturale, “non sarà mai più una regina della cultura” (Corsera, 24 maggio 2007).
Evocando i fasti del passato, Gugliemi precisa: “Bologna non sarà più come prima. All’epoca tutta la città partecipava alla vita culturale. Oggi non è più possibile”.
Riprenderò in altri miei prossimi editoriali queste affermazioni ed altre che seguirono, non ultimo un signore della cultura bolognese del passato come Lamberto Trezzini, di cui nessuno parla, già sovrintendente del Teatro Comunale, grande innovatore e scrittore di un’unica Storia del nostro Teatro lirico bolognese in tre magnifici volumi documentatissimi. È certo che oggi noi ci troviamo proprio in quelle dure denunce di Gugliemi: a Bologna manca una programmazione unitaria. Un progetto culturale unico per la città.
Viviamo situazioni scollegate, frammentarie ed ogni ente od associazione od Istituzione (pubblica o privata) continua una provinciale e voluttuaria competizione, disseminando interessi e coinvolgimenti. Io sono quasi sempre presente alle cosiddette anteprime: sono le solite vetrine per salutarsi, incontrarsi, parlare del nulla e, soprattutto, mostrarsi. Il pubblico è sempre quello. Non esiste coinvolgimento della cittadinanza.
Tutto si fa per una smaniosa voglia di esserci e rassodare quel viscido rapporto di sentirci componente di quella cerchia, di quel gruppo, di quel effimero godimento dell’esclusività.
Vedi l’omaggio a Boarini. Iniziative sono state pensate dagli amici e riservate agli amici degli amici. La città non è stata coinvolta!
Povero Bianciardi: quanta fatica, quante frustrazioni, quanti rischi e denunce ricevute, nonché processi, per “svegliare” le coscienze di una nuova Italia che avrebbe dovuto far tesoro del buio ventennio fascista per saper costruire una vera democrazia, una vera Repubblica. Ed invece, nessuno ha letto, nessuno ha studiato “corsari” come: Longanesi, Montanelli, Bianciardi, Pasolini, Flaiano, Maccari, Bartolini, Moravia, Sartre, Camu, Marcuse, Adorno, Matteucci, Prezzolini, per citarne alcuni, che hanno vissuto i cambiamenti epocali e li hanno valutati nelle loro possibili e terribili deformazioni
Il lassismo e la superficialità attuale sono sconfortanti.
Pensando poi alla nostra città, Capitale della cultura della Musica, ci vorrebbe, forse, una rivoluzione ideologia (non delle idee) per riscrivere la parola cultura con la “C” maiuscola come simbolo della nuova coccarda da sventolare insieme a la Tricolore.
Franchino Falsetti